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martedì 23 aprile 2013

Scienza & religione o scienza vs. religione?: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #2

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
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  1. i paragoni solitamente condotti tra scienza e religione sono basati su fondamenti errati.
McCauley spiega questo primo punto tramite una tabella esplicativa che permette di sintetizzare le asimmetrie cognitive tra le diverse modalità di cognizione:

Adattato dal volume di McCauley, cit., p. 231 (Fig. 5-1).

Dal punto di vista della cognizione un paragone tra scienza e religione deve tenere conto della disposizione asimmetrica delle quattro caselle elencate nella tabella sovrastante. Innanzitutto, religione e scienza operano a livelli differenti, dei quali il primo
«dipende soprattutto dalle inclinazione naturali della mente umana e, perciò, ricorre in qualunque cultura umana, mentre il secondo è una funzione di organizzazioni sociali comparativamente rare che richiedono a) la padronanza di norme di ragionamento e di concezioni radicalmente controintuitive, e b) la disponibilità pubblica di processi, prodotti e evidenze fondamentali» [1].
ResearchBlogging.org Perché scienza e religione operano a livelli cognitivi differenti? Esistono due tipologie di cognizione, come si può osservare nella prima colonna del grafico, a sinistra: una è naturale, ossia «concernente le parti sotterranee della vita mentale composte da un pensiero perlopiù immediato, inconscio, agevole, intuitivo – e i cui contenuti e origine si dimostrano spesso ardui da esplicitare» da parte del soggetto, mentre la seconda è tipica del pensiero «più lento, conscio, faticoso, riflessivo» [2]. A sua volta la cognizione naturale si suddivide in naturalità praticata (practiced naturalness) e naturalità maturativa (maturational natural cognition) [3] . La prima è una vasta esperienza in un qualche dominio, ovvero l’esperienza accumulata in un dato campo da cui consegue la capacità di fornire un giudizio rapidamente (ad esempio, chi è impiegato nell’edilizia e può decidere in breve tempo quale materiale utilizzare in un data struttura). La naturalità maturativa è invece un pensiero immediato, intuitivo, che viene in mente in modo inaspettato quando si ha a che fare con ambiti nei quali non abbiamo esperienza o per i quali non abbiamo istruzioni valide per orientarci; ad esempio, come esprimere qualcosa nella madrelingua che però non si è mai sentita prima, conoscere lo stato emotivo di chi ci sta di fronte osservando solamente e di sfuggita l’espressioni del viso oppure le conseguenze del contatto anche minimo con agenti ritenuti contaminanti nei bambini in età scolare [4]. Purtroppo, tale modalità immediata di pensiero è soggetta a errori di rappresentazione.
Per quanto riguarda il ruolo della cultura, l’infiltrazione culturale non ha alcuna conseguenza sull’acquisizione delle capacità maturative ma si limita a modulare e a fornire a queste ultime caratteristiche peculiari. I diversi tipi di linguaggio diffusi nel mondo intero, ad esempio, non hanno alcun impatto differenziale nello sviluppo dell’acquisizione del linguaggio in quanto capacità maturativa, che segue invece pattern comuni e spontanei in qualunque cultura umana.
Il secondo punto cognitivo da segnalare è la profonda differenza inerente alla modalità predefinita di spiegazione del modo in cui funziona il mondo:
«la religione presume che le spiegazioni più acute, in ultima istanza, debbano sempre affidamento alla causalità degli agenti. La scienza no» [5].
Un punto che McCauley non esita a sottolineare è che le religioni, nonostante la varietà e il fatto che sorgano continuamente nuove credenze organizzate, condividono un insieme estremamente limitato di caratteristiche e di varietà (mito, rituale, credenze relative ad agenti intenzionali con caratteristiche controintuitive, spazi sacri, ecc.): come scrive Steven Pinker
«facendo un paragone con le più incredibili idee della scienza moderna, le credenze religiose si distinguono per la loro mancanza di immaginazione» [6].
In definitiva, mentre la scienza sovverte i vincoli cognitivi naturali e produce nuove idee radicalmente controintuitive, la religione, nella sua accezione popolare che asseconda la cognizione maturativamente naturale, vi obbedisce e (ri)propone da sempre rappresentazioni modestamente controintuitive e con minime variazioni sul tema.
L’elaborazione teologica, però, può produrre idee tanto controintuitive quanto le più radicali scoperte della scienza contemporanea. I teologi di fatto si avvalgono di molti strumenti concettuali utilizzati dagli scienziati: 
«i teologi producono spesso complicate e astratte rappresentazioni religiose che non sono più semplici da comprendere di quanto non lo siano le più esoteriche idee scientifiche» [7].
Come si spiega questo punto? Innanzitutto bisogna astenersi dal trarre conseguenze eccessivamente semplificate o ideologicamente orientate. McCauley sottolinea giustamente che i sistemi naturali maturativamente cognitivi e le inferenze che soggiacciono alla religiosità popolare (ossia, lo ripetiamo, a quell’insieme di caratteristiche cognitive maturativamente naturali e cooptate nel pensiero religioso) non rappresentano esattamente i prodromi della teologia; allo stesso modo, quelle che Massimo Piattelli Palmarini ha definito come «scorciatoie intuitive» (ovvero, modalità rapide di risposte cognitive, efficaci nella vita quotidiana, ma che sacrificano la precisione per la velocità rischiando potenzialmente di sostenere illusioni sensoriali) non corrispondono del tutto ad una «forma minore del ragionamento scientifico» [8]. In effetti, un primo risultato paradossale che emerge dall’analisi cognitiva è che la teologia e la scienza condividono più caratteristiche tra di loro di quanto non facciano con quelle che sarebbero le rispettive controparti (ossia rispettivamente, religione popolare e spiegazioni formulate sulla base del senso comune).
McCauley riassume quindi come segue i punti che accomunano cognitivamente la teologia con la scienza, e che distanziano la teologia dalla “religione popolare”. La teologia, dunque: 
  1. si basa sulla produzione codificata di letteratura, contraddistinta da aspetti teorici, polemici, analitici e sintetici, per cercare prove a favore delle proprie asserzioni;
  2. fa uso degli stessi strumenti della scienza (probabilità, deduzione, induzione e talvolta abduzione);
  3. fino al XVII secolo e.v. ha usufruito delle conquiste scientifiche precedenti;
  4. richiede la conoscenza approfondita di strumenti intellettuali per i quali sono necessari lunghi periodi di studio e preparazione [9].
Le differenze tra teologia e scienza rintracciate da McCauley vengono invece elencate come segue:
  1. la teologia formula ipotesi non testabili empiricamente in alcun modo;
  2. la teologia continua a moralizzare ambiti e a giudicare eventi non riconducibili all’intenzionalità in natura, come se fossero espressione di un agente: «La scienza concepisce scrupolosamente meccanismi controintuitivi per spiegare gli eventi catastrofici, nei confronti dei quali gli specialisti religiosi dimostrano [al contrario] una pulsione incontrollabile alla moralizzazione, allo stesso modo degli eventi quotidiani e comuni […]»;
  3. la teologia ha agito nella storia perlopiù come un instrumentum regni, ossia in quanto forza allineata al potere politico-sociale che ha fornito giustificazione e sostegno per le cleptocrazie delle organizzazioni statali, investite da un diritto divino a governare (dalle statualità degli Inca e degli Egizi, fino alle monarchie europee dei secoli passati) [10].
continua...

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 236.
[2] Vale la pena ricordare che i concetti di “subcosciente” o “inconscio” utilizzati in questo post non equivalgono ai corrispettivi psicoanalitici.
[3] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 4.
[4] Ivi, p. 5.
[5] Ivi, p. 26.
[6] Ivi, p. 152 (cit. da Steven Pinker, How the Mind Works, Norton, New York 1997, p. 557).
[7] Ivi, p. 153.
[8] Ivi, p. 237 (cit. da Massimo Piattelli Palmarini [ed.], Inevitable Illusions: How Mistakes of Reason Rule Our Minds, Wiley, New York 1994, pp. 133-137 [ed. or. it. L’illusione di sapere: che cosa si nasconde dietro i nostri errori, Mondadori, Milano 1993]).
[9] Ivi, pp. 212-213.
[10] Ivi, pp. 213-215. Una sintesi efficace di tali punti è reperibili nella discussione di McCauley in  A Cognitive Science of Religion Will Be Difficult, Expensive, Complicated, Radically Counter-Intuitive, and Possible: A Response to Martin and Wiebe, in «Journal of the American Academy of Religion», 80 (3), 605-61, 2012, in part. pp. 606-607.

Art. indicizzato in Research Blogging:
McCauley, R. (2012). A Cognitive Science of Religion Will Be Difficult, Expensive, Complicated, Radically Counter-Intuitive, and Possible: A Response to Martin and Wiebe Journal of the American Academy of Religion, 80 (3), 605-610 DOI: 10.1093/jaarel/lfs031

giovedì 18 aprile 2013

Omaggio di uno storico all’Uomo Ragno

Fig. 1. Una selezione di maschere dell’Uomo Ragno dal 1963 al 2011. La riproduzione delle immagini lascia purtroppo a desiderare poiché è stata affidata alla penna a china dello scrivente, motivo per cui le maschere non rispecchiano la ricchezza dei particolari esibita dagli originali. La lista dei riferimenti numerici è reperibile in calce al post.
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«Quando guardate qualcuno negli occhi, dimenticatevi del romanticismo, della creazione e delle finestre spalancate sull’anima. Con le sue molecole, geni e tessuti derivati da microbi, meduse, vermi e moscerini, vi trovate di fronte ad un’intera orda di mostri» 

Neil Shubin [1]

In principio fu Topolino

ResearchBlogging.org Nel 1979 viene pubblicato su «Natural History» uno dei testi più accattivanti prodotti da Stephen Jay Gould, intitolato Mickey Mouse Meets Konrad Lorenz, e ristampato poi nella raccolta Il pollice del Panda con il titolo di Omaggio di un biologo a Topolino [2]. Tale contributo spicca per originalità all’interno della multiforme produzione del paleontologo e rappresenta, con ogni probabilità, una delle più eclettiche spiegazioni del fenomeno biologico della neotenia e dell’evoluzione culturale allora prodotta nell’ambito della divulgazione scientifica [3]. L’occasione per affrontare l’argomento era stata suggerita dal concomitante cinquantenario di Topolino; per tale motivo Gould aveva deciso di analizzare l’icona della Disney sia sotto il profilo biologico, come se si trattasse di un organismo vero e proprio, sia come risultato di un’evoluzione culturale, ovvero come artefatto prodotto intenzionalmente. Nel primo caso Gould passava in rassegna il rapporto direttamente proporzionale tra la modificazione del comportamento di Topolino e la tendenza di quest’ultimo ad accumulare nel corso del tempo modificazioni dell’aspetto in chiave neotenica. Nel secondo caso, il paleontologo accennava ai vincoli biologici e comportamentali dei creatori dell’immagine di Topolino, per cui le modificazioni in chiave neotenica subite dalla figura del personaggio venivano ricondotte a vincoli comportamentali (nello specifico, la risposta evolutiva ed emotiva degli adulti di fronte ad organismi, siano essi cuccioli o adulti, che esibiscono caratteristiche proprie dei neonati). Si tratta di modifiche artistiche che esprimono senza soluzione di continuità sia intenzionalità (ossia, sono volutamente indirizzate al target commerciale, ad un certo pubblico), sia il vincolo con le caratteristiche cognitive di Homo sapiens:
«[…] le caratteristiche astratte dell’infanzia umana suscitano in noi potenti reazioni emotive anche quando le riscontriamo nell’animale. Io ritengo che l’evoluzione verso una progressiva infantilizzazione di Topolino rifletta la scoperta inconscia di questo principio biologico da parte di Disney e dei suoi disegnatori. Infatti, il tono emotivo di molti altri personaggi di Disney si basa sullo stesso principio» [4].
Ma che cos’è la neotenia, e quali caratteristiche neoteniche vengono riscontrate nell’evoluzione iconografica della mascotte della Disney?

La creatività evoluzionistica dei vincoli biologici e l’“effetto Bambi”


Come tutti gli esseri viventi del pianeta Terra, anche noi siamo vincolati fisicamente, geneticamente, strutturalmente, meccanicamente e ontogeneticamente. Siamo cioè legati a doppio filo alle interrelazioni stabilite e fissate storicamente nel tempo profondo dell’evoluzione; siamo quindi incatenati alle proprietà esibite dalle molecole, dai geni, dalle leggi fisiche e dal processo dello sviluppo degli individui. Eppure sarebbe un errore pensare che tali vincoli rappresentino un limite  evolutivo assoluto [5]. Tutt’altro; nel tempo profondo anche i vincoli possono essere fonte di varietà adattativa. Lo sviluppo dell’individuo, ad esempio, può costituire una riserva ottimale di soluzioni composta da «una serie di stadi ben adattati» (poiché se non lo fossero l’individuo non potrebbe sopravvivere)  [6]. Si pensi ad organismi che attraversano fasi ben distinte fino a giungere alla maturità, come avviene per gli anfibi: ciascuno di questi stadi può costituire un fenotipo differente, e in quanto tale può essere cooptato e sfruttato evolutivamente nel caso riuscisse ad arrecare un qualche vantaggio per l’organismo in una data situazione. Tale cooptazione è di fatto una canalizzazione, come la definisce Gould, che modula il materiale a disposizione lungo un determinato percorso per produrre diversità e adattamento, a volte «rimescola[ndo] e combina[ndo] le caratteristiche di stadi diversi» [7].
L’eterocronia, ossia i cambiamenti espressi dalle variazioni nei tempi e/o nei tassi di sviluppo ontogenetico, rappresenta di fatto uno dei principali modi per aggirare, per così dire, le imposizioni fisiche del fenotipo. Dalla mosca all’uomo i geni che controllano lo sviluppo restano in buona parte gli stessi, ciò che cambia in modo sostanziale sono i rapporti dell’interazione tra moduli autonomi di geni: gli edifici cambiano, ma i mattoni restano gli stessi [8]. L’alterazione dei percorsi dello sviluppo che si ottiene attraverso la neotenia rientra nei processi eterocronici di pedomorfosi: gli esemplari adulti ripropongono caratteri tipici della condizione giovanile degli antenati. La neotenia, in particolare, ha come esito il raggiungimento della maturità sessuale pur mantenendo caratteristiche tipiche dello stadio giovanile [9]. Tra i casi da manuale di neotenia ricordo alcuni anfibi urodeli (per cui le branchie, carattere giovanile, sono presenti nelle forme adulte), il rallentamento dei ritmi di crescita di Homo sapiens (causa della lunga gestazione, della lunga infanzia, dell’apprendimento continuo che non termina con la giovinezza e dei mutamenti facciali ontogenetici comparativamente più contenuti rispetto alle antropomorfe) e i crani dei dinosauri aviani attuali, i quali esibiscono caratteristiche tipiche degli stadi giovanili degli antenati non-Eumaniraptora: tra le peculiarità neoteniche citiamo la forma del muso, più corta rispetto alle forme adulte, e le grandi orbite oculari [10]. Queste ultime caratteristiche citate, assieme alla grandezza della testa relativamente al corpo, rappresentano inoltre le caratteristiche facciali principali dei neonati.
Per traslazione, la ricognizione visiva di tali caratteri allometrici causa in H. sapiens il seguente corto-circuito interpretativo: la preferenza accordata nei confronti degli animali (anche adulti) che esibiscono tali caratteristiche fa sì che determinate qualità emotive o affettive umane vengano fallacemente proiettate sui possessori di tali peculiarità. Come chiosa Gould, facendo riferimento all’etologo Konrad Lorenz, 
«[…] veniamo ingannati da una risposta evolutasi per il vantaggio dei nostri piccoli e trasferiamo le nostre reazioni a quegli animali che presentano lo stesso tipo di caratteristiche» [11].
Lisa Signorile ha definito questo atteggiamento come «l’effetto Bambi», ovvero la singolare forma di «neotenia culturale» per cui una sorta di «scala naturae mentale», rafforzata dall’ambiente sociale, accorderebbe un primato assoluto a quegli animali, già apprezzati da bambini, dotati di particolari caratteristiche infantili, come ad esempio gli occhi grandi e il viso relativamente più piccolo [12]. 
Ora, l’evoluzione della figura di Topolino presa in considerazione da Gould corrisponde ai criteri dell’effetto Bambi. Se pensiamo ai vari Topolino come ad individui appartenenti ad un taxon disneyano di partenza, la modificazione del fenotipo topoliniano dagli anni Trenta al 1980 riproduce grosso modo i passaggi attesi in una pedomorfosi neotenica: non a caso, le proporzioni del 1980 sono assai più vicine a quelle esibite dalla coppia dei giovani nipotini Tip e Tap. Nella finestra temporale analizzata da Gould, Topolino stava evolvendo verso una «sempre maggiore somiglianza con i rappresentati più giovani della sua genia […]». Caso emblematico, la grandezza degli occhi relativamente alla testa, passata in un cinquantennio dal 27% al 42% [13] (qui trovate le immagini che accompagnano l’articolo originale).
Nel suo articolo, Gould nota acutamente l’intreccio tra intenzionalità dei disegnatori (i cui sforzi, per ovvie ragioni di mercato, erano rivolti a rendere più «graziose e accettabili», ossia vendibili, le caratteristiche di Topolino) [14] e i vincoli biologici che fanno sì che il pubblico risponda in un certo modo all’illusione visiva rappresentata da determinati caratteri morfologici tipicamente infantili, traslati in un contesto antropomorfico fittizio. Considerati i vincoli biologici che sostengono l’effetto Bambi, sarebbe interessante vedere quanto si possa generalizzare questo principio enunciato da Gould. Ovvero, per dirla altrimenti, l’effetto Bambi trova conferma in altre icone culturali?

Da un grande potere derivano grandi occhi, ovvero di maschere e di supereroi

Per testare l’effetto Bambi ho deciso di prendere in considerazione un personaggio del vastissimo universo fittizio della Marvel Comics, scegliendo uno dei tipici e più datati “supereroi con superproblemi” della “Casa delle Idee”. Chi meglio dell’Uomo Ragno incarna l’ideale della casa editrice statunitense, per cui
«l’acquisizione di grandi poteri dà […] all’eroe grandi responsabilità (come recita uno dei tormentoni ricorrenti di Spider-Man), ma non gli toglie l’umanità, intesa come la capacità di soffrire, di avere affetti e persino problemi assai poco epici come il guadagnarsi da vivere tutti i giorni?» [15]. 
Consideriamo quindi l’Uomo Ragno come un taxon e, sulle orme di Gould, per dare il «marchio della scienza quantitativa» [16] alle osservazioni che seguono utilizzo come fattore di riferimento preliminare ed indicativo il rapporto tra la dimensione degli occhi in relazione alla grandezza della testa [17]. Il campione iconografico di esemplari analizzati consta rappresentativamente di ventidue maschere scelte nel periodo compreso tra 1963 e 2011. Quattro, le più recenti, sono state selezionate dalla collana «Ultimate Spider-Man», lanciata con successo nel 2000 e nata con il duplice ed esplicito intento di modernizzare le storie delle origini, riprendendo l’ambientazione liceale, e di snellire le storie dal fardello rappresentato da quarant’anni di intrecci stratificati [18]. La serie aveva affiancato parallelamente e autonomamente le collane classiche dedicate al Tessiragnatele, che hanno continuato, e continuano, a proporre invece le storie di un Peter Parker e del suo alter ego mascherato cresciuti e ormai adulti.
I risultati confermano sostanzialmente il processo pedomorfico: nel periodo di tempo considerato l’aumento del rapporto occhi/testa (considerando la “pupilla” bianca, ossia la lente della maschera) è stato del 325%; se togliamo i valori dei campioni «Ultimate» l’aumento tra 1963 e 1997 si attesta sul 275%. Ora, negli individui giovani gli occhi sono in genere più grandi rispetto alla grandezza complessiva della testa; anche questo parametro trova conferma nei campioni analizzati, per cui la media del rapporto tra gli esemplari classici (ad eccezione di quelli giovanili da «Ultimate Spider-Man»), è 25,6%; nei giovani Uomo Ragno di «USM», la media è invece 48,5%. Aggiungiamo che il comportamento dell’Uomo Ragno è contraddistinto da reazioni immature e battute infantili (ad eccezione di alcuni periodi “dark”), accentuate nel corso degli anni dagli sceneggiatori, talvolta fino al parossismo; il parallelismo neotenico con il «progressivo addolcirsi della personalità» di Topolino notato da Gould sembra trovare un’ulteriore conferma [19]. Se però credete che sia difficile pensare alle lenti della maschera dell’Uomo Ragno come a degli occhi, passate in rassegna tutte le volte in cui i disegnatori hanno dotato di espressività emotiva le lenti: vi troverete di fronte ad un tripudio di lenti ammiccanti, sorprese, arrabbiate, corrucciate e felici (un eloquente esempio su tutti: le tavole di Erik Larsen).
Fig. 2. La distribuzione dei dati (ricavati dalle immagini presenti nella Fig. 1) mostra una discreta correlazione tra anno e rapporto (rho=0.72, statisticamente significativa con p<0.0001). Elaborazione del grafico ad opera di Andrea Cau, che ringrazio per la cortese disponibilità.
Osservando il grafico, si può persino individuare un evento che ha marcato in modo significativo la storia evoluzionistica del taxon Uomo Ragno: si tratta di uno di quegli «eventi di speciazione rapidi ed episodici» che perturbano una precedente situazione di sostanziale equilibrio omeostatico, codificati da Gould e Niles Eldredge [20]. L’avvento del black costume indossato dall’Uomo Ragno a seguito dell’evento noto come Secret Wars, miniserie in dodici numeri pubblicata tra 1984 e 1985, si può intendere biologicamente come la contingente deriva genetica che ha causato la perdita di variabilità (qui iconografica) , incanalando una tenue tendenza all’aumento delle dimensioni degli occhi verso una sostanziale accelerazione. Nella Fig. 1 il costume è rappresentato con il numero 10; nel grafico soprastante è presente nella decima posizione a partire da sinistra.
In termini evoluzionistici, quell’Uomo Ragno ha rappresentato un isolato periferico (Peter Parker si trovava su un altro pianeta: più periferico di così…), ossia si è trovato ad essere il rappresentante o il capostipite di una piccola popolazione isolata, destinata a colonizzare con successo l’ambiente della carta stampata (una volta tornato sulla Terra…) [21]. Fuor di metafora, il successo della rappresentazione (nata per accompagnare e promuovere il lancio di una linea di giocattoli – l’effetto Bambi è un affascinante intreccio di cause culturali e di vincoli biologici) ha decretato la diffusione epidemiologica dell’immagine e delle relative proporzioni, modificando successivamente anche le proporzioni del volto del tradizionale costume blu/rosso. Anche quando John Romita Sr., uno dei decani tra gli illustratori della Marvel, è tornato a disegnare l’Uomo Ragno per una storia pubblicata nel 1997 non si è rifatto alle proporzioni da lui stesso adottate nel 1968, ma si è invece inserito in una consolidata linea di tendenza (cfr. rispettivamente i numeri 18 e 3 nella Fig. 1).
In un contesto di competizione iconografica intraspecifica (dettata anche dal successo commerciale), gli individui dotati di occhi più grandi hanno surclassato i contendenti sul finire del secolo scorso, diffondendosi maggiormente. Insomma, queste illustrazioni si sono trovate ad interagire in un contesto lato sensu biologico: secondo un’ottica memetica, difatti, le immagini
«rappresentano sia il prodotto dei set di istruzioni sia il veicolo in cui tale set viene immagazzinato. I set di istruzioni utilizzano questo veicolo per spostarsi nell’ambiente (ossia la cultura umana), interagiscono direttamente con tale ambiente ed entrano in competizione tra di loro per ottenere le risorse necessarie al raggiungimento del loro obiettivo: replicarsi» [22].
La diffusione delle immagini nelle menti dei disegnatori e sulla carta stampata e leventuale successo decretato dal pubblico al quale questi prodotti sono destinati, coronano quindi questo processo di competizione iconografica.

Sul nastro di Möbius, andata e ritorno

Per il momento l’analisi presentata non è niente di più di un semplice suggerimento, un test preliminare per saggiare il tema e un pretesto per spiegare qualche rudimento di biologia evoluzionistica dello sviluppo. Pur nell’attesa di smentite o conferme basate su un corpus di dati ben più consistente di quello qui presentato, l’effetto Bambi (che ha guidato l’evoluzione iconografica di Topolino e, presumibilmente, dell’Uomo Ragno) testimonia l’incessante interazione tra biologia e cultura. Passiamo così senza soluzione di continuità da un lato all’altro di un complesso e affascinante nastro di Möbius, all’interno del quale trovano posto anche quei simboli ormai internazionali della cultura mainstream come Topolino e l’Uomo Ragno.

[1] N. Shubin, Il pesce che è in noi. La scoperta del fossile che ha cambiato la storia dell’evoluzione, Rizzoli, Milano 2008, p. 186 (ed. orig. Your Inner Fish: A Journey into the 3.5-Billion-Year History of the Human Body, Pantheon Books, New York 2008)
[2] Stephen Jay Gould, Mickey Mouse Meets Konrad Lorenz, in «Natural History», 88, 5, 1979, pp. 30-36 (ristamp. come A Biological Homage to Mickey Mouse in The Panda’s Thumb, W.W. Norton, New York 1980, pp. 125-133; trad. it. Omaggio di un biologo a Topolino, ne Il pollice del panda, il Saggiatore, Milano 2009, pp. 89-98 [ed. orig. 1983]).
[3] Il testo è stato recentemente votato tra i cinque saggi divulgativi gouldiani preferiti dai lettori in un sondaggio indetto da «Pikaia. Il portale dell’evoluzione». Secondo le preferenze accordate dai visitatori del sito, l’articolo si è classificato quarto, a pari merito con La frode di Piltdown. Informazioni presso http://www.pikaia.eu/EasyNe2/Notizie/Stephen_Jay_Gould_10_anni_dopo.aspx; per approfondimenti cfr. Emanuele Serrelli, The Best of Stephen Jay Gould, in «Scienzainrete», 17 luglio 2012, http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/best-stephen-jay-gould?page=show; http://www.epistemologia.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=155:the-best-of-gould-paper&catid=23&Itemid=153.
[4] S.J. Gould, Omaggio di un biologo a Topolino, cit., p. 96.
[5] Marco Ferraguti e Carla Castellacci (a cura di), Evoluzione. Modelli e processi, Pearson, Milano 2011, pp. 156-160.
[6] S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, ed. it. a cura di Telmo Pievani, Codice edizioni, Torino 2003, p. 1292 (ed. orig. The Structure of Evolutionary Theory, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 2002).
[7] Ivi, p. 1293.
[8] Cfr. Alessandro Minelli, Forme del divenire. Evo-devo: la biologia evoluzionistica dello sviluppo, Einaudi, Torino, pp. 201-202.
[9] Cfr. Aldo Fasolo, Metamorfosi, in id. (a cura di), Dizionario di biologia, UTET, Torino 2004, pp. 610-612; p. 612. Caratteristiche fenotipiche pedomorfiche possono essere raggiunte anche attraverso progenesi (il corpo matura più lentamente rispetto allo sviluppo delle gonadi; è l’opposto della neotenia) o sviluppo diretto (se vengono saltate fasi intermedie di sviluppo ontogenetico).
[10] Per approfondimenti su questi temi è fondamentale S.J. Gould, Ontogenesi e filogenesi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2013, in particolare la sezione finale sulla neotenia nei primati e nell’uomo, pp. 317-362 (ed. orig. Ontogeny and Phylogeny, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London, 2003 [1977 1a ed.]). Per la neotenia negli anfibi cfr. Lisa Signorile, L’orologiaio miope, Codice edizioni, Torino 2012, pp. 141-145. Per i dinosauri e gli uccelli cfr. John A. Long e Kenneth J. MacNamara, Heterochrony, in Philip J. Currie e Kevin Padian (eds.), Encyclopedia of Dinosaurs, Academic Press, San Diego-London 1997, pp. 311-317; Bhart-Anjan S. Bhullar, Jesús Marugán-Lobó, Fernando Racimo,Gabe S. Bever, Timothy B. Rowe, Mark A. Norell e Arhat Abzhanov, Birds Have Paedomorphic Dinosaur Skulls, in «Nature» 487, 12 July 2012, pp. 223–226. doi:10.1038/nature11146; Andrea Cau, Pollosauri, giovani dinosauri e uccelli adulti, in «Theropoda», 28 maggio 2012,http://theropoda.blogspot.it/2012/05/pollosauri-giovani-dinosauri-e-uccelli.html
[11] S.J. Gould, Omaggio di un biologo a Topolino, cit., p. 95.
[12] L. Signorile, L’orologiaio miope, cit., p. 195.
[13] S.J. Gould, Omaggio di un biologo a Topolino, cit., p. 93.
[14] Ivi, p. 94.
[15] Daniele Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, Carocci, Roma 2009, p. 43. La rivoluzione operata dalla Marvel nei primissimi anni Sessanta del secolo scorso fu quella di puntare sulla dimensione comune dei protagonisti, per cui «l’eroe non è un alieno, per nascita o per scelta, che scende tra noi per aiutarci […]; l’eroe è uno di noi, cui un caso del destino […] ha donato poteri straordinari» (ibidem); da qui all’apertura nei confronti di pressanti tematiche sociali la strada fu breve (la discriminazione razziale e l’emarginazione sociale con gli X-Men, la contestazione dei campus statunitensi con l’Uomo Ragno, l’alcolismo con Iron Man, ecc.). Il modello dell’eroe come “alieno” era stato precedentemente sfruttato con successo dalla Dc Comics (si pensi a Superman o Batman); su tali questioni, e in particolare per i differenti meccanismi di identificazione del lettore con il protagonista, si rimanda al noto saggio di Umberto Eco intitolato Il mito di Superman, in Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano 1974, pp. 219-261 (1964 1a ed.).
[16] S.J. Gould, Omaggio di un biologo a Topolino, cit., p. 92.
[17] Alternativamente si può immaginare l’Uomo ragno come genotipo e le sue immagini come fenotipo; cfr. Norman MacLeod, Images, Totems, Types and Memes: Perspectives on an Iconological Mimetics, in «Culture, Theory and Critique», 50, 2-3, 2009, 185-208; p. 189.
[18] Si è trattato del secondo recente reboot dell’Uomo Ragno, dopo il sostanziale fallimento del rilancio modernizzatore tentato da John Byrne con il suo Spider-Man: Chapter One del dicembre 1998. Tali iniziative sono motivate dal fatto che la cosiddetta continuity, ossia il legame di una storia e dei suoi riferimenti con l’intera catena storica di vicende precedenti, viene talvolta considerata dagli addetti ai lavori come un ostacolo alla fruibilità per i lettori più giovani.
[19] Cfr. S.J. Gould, Omaggio di un biologo a Topolino, cit., p. 90.
[20] Cfr. N. Eldredge e S.J. Gould, Gli equilibri punteggiati: un’alternativa al gradualismo filetico, in N. Eldredge, Strutture del tempo, Hopefulmonster, Firenze 1991, pp. 219-268; p. 221 (ed. orig. Punctuated Equilibria: An Alternative to Phyletic Gradualism, in Thomas J.M. Schopf [ed.], Models in Paleobiology, Freeman, Cooper & Co, San Francisco 1972, pp 82-115).
[21] Cfr. Marco Ferraguti, Gli equilibri punteggiati messi alla prova, in Francesca Civile, Brunella Danesi, Anna Maria Rossi (a cura di), Grazie Brontosauro! Per Stephen Jay Gould, Edizioni ETS-Naturalmente Scienza, Pisa 2012, pp. 65-77.
[22] N. MacLeod, Images, Totems, Types and Memes, cit., p. 206.

Artt. indicizzati in Research Blogging:
Gould, S.J. (2008). A Biological Homage to Mickey Mouse Ecotone, 4 (1-2), 333-340 DOI: 10.1353/ect.2008.0045
Bhullar BA, Marugán-Lobón J, Racimo F, Bever GS, Rowe TB, Norell MA, & Abzhanov A (2012). Birds have paedomorphic dinosaur skulls. Nature, 487 (7406), 223-6 PMID: 22722850
MacLeod, N. (2009). Images, Totems, Types and Memes: Perspectives on an Iconological Mimetics Culture, Theory and Critique, 50 (2-3), 185-208 DOI: 10.1080/14735780903240125

Riferimenti Figg. 1, 2:
Legenda:
D, disegnatore
ASM, «
Amazing Spider-Man»
SSM, «Spectacular Spider-Man» / PPSSM, «Peter Parker, The Spectacular Spider-Man»
SMC, «Spider-Man Collection»
SMSI, «Spider-Man. Le storie indimenticabili»
URC, «Uomo Ragno Classic»
URSC, «Uomo Ragno» edizioni Star Comics
SM, «Spider-Man»
MO, «Marvel Oro»
URMI, «Uomo Ragno» edizioni Marvel Italia
WSM, «Web of Spider-Man»
URSE, «Uomo Ragno Speciale Estate»
USM, «Ultimate Spider-Man»
USMC, «Ultimate Spider-man Collection»

  1. Spider-Man, ASM 1, marzo 1963; fonte SMC 1, sett. 2004. D: Steve Ditko
  2. The Molten Man regrets...!, ASM 35, apr. 1966; fonte SMC 9, giugno 2005. D: S. Ditko
  3. Goblin Lives!, SSM 2, nov. 1968; fonte SMC 17, agosto 2006. D: John Romita Sr.
  4. The Punisher strikes twice!, ASM 129, feb. 1974; fonte SMSI 12, 2007. D: Ross Andru
  5. Ashes to Ashes, SSM 28, marzo 1979; fonte URC 62, marzo 1996. D: Frank Miller
  6. The spider and the burglar... a sequel, ASM 200, gen. 1980; fonte URC 67, agosto 1996. D: Jim Mooney
  7. Look out there’s a monster coming!, ASM 235, dic. 1982; fonte URSC 23, apr. 1989. D: John Romita Jr.
  8. Mistaken identities, SSM 87, feb. 1984; fonte, URSC, 15 nov. 1989. D: Al Milgrom
  9. Homecoming, ASM 252, maggio 1984; fonte URSC 39, 30 dic. 1989. D: Ron Frenz
  10. Copertina da PPSSM 107, ott. 1985; fonte URSC 64, 15 genn. 1991. D: Rich Buckler 
  11. Mysteries of the dead, ASM 311, genn. 1989; fonte URSC 100, 30 luglio 1992. D: Todd McFarlane
  12. Slugfest, SM 15, feb. 1992; fonte MO 4, giugno 1995. D: Erik Larsen
  13. Copertina da ASM 382, ott. 1993; URMI 164, 30 marzo 1995. D: Mark Bagley
  14. Time is on no side, SSM 216, sett. 1993; fonte URMI 177, 15 ott. 1995. D: Sal Buscema
  15. Pursuit – part one: The dream before, SM 45, apr. 1994; fonte URMI 171, 15 luglio 1995. D: Tom Lyle
  16. Shadow Rising, WSM 117, ott. 1994; fonte URMI 178, 30 ott. 1995. D: Steve Butler
  17. Copertina da Funeral for an Octopus 3, maggio 1995; fonte URMI 183, 15 gen. 1996. D: Ron Lim
  18. Spider-Man/Kingpin: To the death, nov. 1997; fonte URSE 2002. D: J. Romita Sr.
  19. Life Lessons, 6 apr. 2001; fonte USMC 1. D: M. Bagley
  20. USM Annual 3, dic. 2008; fonte USMC 25. D: David Lafuente
  21. Ultimatum – part 4, USM 132, luglio 2009; fonte USMC 24. D: Stuart Immonen
  22. Copertina variant da USM 153; fonte USMC 29. D: Sara Pichelli

martedì 16 aprile 2013

My Beloved Brontosaurus: an Interview with Brian Switek about memories, dinosaurs and the depth of time

The amazing artwork by Mark Stutzman displayed on the cover of Brian Switek’s latest book, My Beloved Brontosaur: On the Road with Old Bones, New Science, and Our Favorite DinosaursNew York: Scientific American / Farrar, Straus and Giroux,  2013. Image from here; this image is copyrighted, and used with permission.
Thanks to the kindness of Brian Switek and the efficiency of his editorial publicist at FSG, I have recently had the chance to read Switek’s last adventure in the realms of history of science and paleontology, My Beloved Brontosaurus, which is officially available in bookstores (both traditional and digital) starting from today.
Brian has accepted once more to share some thoughts about the long-awaited sequel to Written in Stones; thus, in order to celebrate the book launch, I am delighted to present Switek’s new interview! (the old interview is available here).
Happy reading!

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1. Dinosaur exhibitions on display worldwide in natural history museums often motivate lifelong interest and curiosity in young spectators. In a few cases, this fascination may lead to a career in paleontology or science communication.
Even now, I can recall the magic sense of wonder felt more than twenty years ago during the local temporary exhibition which featured the grandeur of the skeletons of Mamenchisaurus hochuanensis and Tsintaosaurus spinorhinus, arising from the depths of time in front of me. Despite their colossal size, dimension was not a key feature to me: a year earlier, in a very cold winter afternoon, I was amazed by a tiny Hypsilophodon foxii cast on display in a central square of my hometown. The transition from something known as a book illustration to something three-dimensional was simply an astounding experience.
This is the stuff which My Beloved Brontosaurus is made of: you took all the dreams and inspiration drawn from childhood’s memories and you paid homage to every bewitched child standing in awe in front of a dinosaur, with a clear prose and a skeptic eye never obfuscated by your enthusiasm. As an act of love, from the title until the very last word, your book is indeed a very personal narration, packed with a lot of autobiographical recollections (not to mention your decision to live in Utah, to be closer to dinosaur rich geological formations and institutions).
Could you please summarize here your first childhood encounters with dinosaurs and fossils?

Brian Switek: I wish I could remember more. My parents tell me that my fascination with dinosaurs started quite early, but I don’t have many memories of them until I was about five years old. During my first day of nursery school, I scribbled a drawing of a whale and a pterosaur (not a dinosaur, but similar enough!). Almost any big, imposing, or weird animal sparked my imagination. I played with toys of prehistoric creatures, watched documentaries, read books about them, and spent hours doodling dinosaurs on construction paper.
But what really crystallized my love of dinosaurs was my first visit to the American Museum of Natural History in New York City. This was in 1988, I think, and was still about a decade before the renovation of the museum’s great fossil halls. The Jurassic Dinosaur Hall was gloomy and dusty, and the old “Brontosaurus” mount stood in the middle of it all. The sauropod’s tail drooped, and the wrong skull tipped the end of the dinosaur’s low slung neck. “Brontosaurus” was magnificent, principally because I didn’t know the dinosaur was so wrong. So many of the books I had were outdated titles that showed dinosaurs just like this, and here I was in the presence of the actual bones. The “Brontosaurus” skeleton was just so big, and so lovely in detail. I couldn’t resist trying to imagine what the dinosaur must have sounded like. To see restorations or play with sauropod models in the sandbox was one thing. To be in the presence of the dinosaur’s bones itself solidified my passion for dinosaurs, and I’ll never forget how it felt to walk beneath the great bones of my favourite childhood dinosaur. 

Fig. 1. The 1992 exhibition which featured some of the most amazing original Chinese dinosaur skeletons known at that time (“Dinosaurs: Il mondo dei dinosauri: Italia 1991/1993” – in collaborazione con Natural History Museum, Shangai; Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento; Museo Friulano di Storia Naturale di Udine, Udine; Presidenza della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università “La Sapienza” di Roma).








2. «Knowledge begins with wonder» and, as K.M. Parsons put it, «when we think about dinosaurs, therefore, imagination must always supplement fact» (2001: 175). From the tangled story behind the restoration of the headless “Brontosaurus” (not to mention the sauropods’ trunk restoration), to W.D. Matthew’s idea of dinosaurs capable of live birth, from the (supposed) missing clavicles advocated by paleoartist G. Heilmann to the underwater lambeosaurines of old, the intertwined history of dinosaur restorations, paleobiological theories and bizarre hypothesis is just as fascinating as the mainstream paleontological studies recorded in the more traditional textbooks of evolutionary biology or paleontology. Many imaginative proposals, more or less successful, falsified or still contentious, can be found in your book.
What is your personal favourite “heretic” paleontologist and/or paleobiological ideas?

B.S.: There are so many to choose from! Paleontology is where science and imagination meet, and some degree of speculation is always intertwined with science. We’re always pushing at the edges of what we know into how dinosaurs might have actually lived. So it’s really not surprising that there’s no shortage or more or less fanciful ideas about dinosaur lives. 
If I have to pick just one example, I think the aquatic Parasaurolophus of my childhood has to be it. When I first met dinosaurs, hadrosaurs were almost always presented paddling around lakes or sifting algae from swamps. This made sense given their popular name – these were the “duckbilled” dinosaurs. (I think “shovel-beaked” is a far more apt term, but I haven’t seen much acceptance of the new term despite pushing for it in the book and on my blogs.) And as John Ostrom pointed out in the 60s, hadrosaurs didn’t have any obvious defensive weapons such as horns or spikes. During a time when tyrannosaurs ruled, the only chance the hadrosaurs had was to escape into the water. Or so the argument went, anyway.
And the crests of some hadrosaurs played into this imagery. Within an aquatic setting, the long, hollow crest of Parasaurolophus looked like an air tank or some kind of anchor for a trunk that could reach above the water. The unfounded belief that hadrosaurs must have been amphibious dinosaurs led the form of interpretations. It was really only when paleontologists started considering the crest alone that other possibilities became apparent – display, and perhaps sound. By the 80s, the idea that the crest had more to do with signalling – visually or acoustically – had superseded the other explanations, even though I still saw swimming Parasaurolophus in books and films. Thankfully, I think that imagery is now long gone, but it took quite a long time to root out.
The case is a good representation of the puzzles that bizarre dinosaur features present to paleontologists. Weird crests, arrays of horns, rows of armor, and the like don’t just pop up for no reason. They have to evolve. But determining the function of such structures is fraught when we can’t observe the living animals, and even figuring out the function of a structure doesn’t necessarily tell us how that feature evolved. I can only imagine how the ideas we have about bizarre dinosaur features are going to change as paleontologists continue to investigate those features.

Fig. 2. A trio of underwater grazing Parasaurolophus. The original caption emphasized the «almost extraterrestrial aspect of  this dinosaur, with its webbed fingers  and, above all, its strange, hollow crest». From the Panini sticker album Animali preistorici, by R. D’Ami & C. Porciani, p. 12. © Riproduzioni Editoriali D’Ami, 1992 (first edition 1974); printed by Panini.

3. My Beloved Brontosaurus underscores the undeniable value of dinosaur paleontology in the understanding of life history on Earth – and for the theory of evolution as well. The history of dinosaur paleontology is an ever-changing field, filled with unpredictable discoveries. Today, the pace of research has dramatically increased since technical studies are being published nearly on a daily basis. And this is what makes this field intriguing and still fascinating.
Now, if you were to name and summarize the three major accomplishments of what T.H. Holtz Jr. labelled as the current Dinosaur Enlightenment, and the three most difficult tasks still unresolved (but hopefully answered in the nearest future), what would you pick?

B.S: The accomplishments of the Dinosaur Enlightenment have primarily been in terms of applying new techniques to paleontology in order to test ideas and develop new hypotheses. The Dinosaur Renaissance spurring an image shift based on gross anatomy and considering dinosaurs as animals (rather than just piles of old bones), but it still took a number of years for paleontologists to develop the tools necessary to really start testing the ideas of the Dinosaur Renaissance. For example, the increased accessibility and power of computer software has allowed paleontologists to virtually put dinosaurs through their paces to examine running speed and range of motion, to see just how speedy and agile they truly were. And there have been some unexpected boons, as well, such as the realization that melanosomes in dinosaur feathers can be compared to those of modern birds to reconstruct ancient color. Paleontologists are applying new techniques and technologies in the subfields of geochemistry, histology, finite element analysis, biomechanics, 3D imagery, and others to draw more information from old bones than ever before, and these new lines of evidence help generate new questions. Really, the success of the Dinosaur Enlightenment is a combination of paleontologists running with the renewed interest in dinosaurs as real animals that the Dinosaur Renaissance spurred, and using that enthusiasm to approach questions that we never thought we’d be able to answer.
Of course, a great deal about dinosaur biology remains unanswered. We still don’t really know what the physiology of dinosaurs was like. The weight of the evidence suggests that, in general, dinosaurs were highly active animals that maintained high body temperatures and were more like birds and mammals than reptiles, but beyond that very general level there is much we still don’t know. The key question at the heart of the Dinosaur Renaissance has yet to be fully answered. Whether or not dinosaurs exhibited sexual dimorphism is another prickly problem. Differences between the dinosaur sexes has been proposed multiple times, but never in a truly compelling case. Is this because dinosaurs were not sexually dimorphic, or because there are flaws in our samples and techniques? Perhaps the biggest question of all is why the non-avian dinosaurs went extinct at the end of the Cretaceous. What wiped them out, along with other forms of life, but allowed avian dinosaurs to survive? Everyone agrees on the major players of the end-Cretaceous extinction – volcanic eruptions, climate change, and asteroid impact – but we still don’t know how those pressures translated into extinction. Some of the classic dinosaur mysteries persist even now. 

4. Judging from the terrific amount of information you collected during all these years of scientific blogging, I suppose that you have put a considerable effort in the preliminary choice of materials for My Beloved Brontosaurus.
Is there a particular topic that you feel you left untouched in the final draft of your book?

B.S.: There’s always more to say about dinosaurs than can fit in any one book. I really wanted to spend more time on relatively new dinosaur discoveries – the spinosaurs, rebbachisaurids, and the like – but I felt that I should focus on classic dinosaurs in order to give readers a firmer grounding for the concepts I wanted to discuss. And I wanted to spend more time discussing dinosaur physiology, but the chapter did not come together in quite the way that I hoped. That chapter was going to mention polar dinosaurs, which I regret leaving out. I love imagining fluffy dinosaurs in the snow. But I knew going in that I wouldn’t be able to cover all the topics I wanted to. I wanted to pick specific examples that demonstrated how far our understanding of dinosaurs has come in the past 25 years, and I think the book meets that goal.

5. «We need dinosaurs» is the most important message of your book. We need them at least for two important reasons: the crucial point at stake here concerns the historiography of evolution, for dinosaurs were scarcely considered at the High Table of Life History, until a short time ago (and largely excluded from evolution textbooks, dominated by invertebrates and mammals as protagonists of the most important evolutionary studies). Nevertheless, as Padian and Burton (2012) recently wrote, dinosaurs were key factors and important case studies in the making of macroevolutionary thought during the 19th century (as they were favoured by heterodox supporters of paradigms which involved directed, degenerated or teleological evolution, subsequently falsified). We cannot understand those periods without a profound and updated knowledge of dinosaurs.
In the second place, as S.D. Sampson (2009) wrote, people involved in science communicators should take advantage of dinosaur fame (as you do) «to reinsert ourselves into the fabric of time, deriving meaning from our past and contemplating our responsibility for future generations» (Sampson 2009: 277), to teach the «Great Story» of life history (276-277) as well as the basic concepts of our evolutionary background on Earth.
Now that your work about dinosaurs is done (at least for the moment), what chapters of life history do you think you will cover in your next literary enterprise in order to put into context our evolutionary history, both unpredictable and amazing?

B.S.: Dinosaurs are an important anchor for our understanding of the past. The numbers are so big that we can’t even fully understand what they mean, but saying that dinosaurs evolved 245 million years ago and the non-avian forms went extinct 66 million years ago helps puts the paltry 6 million year run of humans into context. When discussing prehistory, it’s a common trope for writers to say that a particular creature lived before or after the reign of the dinosaurs – we’re always using dinosaurs to gauge history. 
I wouldn’t say that I’m done with dinosaurs, but I want to use the conclusion of My Beloved Brontosaurus as a jumping-off point for one of my new projects. The fossil record is a rich source of information about how organisms have reacted to climate change and other fluctuations that are still going on today. Rather than simply documenting the past, fossils might give us some clues about the future shape of life. If estimates of future global warming are correct, for example, we’re approaching a greenhouse climate last seen 55 million years ago during the Paleocene-Eocene Thermal Maximum (about 10 million years after the last non-avian dinosaurs disappeared). By studying how insects, mammals, plants, and other organisms reacted to this warm period, maybe scientists can outline how today’s organisms will react to human-driven climate change and therefore inform conservation plans. Clues about the future may very well be locked in the past.

Refs.

Padian, K., & Burton, E.K. 2012
Dinosaurs and Evolutionary Theory, 1057-1072. In Brett-Surman, M.K., Holtz, Thomas R., Jr. & Farlow, J.O. (2012). (eds.). The Complete Dinosaur. Second Edition. Bloomington-Indianapolis: Indiana University Press.

Parsons, K.M. 2001
Drawing Out Leviathan: Dinosaurs and the Science Wars. Bloomington-Indianapolis: Indiana University.

Sampson, S.D. 2009
Dinosaur Odyssey: Fossil Threads in the Web of Life. Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press.

domenica 7 aprile 2013

I magisteri separati di Stephen Jay Gould: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #1

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
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Robert N. McCauley (William Rand Kenan Jr. University Professor e Director, Center for Mind, Brain, and Culture presso la Emory University), filosofo della scienza e uno dei pionieri nel campo delle scienze cognitive della religione, ha recentemente dato alle stampe un titolo di grande interesse nel panorama disciplinare attuale, intitolato Why Religion Is Natural and Science Is Not. ResearchBlogging.org Il testo si può considerare come il punto d’arrivo di una lunga stagione di ricerche cominciate all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso; inoltre, presenta una sintesi argomentata che prende in considerazione le più aggiornate conoscenze delle scienze cognitive e della psicologia evoluzionistica, corredata da una bibliografia esauriente, di grande utilità per qualunque studio futuro sull’argomento.
Considerato che una discussione sui temi di questo libro si inserisce bene nel filone cognitivista inaugurato di recente su Tempi profondi, credo sia interessante cominciare una serie di interventi autoconclusivi (o, se si preferisce, un laboratorio di appunti e riflessioni per un articolo prossimo venturo), il cui obiettivo è quello di fornire alcune informazioni fondamentali sul contenuto del testo di McCauley.
È necessario sgombrare subito il campo da un possibile malinteso: nonostante i possibili equivoci in merito al titolo dell’opera, non si tratta di un testo apologetico scritto per difendere la religione e per attaccare la scienza. Tutt’altro; l’autore sistematizza gli ultimi decenni di studio cognitivista e propone un raffinato confronto tra i fondamenti cognitivi della religione e della scienza. La sintetica rappresentazione delle due posizioni fondamentali in merito al confronto tradizionale tra scienza e religione viene esposta nell’ultimo capitolo del volume. Seguendo McCauley, le due strategie tradizionali sarebbero grosso modo le seguenti:
  1. i sostenitori della scienza affermano e ricordano la forza epistemologica e la capacità ineguagliata, tra tutte le attività umane, di produrre e aumentare le conoscenze grazie al metodo e al processo scientifico [1];
  2. i sostenitori della religione criticano le presunte limitazioni e ristrettezze del punto di vista scientifico (corrette dall’«abbondanza metafisica» [2] dei contenuti religiosi), proponendo invece che il riferimento ad agenti invisibili aiuti «a dare un senso all’esperienza umana, a sostenere ciò che [tali sostenitori] ritengono siano i corretti comportamenti morali e sociali, e a incorniciare le più spaventose questioni che gli esseri umani devono affrontare, in particolare quelle riguardanti la loro mortalità» [3].
La forma forse più rappresentativa che sancisce in modo piuttosto netto il rapporto tra le due sfere di competenza di scienza e religione è, secondo l’autore, quella proposta dal paleontologo e storico della scienza Stephen Jay Gould, esposta compiutamente nel suo libro I pilastri del tempo. Sulla presunta inconciliabilità tra fede e scienza [4]. In quel testo Gould affermava che
«il magistero della scienza si estende nel regno dell’empirico per appurare di che cosa è fatto materialmente l’universo e perché in teoria funziona così [mentre il] magistero della religione si estende alla questione dei significati ultimi e dei valori morali» [5].
La strategia pacificatrice di Gould, definita dei “magisteri non sovrapposti” (MNS oppure, secondo il più noto acronimo inglese, NOMA, Non-Overlapping Magisteria) è quella di eliminare alla radice ogni possibile conflittualità tra le due sfere di interesse: «questi due magisteri non si sovrappongono né coprono tutti i capi di indagine» [6], per cui ciascun magistero detta la propria legge nel proprio campo di indagine evitando l’intervento ove esso non sia del tutto pertinente e sostenendo nel contempo un rispetto reciproco [7].
Si tratta però di un punto di vista nato in un determinato contesto, ora abbastanza datato e desueto, e che fa sorgere più di un dubbio riguardo alle sue attuali attendibilità e applicabilità [8]. Innanzitutto McCauley nota che, ad esempio, per poter esprimere argomenti persuasivi riguardo alla mortalità e al significato ultimo la religione deve fare appello a contenuti esterni al proprio magistero [9]. In secondo luogo, per quanto la scienza sia un’attività incomparabilmente valida nel mondo empirico, essa è un’attività «giovane, opera con risorse limitate, è difficile da imparare, le nostre vite sono brevi e il mondo è vasto e complicato. Inoltre, la scienza è un processo senza fine», poiché mentre si continua a fare ricerca si imparano cose che non si conoscevano e cambiano anche le conclusioni alle quali si era giunti (poiché si modificano conseguentemente anche le domande) [10]. Insomma, intuitivamente restiamo sempre alla mercé dei vincoli stabiliti dai nostri sistemi cognitivi maturativamente naturali [11] (torneremo su questo punto nei prossimi post); porli sotto controllo significa modificare significativamente e con sforzi intellettuali considerevoli le nostre aspettative sul mondo. In ultima istanza, McCauley ritiene che l’offerta pacificatrice dei NOMA sia una sorta di «gioco di prestigio normativo» [12] (ovvero, un proposito ingannevole), per i seguenti motivi:
  1. Gould esclude il creazionismo da quella che egli considera come la rappresentanza ufficiale della religione: «I creazionisti non rappresentano il magistero della religione» [13]. Non sussistendo le basi razionali per sostenere tale assunto, McCauley ritiene che la posizione gouldiana possa essere giudicata come implicitamente teologica [14], che non prenda in considerazione il giudizio dei diretti interessati, ossia «le sensibilità religiose di centinaia di milioni di persone» in materia di credenza personale, e che «invent[i] una norma pregiudiziale dove [stando al medesimo manifesto dei NOMA. NdA] norme di tale genere non dovrebbero esistere» [15];
  2. il fatto che i sostenitori della religioni si rifacciano perlopiù a posizioni morali dimostra l’inconsistenza della suddivisione proposta: la teologia tenta da sempre di inseguire e dare un senso alle inclinazioni naturali (e spesso fallaci) dei nostri sistemi naturali maturativamente cognitivi, mentre la scienza si allontana continuamente e sempre di più dalle risposte automatiche dei nostri sistemi mentali che conformano la nostra visione quotidiana del mondo secondo luoghi comuni [16];
  3. qualunque modello di spiegazione volto a dare un senso alle cose deve stabilire un riferimento «alle origini, alla formazione e al comportamento» di quelle cose e in particolare «alle nostre origini, alla nostra formazione a al nostro comportamento»: il processo attraverso il quale la religione stabilisce il senso e il significato delle cose e dell’esistenza o del comportamento dell’uomo in particolare impiega sempre assunti esplicativi onnicomprensivi espliciti (come nel caso dei creazionisti) o impliciti [17].
Quindi, per riuscire ad accettare i NOMA secondo McCauley occorrerebbe alternativamente ignorare il ruolo della spiegazione sia scientifica sia religiosa nel processo di creazione della conoscenza e del senso delle cose, ignorare la tensione logica tra i due tipi di spiegazione, oppure ignorare entrambi i modelli esplicativi [18]. Come conclude McCauley,
«la concezione gouldiana del rapporto tra scienza e religione non rappresenta esattamente una pace raggiunta costi quel che costi, ma sembra che si possa piuttosto considerare (alla luce di questi problemi normativi), come una pace raggiunta ad un costo davvero troppo elevato» [19].
Pur tuttavia, la suddivisione di Gould rispecchia alcuni punti validi e in linea teorica plausibili:
«la scienza, dopo tutto, ha il suo interesse principale nella descrizione, spiegazione, predizione e manipolazione del mondo empirico. Le religioni manifestano un interesse ricorrente negli standard della condotta umana e nei resoconti sul significato ultimo della vita umana, basati su presupposti che riguardano agenti empiricamente inaccessibili. Ciò nonostante, tali verità lapalissiane non escludono attriti tra le due attività» [20].
Anche riformulando i NOMA gouldiani per incorniciare un argomento volto a «conclusioni in qualche modo meno ambiziose», l’esito non cambia. Consideriamo con McCauley la seguente struttura ipotetica:
«1) le scoperte della scienza riguardano il mondo empirico (disponibile intersoggettivamente); 2) pressoché tutti gli dèi vengono ritenuti empiricamente inaccessibili per la maggior parte del tempo; di conseguenza, 3) le scoperte scientifiche, così come qualunque scoperta empirica di qualunque tipo essa sia, non avranno di norma alcuna rilevanza sulle asserzioni riguardanti le divinità» [21].
Il problema di tale posizione, secondo McCauley, è che per ovviare alle evidenti limitazioni sottolineate nel secondo punto, e per sostenere in qualche modo la responsabilità delle spiegazioni proposte, i teologi e gli specialisti della religione formuleranno e descriveranno comunque e in ogni caso le loro divinità, o le azioni di queste ultime, come se fossero rilevabili empiricamente. Come annota l’autore,
«Anche nel caso in cui questi rappresentanti religiosi violino palesemente il secondo punto, essi possono sempre sostenere una qualche difesa teologica che li ponga al riparo dalla contestazione empirica» [22],
ad esempio, che i loro agenti controintuitivi e invisibili agiscono proprio per mezzo dei processi scientifici descritti scientificamente o che, essendo costoro liberi da costrizioni empiriche, tali agenti possono eludere i sistemi di ricognizione empirica [23].
Quali sono quindi le interpretazioni e le proposte di McCauley in merito a questo annoso problema? Presentiamo di seguito i punti cardinali e conclusivi della ricerca del cognitivista, anticipati dallo stesso McCauley fin dalle primissime pagine del libro per facilitare l’orientamento del lettore in un campo tanto affascinante quanto complicato, e ripresi come memorandum nelle pagine finali:
  1. i paragoni solitamente condotti tra scienza e religione sono basati su fondamenti errati;
  2. la produzione di contenuti teologicamente scorretti è inevitabile;
  3. la scienza in quanto tale non pone alcun pericolo per la sopravvivenza della religione;
  4. alcune disabilità nell’ambito cognitivo vanificano la presa cognitiva della religione;
  5. la scienza è un’operazione eminentemente sociale;
  6. la scienza dipende profondamente dal sostegno istituzionale;
  7. la sopravvivenza della scienza non è scontata perché le basi della sua esistenza sono fragili [24].
Nei prossimi post della serie cercherò di fornire una spiegazione sintetica di ciascun punto elencato.

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 224.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. 226 (cit. da Stephen J. Gould, I pilastri del tempo. Sulla presunta inconciliabilità tra fede e scienza, il Saggiatore, Milano 2000, p. 13 [ed. orig. Rocks of Ages: Science and Religion in the Fullness of Life, Ballantine Books. A Division of Random House, New York 1999]. La prima formulazione delle idee espresse in questo volume è stata presentata da Gould in Non-Overlapping Magisteria, in «Natural History», 106, 3, 1997, pp. 16-22, 60-62; l’art. è stato poi inserito in Leonardo’s Mountain of Clams and the Diet of Worms, Harmony Books, New York 1998, pp. 269-284 (trad. it. I distinti magisteri di scienza e religione, in I fossili di Leonardo e il pony di Sofia, il Saggiatore, Milano 2004, pp. 273-286).
[5] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, cit., p. 224.
[6] Per dirla in altri termini gouldiani: «[…] la scienza stabilisce l’età delle rocce, la religione ha le sue fondamenta nella roccia dei tempi, la scienza studia com’è il cielo, la religione come andare in cielo» (da S.J. Gould, I pilastri del tempo, cit., p. 14).
[7] Si veda inoltre l’esauriente analisi offerta in Patricia H. Kelley, Stephen Jay Goulds Winnowing Fork: Science, Religion, and Creationism, in Warren D. Allmon, P.H. Kelley e Robert M. Ross (eds.), Stephen Jay Gould: Reflections on His View of Life, Oxford University Press, Oxford-New York 2009, pp. 171-188. Secondo il progetto dei NOMA, «non dovrebbe esistere alcun conflitto inerente ai due magisteri; al contrario, il conflitto evidente ha luogo quando il principio dei NOMA viene violato da entrambe le parti, ad esempio quando gli scienziati traggono conclusioni morali dalle loro scoperte o quando i creazionisti impongono i loro dogmi sul magistero della scienza» (ivi, p. 174). L’atteggiamento di Gould  nei confronti del creazionismo deriverebbe dalla presa di posizione contro l’uso scorretto e l’abuso ideologico della teoria degli equilibri punteggiati in ambito fondamentalista statunitense (cfr. ivi, p. 172). Per comprendere i NOMA anche come tassello della contrapposizione decisa di Gould nei confronti della sociobiologia wilsoniana cfr. Alessandro Ottaviani, Stephen Jay Gould, Ediesse, Roma 2012, p. 158.
[8] Cfr. Telmo Pievani, La vita inaspettata. Il fascino di unevoluzione che non ci aveva previsto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, pp. 188 e sgg.
[9] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, cit., p. 226.
[10] Ivi, p. 227.
[11] Le principali caratteristiche della naturalità maturativa (maturational natural cognition) sono le seguenti:
  1. sono state acquisite nella primissima infanzia e il ricordo del loro conseguimento di norma non permane;
  2. non sono associate ad alcun uso di artefatti;
  3. non richiedono una strutturazione cosciente dell’insegnamento da impartire da parte degli adulti;
  4. non dipendono da particolari culturali.
Oltre a ciò, si tratta in genere di caratteristiche che non sono state inventate da nessuno (e pertanto non vanno “apprese” nel senso comune del termine) e che spesso condividiamo con gli altri vertebrati (con i dovuti distinguo); cfr. ivi, p. 22. Gli esempi più banali e diretti in proposito sono i processi ontogenetici di sviluppo della lingua parlata e della deambulazione.
[12] Ivi, p. 227.
[13] Ibidem (cit. da S.J. Gould, I pilastri del tempo, cit., p. 138). Il passaggio cit. continua nel modo seguente, dimostrando l’inapplicabilità dei NOMA in un contesto ove il creazionismo è di fatto diventato un problema pressoché globale: i creazionisti, secondo Gould, «propagandano zelantemente una particolare dottrina teologica, una visione della religione intellettualmente marginale e demograficamente minoritaria che vorrebbero imporre al mondo intero»; ivi, pp. 138-139). Su questo punto cfr. P.H. Kelley, Stephen Jay Goulds Winnowing Fork, cit., pp. 180 e sgg. Sulla dimensione ormai globale del creazionismo cfr.  Ronald L. Numbers, The Creationists: From Scientific Creationism to Intelligent Design. Expanded Edition, Harvard University Press, Cambridge-London 2006 (1a ed. 1992), in part pp. 373-431.
[14] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, cit., p. 227.
[15] Ivi, p. 246. Sull'argomento cfr. P.H. Kelley, Stephen Jay Goulds Winnowing Fork, cit., p. 180 e sgg.
[16] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, cit., p. 228.
[17] Ivi, p. 229. Cfr. T. Pievani, La vita inaspettata, cit., p. 190: «La non sovrapponibilità dei due magisteri, quindi, è violata sia di fatto che di principio. L’impermeabilità delle due “competenze” sopravvive, se proprio è il caso, come un’indicazione operativa, come un suggerimento di buon senso quotidiano, valido soprattutto quando le due forme di ricerca convivono nello stesso individuo, per evitare strumentalizzazioni dell’una rispetto all’altra nel dibattito pubblico».
[18] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, cit., p. 229.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem. Per alcuni risvolti o intuizioni positive presenti nell’analisi gouldiana cfr. P.H. Kelley, Stephen Jay Goulds Winnowing Fork, cit., pp. 177-180.
[21] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, cit., p. 245.
[22] Ibidem.
[23] Ivi, p. 246.
[24] Ivi, p. 9 e 230.

Art. indicizzato in Research Blogging:
Gould, Stephen Jay (1998). Non-Overlapping Magisteria. Leonardo's Mountain of Clams and the Diet of Worms, 269-284 DOI: 10.4159/harvard.9780674063365.c14