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domenica 1 settembre 2013

Di balene, elefanti e cespugli: Written in Stones: Evolution, the Fossil Record, and Our Place In Nature [repost 2010]

Due edizioni del testo di Brian Switek Written in Stones: da sinistra, Bellevue Literary Press (2010) e Icon Books Ltd (2011).
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In questo post riprendiamo e aggiorniamo una sintesi dei temi presentati da Brian Switek nel suo primo libro, intitolato Written in Stones: Evolution, the Fossil Record, and Our Place In Nature e pubblicato per i tipi di Farrar, Straus & Giroux nel 2010. Il post originale è stato precedentemente pubblicato on line il 23 ottobre 2010. Presso questo link si può invece leggere l'intervista rilasciata all'autore da Switek in quello stesso anno.

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ResearchBlogging.orgL'introduzione è interamente dedicata al fossile battezzato come Darwinius masillae nel 2009, e noto ai media con il nomignolo di Ida. Prendendo spunto dalla scoperta di Ida, Switek propone una riflessione in merito al recente amalgama di media, pubblicità e paleontologia che ha preso piede nel contesto statunitense – peraltro da sempre attento alla spettacolarizzazione delle scoperte paleontologiche allo scopo di ottenere i finanziamenti privati o giustificare un tornaconto dell'investimento effettuato. L'importante reperto, un primate risalente a circa 47 milioni di anni fa, era stato propagandato come il primate antropoideo più antico (e perciò il taxon cronologicamente più distante ma filogeneticamente più vicino a Homo sapiens), ossia una vera e propria pietra miliare della paleontologia dei primati. Il motivo di tale pubblicità è reperibile nei motivi meramente economici che stanno a monte della storia del reperto: il fossile era stato acquistato a carissimo prezzo da un rivenditore intermediario, e come controparte per la spesa erano stati pianificati documentari e un battage pubblicitario degno di Hollywood. Purtroppo la fretta alimentata dalle scadenze e dalle pressioni finanziarie non ha giovato alla descrizione del fossile e la vicinanza filogenetica di Darwinius agli antropoidi (ipotesi già piuttosto debole in partenza) è stata in seguito contestata; attualmente il taxon è riposizionato con Afradapis sul "ramo" che porta ai lemuri attuali. Parenti sì, ma più lontani di quanto ipotizzato. Il contributo di Switek ha il merito di considerare l'importante e decisivo contributo dei blog scientifici nella diatriba seguita alla presentazione pubblica del fossile, e perora la causa di una più equilibrata ed informata valutazione delle notizie, spesso scorrette, diffuse dai media giornalistici [1].

I due capitoli che seguono affrontano invece la storiografia della biologia evoluzionistica e della paleontologia, ripartendo dalla scarsa rilevanza riservata al tema evoluzionistico e selezionista verso la metà dell'Ottocento nel contesto inglese. L'esempio di Patrick Matthew è esemplare: per quanto in modo incompleto, Matthew aveva grosso modo preceduto editorialmente sia Darwin che Wallace nella sua succinta trattazione del tema evoluzionistico in chiave proto-selezionista, ma questa era stata relegata in un'appendice del testo On Naval Timber and Arboricolture (1831; p. 63. Darwin incluse poi una trattazione delle idee di Matthew nella terza edizione dell'Origin of Species, 1861). La stessa fredda accoglienza delle idee di Darwin e di Wallace da parte della Linnean Society nel 1858 aveva dimostrato la silenziosa inerzia che regnava in quel clima culturale, diviso tra un vitalismo evolutivo e teleologico e l'accettazione del creazionismo teologico (con svariate sfumature tra le due posizioni). Dopo la pubblicazione dell'Origin of Species (24 novembre 1859), però, questo tiepido benvenuto lasciò spazio ad una veemente reazione: gli studiosi, perlopiù attaccati ai due modelli testé ricordati, non tardarono a far sentire la propria voce. A libro ancora caldo di stampa, il biologo e paleontologo Sir Richard Owen dalle colonne dell'Edinbugh Review, protetto da un malcelato quanto riconoscibile anonimato, fu il primo a lamentarsi dell'impostazione gradualistica delle idee darwiniane. Persino i più fervidi sostenitori di Darwin, come il fedele Thomas Henry Huxley e il geologo Charles Lyell, rimasero insoddisfatti della trattazione darwiniana della documentazione fossile, il primo preferendo mutazioni su larga scala per mezzo di salti evolutivi, il secondo essendo rimasto turbato dalla prospettiva sull'evoluzione umana (p. 68). La frustrazione di Darwin è sottolineata da queste parole contenute in una lettera indirizzata al paleontologo statunitense Joseph Leidy:
«Molti paleontologi (con davvero poche buone eccezioni) disprezzano interamente il mio lavoro; di conseguenza la sua approvazione mi ha molto gratificato. Tutti i geologi più anziani (con l'eccezione del solo Lyell, che considero però come un  intero esercito) sono persino più veementi contro le modifiche delle specie di quanto non lo siano i paleontologi» (1861; p. 68). 
Paradossalmente, la critica paleontologica e demolitrice mossa da Owen all'opera di Darwin gettò alcune delle basi teoriche per quanto riguardava il sostegno documentario fossile del paradigma evolutivo darwiniano.

I capitoli che seguono, e che elenchiamo per punti, trattano delle transizioni evolutive che permisero il "passaggio" contingente tra quelli che un tempo erano riconosciuti come i linneani compartimenti stagni della vita sulla terra. Non si devono però confondere questi "passaggi" con il desueto concetto degli "anelli mancanti". Essendo la variabilità individuale la base sulla quale si innesta il motore dell’evoluzione, qualunque organismo potrebbe benissimo essere un "anello di congiunzione" tra qualcosa di precedente e qualcosa di successivo: la concezione dell'"anello mancante", frutto di un vetusto costrutto intellettuale, ha oggi esaurito la sua funzione euristica ed è stata sostituita (per così dire) dalla ricerca paleontologica e genetica dell’ultimo antenato comune, un territorio esplorato dalla sistematica filogenetica. Inoltre i processi di speciazione non cancellano l'esistenza degli antenati di un nuovo clade, i quali continuano ad evolversi, magari conservando grosso modo il bauplan di partenza (ossia la morfologia anatomica di base).
  • pesci-tetrapodi (From Fins to Finger)
In questo capitolo vengono passate in rassegna le implicazioni del rifiuto di una singola uscita dall'acqua come modello univoco per spiegare la colonizzazione delle terre emerse da parte dei tetrapodi acquatici. In breve, la cooptazione di elementi del bauplan dei tetrapodi per la vita sulla terraferma non corrisponde ad una progressione lineare di forme teleologicamente indirizzate alla "conquista della terra", poiché la radiazione evolutiva dei primi tetrapodi acquatici testimonia un pattern ramificato, fatto di molteplici "entrate" e "uscite" dall'acqua. L'aspetto storiografico resta prominente: le discussioni ottocentesche su Archegosaurus, un temnospondile ritenuto da Owen vicino ai tetrapodi che effettuarono il passaggio definitivo dall'acqua alla terra, conducono fino al recente Tiktaalik (descritto da Daeschler, Shubin e Jenkins nel 2006), un fossile particolarmente importante per comprendere la cooptazione evolutiva di elementi scheletrici ancora utili in un ambiente acquatico (ad esempio, la struttura del cinto scapolare, un tempo legata esclusivamente alla progressione evolutiva verso gli anfibi).
  • dinosauri-uccelli (Footprints and Feathers on the Sands of Time)
Si prosegue con le impronte tridattile di Edward Hitchcock nel Massachusetts ottocentesco, impresse da dinosauri teropodi (ma interpretate come aviane da Hitchcock), per giungere agli stupefacenti fossili di dinosauri piumati cinesi scoperti a partire dalla metà del Novecento e alle più recenti ricerche sui sacchi aerei nei dinosauri saurischi (ossia il complesso sistema di ventilazione collegato ai polmoni presente oggi negli uccelli). Il legame tra dinosauri e uccelli attuali è sottolineato incontrovertibilmente dalle più recenti ricerche paleontologiche: Switek, come esempio tra i molti possibili, cita il curioso caso degli agenti patogeni aviari che affliggevano i teropodi, ereditati dai loro discendenti, gli uccelli (come dimostra il caso dell'analogia tra segni di infezioni nei fossili di teropodi e i segni lasciati sugli individui infettati dall'attuale Trichomonas gallinae).
  • rettili-mammiferi (The Meek Inherit the Earth)
Si giunge poi alla storia evolutiva dei mammiferi, forse quella più bistrattata dal grande pubblico e la meno nota in assoluto. Basti pensare al vituperato Dimetrodon, l'iconico "dinosauro-intruso" presente in qualunque pubblicazione divulgativa di basso livello e nei bustoni estivi colmi di pupazzetti di plastica destinati ad allietare i pomeriggi in spiaggia del pubblico infantile. Dimetrodon non è un dinosauro, bensì un sinapside più antico dei dinosauri, ovvero un taxon più vicino ai mammiferi (e a noi) che ai rettili [2]. Uno dei modi per illustrare le differenze filogenetiche che si sono accumulate nelle generazioni che separano i rettili dai mammiferi è quello di ripercorrere la differente organizzazione dell'orecchio interno nei mammiferi rispetto ai rettili, con la graduale cooptazione nel sistema uditivo di strutture ossee in precedenza coinvolte nei processi di masticazione. Switek utilizza dunque questo schema divulgativo, usando come case-study la discussione dell'orecchio interno di Yanocodon allini (taxon istituito nel 2007).
Nonostante l'impegno dei divulgatori, il Dimetrodon continua purtroppo a troneggiare tra i rappresentanti dei dinosauri. Alcuni luoghi comuni sulla scienza sono molto difficili da contestare. Se in una prospettiva filogenetica e paleontologica è chiaro che le suddivisioni tra le categorie platonico-linneane, relative a una biologia intuitiva e statica (e pertanto fallace), non esistono e perdono di significato nel tempo profondo, anche le convenzioni iconografiche tradiscono prospettive diffuse ma scientificamente del tutto fuorvianti. L'esempio iconoclasta forse più rilevante in tal senso, e trattato in questo capitolo, è costituito da Repenomamus robustus (descritto nel 2000), un mammifero di grande taglia (relativamente all'epoca e alla zona) proveniente dall'attuale territorio cinese. Repenomanus ha rovesciato i cliché iconografici sui voraci dinosauri carnivori sempre illustrati alle prese con la caccia di piccoli e modesti mammiferi – il reperto si contraddistingue infatti per la presenza dei resti di un piccolo dinosauro nello stomaco.
  • mammiferi terrestri-cetacei (As Monstrous as a Whale)
Si arriva così al capitolo dedicato alla storia evolutiva dei cetacei, che contiene alcune delle pagine più vivaci dell'intero volume, dedicate alla descrizione delle peripezie di Albert Koch e del suo baraccone fossile ambulante, una sorta di Circo Barnum itinerante dell'intrattenimento fossile. I suoi scheletri fossili chimerici (Missourium theristrocaulodon e Hydrarcos sillimani) fecero notizia all'epoca per la loro fantasiosa spettacolarità. Se il primo non era altro che un mastodonte ingigantito grazie all'aggiunta di ulteriori vertebre, il rettile marino Hydrarcos avrebbe riservato invece un'interessante sorpresa. Comprato da Guglielmo IV di Prussia per il museo reale di Berlino, il cranio di Hydrarcos si sarebbe rivelato essere quello di una balena. L'identità dei resti fossili del cranio della chimera di Koch si sarebbe palesata anche grazie ad altre scoperte. Nel 1832 e negli stessi sedimenti fossiliferi dai quali venne estratto ciò che sarebbe confluito nella ricostruzione posticcia di Hydrarcos, erano stati recuperati i resti di un curioso nuovo taxon battezzato Basilosaurus: i denti, in particolare, presentavano somiglianze peculiari con quelli dei rettili marini mesozoici. Interpellato in merito, Owen, all'epoca astro nascente dell'anatomia comparata, ristudiò i resti di Basilosaurus, riconobbe lo statuto mammaliano del taxon (la somiglianza dei denti con i rettili marini era il semplice frutto di convergenza evolutiva) e lo ribattezzò Zeuglodon - oggi però, per motivi di priorità di nomenclatura, il primo nome "rettiliano" è quello ufficiale.
Ad ogni modo, la storia evolutiva dei cetacei restava perlopiù ignota: Basilosaurus e le forme affini scoperte più tardi erano già pienamente acquatiche. In assenza di prove paleontologiche rilevanti, in una lettera inviata a Lyell nel 1859 l'antenato comune dei cetacei era stato immaginato da Darwin come un orso (p. 156). Nel 1883, invece, William Henry Flower aveva posto in evidenza le somiglianze osteologiche di Basilosaurus con gli ungulati. Benché già a partire dagli anni Settanta del Novecento nuovi fossili hanno cominciato a chiarire il quadro della storia risalente dei cetacei, solamente le nuove scoperte paleontologiche dei primissimi anni 2000 e i nuovi studi genetico-molecolari hanno potuto confermare l'ipotesi di Flower: dal punto di vista filogenetico, i cetacei sono attualmente collocati vicini agli ippopotami, con i quali, assieme ad una pletora di forme estinte, formano il clade Cetancodontamorpha all'interno degli artiodattili.
  • elefanti (Behemoth)
Il capitolo che segue è dedicato alla storia evolutiva degli elefanti e offre il pretesto per una curiosa incursione storiografica nella vita di Thomas Jefferson (1743-1826), terzo presidente degli Stati Uniti d'America. I resti fossili dei proboscidati americani erano da tempo inseriti nella geomitologia dei Nativi della Virginia e Jefferson, come altri, ritenne che le leggende su animali di enorme taglia testimoniate dai resti fossili potessero trovare il loro fondo di verità in animali ancora vivi, ma ignoti alla scienza, nello sterminato e ancora misterioso Ovest del continente nordamericano.
Dal punto di vista biologico-evoluzionistico, invece, il capitolo comprende una trattazione della teoria degli equilibri punteggiati esposta da Stephen J. Gould e Niles Eldredge a partire dal 1972: un ritmo accelerato della speciazione in determinati casi, che prevede periodi di stasi più o meno lunghi alternati a rapidi processi di speciazione. L'espansione dei proboscidati nel Pleistocene su tutto il globo (ad eccezione dell'Australia e dell'Antartide), viene inquadrata in un contesto puntuazionista, mentre la loro (relativamente) improvvisa scomparsa conduce Switek al tema dell'overkill hypothesis. Questa tesi, sostenuta in particolare da Paul S. Martin, sostiene l'esistenza di una correlazione tra espansione geografica di Homo sapiens e l'estinzione delle megafaune (ossia, le associazione di animali dal peso superiore ai quarantacinque chilogrammi circa): in effetti, le date della colonizzazione delle terre emerse da parte di H. sapiens coincidono grosso modo con la drastica riduzione delle faune locali di mammiferi e di animali di grossa taglia.
Il capitolo si conclude con una riflessione critica sul tema del Pleistocene Rewilding, sostenuta sempre da Martin nel suo recente Twilight of the Mammoth: Ice Age Extinctions and the Rewilding of America (2010). Secondo tale posizione lo squilibrio degli ecosistemi nordamericani, dovuto alla scomparsa della megafauna pleistocenica, potrebbe essere minimizzato con l'importazione nei biomi locali di animali strettamente imparentati con le forme estinte (ad esempio, elefanti, cammelli, grandi felini, ecc.). Ad ogni modo, l'assenza incolmabile di animali estinti senza parenti filogenetici in vita occupanti nicchie equivalenti oggi (come i bradipi terricoli giganti) costituisce il difetto principale della tesi ecologista. Trova spazio inoltre la discussione sulle possibilità di ottenere esemplari di mammut non tanto tramite clonazione quanto per selezione artificiale di esemplari di Elephas maximus (elefante indiano), filogeneticamente vicino al mammut.
  • cavalli (On a Last Leg)
Un grosso tronco principale di successo che arriva fino ad oggi, con alcuni rami secchi collaterali da tempo estinti, surclassati nella competizione ecologica: questa l'idea ortogenetica di un'evoluzione rettilinea e orientata che regnava nel primo Novecento. L'esempio cardine di tale impostazione metodologica era rappresentato dalla storia evolutiva del cavallo, e i suoi ideatori principali furono Othniel Charles Marsh, il grande padre-padrone della nascente paleontologia statunitense, e Thomas Henry Huxley. Tra i sostenitori dell'idea si distinsero, tra gli altri, W.D. Matthew (in un suo studio del 1924) e soprattutto George Gaylord Simpson (negli anni Cinquanta del secolo scorso). Ogni genere fossile di equide scoperto  all'epoca veniva collocato in una elegante successione di forme poste in diretta continuità l'uno con l'altra e guidate verso la produzione, per così dire, delle caratteristiche oggi presenti nel cavallo. Oggi però possiamo affermare con sicurezza che la serie di caratteristiche associate allo sviluppo del cavallo (per es., la riduzione delle dita, il progressivo aumento di stazza dei taxa, l'evoluzione di denti dalla corona alta, l'allungamento del muso, ecc.) non fu armonicamente coordinata per un fine che coincide con il nostro punto di vista contemporaneo, e che i vari generi prima pensati come gradini ordinati di una successione ascendente erano invece sconnessi e sovrapposti: il cavallo attuale non è il punto di arrivo presente di una storia teleologica, poiché non esiste alcun tronco la cui direzione verso l'alto è predeterminata all'origine. Esiste piuttosto un cespuglio o, meglio, un corallo di varianti delle quali il cavallo attuale rappresenta solamente l'ultimo rappresentante in vita.
  • ominidi (Through the Looking Glass)
L'ultimo capitolo è destinato a ribadire quest'ultimo concetto: non esiste una monolitica e prestabilita direzione escatologica dell'evoluzione quanto piuttosto un variegato cespuglio evolutivo. L'esempio di H. sapiens rappresenta in questo senso un caso ancora più emblematico di EquusH. sapiens è solo l'ultimo rappresentante di una folta schiera di generi e specie assai diverse che hanno convissuto per milioni di anni fianco a fianco, nessuno dei quali è considerabile superiore al precedente in senso assoluto, né maggiormente perfetto (l'evoluzione non produce mai "perfezione", qualunque cosa significhi all'interno di un contesto ideologico). La presa di coscienza della nostra storia evolutiva conduce inevitabilmente ad un ripensamento del nostro ruolo nel mondo:
«Non c'è mai stata un' "ascesa dell'uomo", per quanto possiamo disperatamente desiderarla, così come non c'è mai stata una "discesa degenerativa dell'uomo" a partire da un nobile antenato. Non siamo che un tremolante ramoscello, ultimo vestigio di un più ricco albero genealogico. Stupidamente abbiamo interpretato questo nostro isolamento come se fossimo i veri trionfatori nell'implacabile battaglia della vita [...]. La storia ci racconta che non  siamo i discendenti né di un'antropomorfa che si è intenzionalmente impegnata per raggiungere i rami più elevati dello sviluppo cerebrale, né di una coppia divina creata per volere divino. Siamo piuttosto gli eredi di una rara intelligenza capace di sondare i delicati meccanismi della natura ma che teme ciò che vi può trovare. Non c'è alcuna ragione per avere timore. La vita è ancora più preziosa quando la sua unità e rarità sono riconosciute, e noi siamo tra le cose più preziose » (p. 264).
Conclude il volume un epilogo finale dall'atmosfera gouldiana, intitolato Time and Chance, incentrato sulla contingenza e sui vincoli la cui interazione ha modellato la storia della vita sulla Terra, irriducibile ad un modello te(le)ologico o ortogenetico.

Written in Stones costituisce una lettura affascinante e solidamente costruita, corredata da illustrazioni spesso inedite su carta stampata (oltre alle illustrazioni scientifiche tratte da riviste accademiche, tra gli autori presenti annoveriamo Mark Witton, Matt Celeskey dell'Hairy Museum of Natural History e Brett Booth). Nella recente bibliografia storiografica dedicata alla storia della paleontologia e della biologia evoluzionistica – esplosa con il bicentenario darwiniano del 2009 – Switek ha saputo ritagliarsi uno spazio proprio e affrontare un tema, per quanto già noto e trattato, con un piglio nuovo e con uno stile fresco.

[1]
Switek, Brian. (2010). Ancestor or Adapiform? Darwinius and the Search for Our Early Primate Ancestors. Evolution: Education and Outreach, 3 (3), 468-476 DOI: 10.1007/s12052-010-0261-x

[2]
Angielczyk, Kenneth D. (2009). Dimetrodon Is Not a Dinosaur: Using Tree Thinking to Understand the Ancient Relatives of Mammals and their Evolution. Evolution: Education and Outreach, 2 (2), 257-271 DOI: 10.1007/s12052-009-0117-4

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