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venerdì 7 marzo 2014

Sulla piaga del benaltrismo nelle discipline umanistiche

Immagine dell'utente Thegreenj (2007), da Wikipedia.
BENALTRISMO. sost. m. Patologia cognitiva e accademica che comporta l'acquartierarsi sempre a debita distanza, e in modo antiscientifico e anti-epistemologico, dalla verifica delle proprie asserzioni allo scopo di delegittimare in modo pretestuoso la posizione scientifica dell'interlocutore.
Dato che "c'è sempre dell'altro", che "ci vuole ben altro", che "ma è più complicato di così", che "la questione è un altra", che "il dossier è già stato aperto da...", che "mah, non mi convince", la versione cronica della malattia accademica comporta la progressiva necrotizzazione dei tessuti umanistici e la fine del clade umanistico tout court. Le discipline infette sono condannate.
Il ricorso al postmodernese più spinto, all'escamotage religionistico-paranormale, ai sofismi filoteologici, sono semplici palliativi che, per mero effetto placebo, possono aumentare l'aspettativa di vita dei singoli rami disciplinari ma che, per lo stesso motivo dell'aumento di sopravvivenza nel breve periodo, tendono purtroppo a diffondere epidemiologicamente il morbo.

Unica cura efficace: la scienza, in posologie adeguate allo stato di avanzamento del benaltrismo.
Al prossimo "mah, sarà; però è più complicato, e d'altra parte...ecc. ecc." si risponderà dunque con "Hai l'onere della prova: fornisci dati quantitativi e qualitativi". In caso contrario, si dovranno evitare immantinente ulteriori contatto e dialogo. Nel caso dovessero aumentare gli sproloqui metafisici da postmodernese in salsa te(le)ologica, ricordatevi di indossare la mascherina della scienza: è dimostrato che, se usata correttamente, la mascherina scientifica aumenta le difese immunitarie del 100% .
Oppure, si può provare a rispondere allo stesso modo, usando le medesime strategie adottate dal morbo del benaltrismo: il soggetto malato coinvolto reagirà sbraitando e sarà lui stesso ad andarsene.

Come hanno scritto Rita Astuti e Maurice Bloch di recente (2012), "è inutile che gli scienziati cognitivisti facciano lo sforzo di cooperare" con chi "disprezza la storia evolutiva di Homo sapiens". Semplicemente perché, come scrivono i due autori succitati, "Quegli studiosi [refrattari al metodo e all'epistemologia scientifica] non si stanno occupando degli esseri umani ma delle creature provenienti dal pianeta Zog". Ecco, forse il modo migliore per limitare e contenere il morbo è isolare i pazienti, lasciandoli liberi di giocare con le loro affezionate creaturine del pianeta immaginario Zog (ma non dite loro che sono solo fantasie e giocattolame!).

Astuti, R. & Bloch, M. (2012). Anthropologists as cognitive scientists. In Topics in Cognitive Science, 4 (3). 453-461. ISSN 1756-8757.

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