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martedì 16 giugno 2015

Perché i templi greco-romani non erano bianchi: piccolo trattato di iconografia bakkeriana a margine di Jurassic Park (1993). Amarcord #2

Copertina del fascicolo di Robert T. Bakker dedicato a Jurassic Park (1993), dalla rivista scientifica Scienza & Vita.
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Da tempo desidero dedicare più spazio ai contenuti di un fascicolo firmato dall’iconoclasta paleontologo statunitense Robert T. Bakker, pubblicato in originale da Kalmbach Publishing e uscito nelle edicole italiane come allegato interno e staccabile di una defunta rivista di divulgazione scientifica chiamata Scienza & Vita (no, nessun nesso con altre e più recenti istituzioni pseudoscientifiche)*. L’uscita di Jurassic World (giugno 2015) mi offre lo spunto e il pretesto per scrivere di questo piccolo, grande fascicoletto, il quale contiene alcune illustrazioni artisticamente e speculativamente molto interessanti.

Quando venne pubblicato correva il 1993 e io, già da anni ammaliato dalla preistoria, ricordo di essere rimasto rapito di fronte a questi dinosauri dipinti con tratto spregiudicato, sicurissimo ma minimalista, sgargiante, sferzante e quasi arrogante, dotato di una sicumera lontana anni luce dalle composizioni rispettosamente classiche cui ero abituato.

All’epoca seguivo la serie Dinosauri! pubblicata in Italia dalla DeAgostini, le cui pagine erano spesso piacevolmente abbellite dai disegni pastello e dai colori caldi e morbidi di James Robins e dalle magnifiche illustrazioni di Sibbick che già allora sembravano mostrare i canoni del classico: attenzione ai dettagli, senso della composizione, grande equilibrio, ma anche adesione agli stilemi desueti dei decenni precedenti. Solo in seguito il parterre di artisti ospitati dalla rivista poté contare su più accattivanti dinamismi, come l'ipercinetico 3D di Steve White, e nel 1993 Robins e Sibbick figuravano tra i miei paleoartisti preferiti.

Al contrario, l’arte contenuta nel libretto bakkeriano era qualcosa di totalmente inusitato per i canoni ai quali ero abituato e al senso estetico giudicante, formatosi sulle amate tavole di Ždenek Burian, ospitate in un librone intitolato Quando l'uomo non c'era che apparteneva a mia sorella. Ovviamente il mio giudizio è legato all’impatto infantile che la visione bakkeriana, disgregante rispetto all'usuale e all'ordinario cui ho fatto riferimento, ebbe sulla mia percezione dei dinosauri, ma ancora oggi questi disegni rimangono freschi e fruibili nonostante il contesto sia completamente mutato. In effetti, le illustrazioni di Bakker sono le dirette anticipatrici dei canoni oggi in voga grazie alla soft dinosaur revolution e, al di là della precisione e/o dall’aderenza ai dati scientifici (la presenza di guance e labbra è un tema ancora discusso, per non parlare dei testi, quanto di più speculativo e bizzarro si possa immaginare provenire dalla penna di uno studioso, con menzione di "punti deboli", "nomi d'arte", e quant'altro), lo stile, la realizzazione sintetica e gli spunti eclettici e speculativi rendono almeno un paio di queste illustrazioni degne di entrare nella Hall of Fame della paleoarte.

Un esempio su tutti: la doppia pagina dedicata a Brachiosaurus e Parasaurolophus. Il primo possiede una possanza michelangiolesca e una interessante gestione volumetrica, completati da un incedere sicuro e fiero che contrasta mirabilmente con il manto rosato. Parasaurolophus, invece, si distingue per un ragguardevole equilibrio tra raffigurazione muscolosa del modello e pattern cromatico.
"Si muovono in branchi" (cit.). Brachiosaurus e Parasaurolophus, Robert T. Bakker. Scienza & Vita, 1993
Altri esempi potrebbero essere il Dilophosaurus, nella cui raffigurazione Bakker riprende un display “caudo-portale” su cui già ebbe modo di speculare altrove [1], ma che viene qui arricchito da una sensibilità estetica nuova e declinato secondo un modello più robusto e muscoloso (eccetto, paradossalmente, per la coda che dovrebbe sostenere il peso dell’animale, davvero troppo esile). Lo stesso si può dire del Triceratops - i ceratopsidi sono un classico di Bakker [2] - il quale veicola un’idea di carica aggressiva, ma non priva di una certa grazia, raramente eguagliata altrove (gli si avvicina per certi versi Gregory S. Paul ma i ceratopsidi pauliani, se guadagnano maggiore precisione nel tratto, perdono quella carica grezza che scorre prepotente nello stile bakkeriano).

Dilophosaurus, Robert T. Bakker. Scienza & Vita, 1993
Forse l’episodio meno riuscito del lotto è rappresentato dal Brontosaurus che campeggia sulla copertina del fascicolo e che, suo malgrado, non riesce a non apparire un po’ impacciato (ma ci sarebbe da notare il collo, raffigurato ben muscoloso - lontanissimo da quelle esili raffigurazioni “a cigno” che ancora impazzano, nonostante l’evidenza paleontologica e ancora una volta precursore di nuove illustrazioni più aderenti alla documentazione fossile). Peccato solo per la pronazione del polso in Velociraptor, piuttosto ben concepito, e per la generale assenza di rivestimento tegumentario [3]. Forse, trattandosi di un commento contestuale all’uscita del film di Spielberg, possono essere stati presenti dei vincoli di rappresentazione, in modo tale che questa non si discostasse troppo dall'iconografia del lungometraggio e del merchandising ad esso collegato, anche se ciò non spiega le enormi differenze con tutti i modelli del film.

Oggi come all’epoca resto colpito dalla volontà bakkeriana di rendere gli animali come “vivi”: al di là della posa dinamica e muscolare (il vero contributo epocale bakkeriano), l’uso dei colori trasmette all’osservatore in modo inequivocabile l'idea che questi sono animali che utilizzano l'ornamentazione cromatica come potente mezzo visivo di comunicazione, a volte spinto fino al parossismo per chi è abituato ai cliché lucertoleschi d'antan e tipici di una vetusta paleoarte. Eppure, chi non ha presente almeno qualche esempio della vistosa colorazione degli uccelli o dei rettili da qualche documentario in televisione? E chi non ha mai visto almeno una volta un Mandrillus sphinx maschio a SuperQuark? In questo senso il Procompsognathus e il Tyrannosaurus, con le loro brillanti colorazioni, del tutto sopra le righe, anticipano moltissime raffigurazioni attuali e aviane dei dinosauri. Inoltre, i cuscinetti ben carnosi delle palme indicano immediatamente l’idea che l’illustratore desidera trasmettere, sintetizzabile grosso modo con le seguenti frasi: smettetela di immaginare i dinosauri a mollo nell’acqua o come se fossero meri fossili da museo! Questi erano animali vivi, che camminavano, respiravano e comunicavano tra di loro! Si potrebbe dire che sono "dinosauri con un messaggio" forte e che il messaggio bakkeriano è stato uno dei più potenti nella moderna paleontologia dei dinosauri.

Tyrannosaurus (particolare), Robert T. Bakker. Scienza & Vita, 1993.
Insomma, Bakker ha fatto qualcosa che iconograficamente si può paragonare alla riscoperta per cui le statue e i templi della classicità mediterranea antica erano vivacemente colorati e non limitati ad un pallore marmoreo. Insomma, se il Rinascimento e il neoclassicismo settecentesco sono responsabili della diffusione del cliché artistico per cui la purezza greco-romana delle rappresentazioni equivaleva all’assenza di colori (frutto invece di un mero bias tafonomico), si può dire che la rivoluzione bakkeriana (pur con tutti i punti deboli che negli anni sono emersi, ma così procede la scienza) abbia scardinato certi dogmi considerati neoclassici e perciò giudicati dall'auctoritas paleontologica della metà del secolo scorso come intoccabili, e che in quanto tali dominavano ancora nella paleoarte.

E questo è il lascito più prezioso dei dinosauri sgargianti e felicemente arroganti di Bakker.

Purtroppo, il franchise di Jurassic Park, che da sempre ha il suo consulente scientifico nel paleontologo John "Jack" Horner, ha raramente percorso questa strada in technicolor e Jurassic World, il remake-sequel girato da Colin Trevorrow e uscito da poco, ha abusato di dinosauri dagli smorzati toni verdone-grigiastro-bluastri. Ma di questo film se ne riparlerà in un prossimo post...

[*] Credo che il fascicolo sia uscito in originale sulle pagine di Discover Magazine, ma non sono riuscito a rintracciare il riferimento originale. Per quanto riguarda il fascicolo italiano, nel 1993 non mi annotai la data di uscita, cosa che ora rende piuttosto difficile identificare precisamente il numero con il quale uscì.

[1] Cfr. Bakker, R.T. 1987. The Dinosaur Heresies. London: Penguin Book, p. 256 (New York: Williamo Morrow).

[2] Si veda il suo contributo intitolato "The Return of the Dancing Dinosaurs" in  Czerkas, S.J. e Olson, E.C. (eds.) 1987. Dinosaur Past and Present, vol. 1. London: Natural History Museum of Los Angeles County in association with University of Washington Press, p. 32. Una coppia di vivaci Chasmosaurus era già stata pubblicata in Desmond, A.J. 1977 (1976). The Hot-Blooded Dinosaurs. London: Futura; ill. n. 12 - e a sua volta ripresa da Crompton, A.W. 1968. "The Enigma of the Evolution of Mammals", Optima (18): 137-151. Si vedano inoltre le energiche silhouette per il suo articolo "Dinosaur Heresy - Dinosaur Renaissance: Why We Need Endothermic Archosaurs for a Comprehensive Theory of Bioenergetic Evolution", in Thomas, D. K., and Olson, E. C. (eds.) 1980. A Cold Look at the Warm Blooded Dinosaurs. Washington, DC: American Association for the Advancement of Science, pp. 351-346; p. 364.

[3] Già presentato in modo assolutamente provocatorio, attraverso un Syntarsus poi divenuto un meme iconografico di successo, nella primissima doppia pagina nel suo "Dinosaur Renaissance" per Scientific American 232, n. 4, dell'aprile 1975, p. 59.

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