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mercoledì 12 febbraio 2014

Darwin Day 2014. L’appetito vien mangiando: le tesi di Richard Wrangham tra cibo, cognizione ed evoluzione

Wrangham; Richard. (2011a). L’intelligenza del fuoco. l’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo. Torino: Bollati Boringhieri (2009. Catching Fire: How Cooking Made Us Human. Profile Books: London / New York: Basic books)
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«[Le persone] non hanno bisogno di cuocere il cibo: lo fanno per ragioni simboliche, per dimostrare che sono uomini, non bestie» (Leach 1970: 92; cit. in Wrangham 2011: 17).
Così l’antropologo Edmund Leach, ricapitolando una posizione già esposta da Claude Lévi-Strauss nel celebre Il crudo e il cotto (1966), ha sintetizzato il ruolo della cucina nell’ambito della cultura umana. Insomma, cucinare, preparare e cuocere gli alimenti sono attività prettamente culturali la cui analisi biologico-evolutiva non avrebbe molto senso dal punto di vista antropologico. L’ambito è quello del modello umanistico che vuole l’uomo completamente avulso e libero dal contesto naturale poiché, come hanno scritto Maurice Bloch e Dan Sperber, «gli esseri umani possono trasmettere informazioni tra gli individui attraverso qualsiasi comunicazione simbolica», e quindi sarebbero «liberi da qualunque vincolo naturale […] differenziandosi essenzialmente dagli altri animali, i quali trasmettono l’informazione perlopiù, se non completamente, in modo genetico» (Bloch e Sperber 2002: 725).
Nulla di più sbagliato. «Noi esseri umani siamo le scimmie che sanno cucinare, le creature del fuoco». Queste sono invece le parole di Richard Wrangham (2011a: 20), antropologo a Harvard e studioso dei primati non umani presso il Peabody Museum, che introducono il tema della monografia intitolata L’intelligenza del fuoco, dedicata interamente al ruolo della preparazione e della cottura del cibo dal punto di vista dell’evoluzione e della cognizione umana.

La tesi di Wrangham è che la dieta alimentare, attraverso le innovazioni legate alla manipolazione e alla cottura degli alimenti, abbia profondamente influenzato la storia profonda del taxon Homo. I nostri antenati ominini, mangiando prima cibi più morbidi, lavorati a freddo, e più ricchi dal punto di vista dell’apporto energetico, avrebbero imposto un vincolo per la selezione di denti più piccoli e di un intestino meno elaborato perché non era più necessario masticare e digerire vegetali o carne cruda (alimenti più duri e fibrosi). In secondo luogo, la cottura avrebbe «aumentato la quantità di energia che il nostro corpo ricava dal cibo» (Wrangham 2011a: 19; cfr. Carmody et al. 2011), con conseguenze decisive sull’organizzazione sociale e infine, in una serie di ricadute a cascata, sulla cognizione.
Wrangham si spinge ancora più in là. Secondo la sua ricostruzione, i metodi e le tecniche per cucinare non solo sarebbero i principali responsabili dell’aumento delle dimensione del cervello nel genere Homo, ma sarebbero da retrodatare significativamente. La cottura pertanto ricoprirebbe un ruolo evolutivo strategico pari a quello della manipolazione degli utensili e dell’interazione sociale, e questa rappresenterebbe solamente uno stadio all’interno di un più complesso e risalente processo di innovazione culturale. Innanzitutto, Wrangham riprende una tesi avanzata da Leslie C. Aiello e Peter Wheeler (1995) definita expensive tissue hypothesis (ossia l’«ipotesi del tessuto costoso»; Wrangham 2011a: 129), per cui esisterebbe una relazione inversamente proporzionale tra dimensioni dell’apparato digerente e quelle cerebrali nei primati. Questo perché il cervello è un organo che consuma molta energia, come l’apparato digerente, e la cui espansione nel tempo profondo può avere luogo solo a scapito delle dimensioni del secondo e solo stante l’adozione di abitudini alimentari comprendenti cibo energeticamente molto ricco. Insomma, più semplicemente, il corpo è un sistema composto dalla relazione tra gli elementi che lo compongono e gli organi sono parti correlate che vanno studiate in rapporto le une con le altre, specialmente dal punto di vista della scala temporale evolutiva.
Rispetto alla tesi di Aiello e Wheleer, però, Wrangham ritiene che per quanto concerne la situazione di Homo l’expensive tissue hypothesis vada posta in relazione con le tecniche di preparazione del cibo e con l’esistenza di contesti sociali particolarmente competitivi e basati sulla cooperazione. Pertanto, l’antropologo sostiene una decisa retrodatazione degli eventi evolutivi.
La prima soglia evolutiva all’interno del panorama ricostruito da Wrangham (2011a: 9 ss.) è incentrata su un gruppo chiave dell’evoluzione umana, le habilines (ca. 2,3 milioni di anni fa), che precedono H. erectus (ca. 1,9 milioni di anni fa) e seguono alle australopitecine (ca. 3 milioni di anni fa). Le habilines testimoniano un aumento del volume cerebrale del 36% rispetto alle precedenti australopitecine e a parità di peso corporeo (rispettivamente 612 cc. vs. 450 cc.; Wrangham 2011: 130). Sulla base dell’analisi di dati paleoantropologici, fisiologici, primatologico-comparativi e morfologici, Wrangham ritiene che con questo gruppo abbia avuto inizio una significativa riduzione dei costi di digestione attraverso l’implementazione e il continuo miglioramento di tecniche di lavorazione a freddo, come la macinazione, la miscelazione, o battere la carne per renderla più morbida (ibid.: 133).
Il passo successivo è rappresentato dalla cottura del cibo attraverso il controllo del fuoco, che Aiello e Wheeler riservavano a H. heidelbergensis (ca. 800.000/600.000 anni fa) mentre Wrangham retrodata di un milione di anni ca., attribuendolo a H. erectus. In termini di volume cerebrale siamo a ca. 950 cc. contro 1200 cc. rispettivamente per H. erectus e H. heidelbergensis (Wrangham 2011a: 130, 133). Rispetto ai taxa precedenti, H. erectus avrebbe quindi subito un aumento del volume cerebrale del 55% se paragonato alle habilines (e del 111% rispetto alle australopitecine), mentre H. heidelbergensis un 96% rispetto a H. erectus (e addirittura un 166% rispetto alle australopitecine).

Wrangham lega la expensive tissue hypothesis alla tesi secondo la quale il cervello dei primati non umani si sia evoluto innanzitutto per fronteggiare la complessità dei rapporti sociali. Il tempo impiegato nella gestione delle interazioni sociali dei primati è sempre una delle costanti basilari di cui tenere conto durante le speculazioni e le ricostruzioni paleoantropologiche. Proprio sulla base della valutazione dei tempi da dedicare alle attività di gruppo, l’antropologo Robin Dunbar ha sostenuto che il linguaggio, tra le altre possibili concause, abbia assolto alla funzione socialmente essenziale della toelettatura (grooming) in gruppi man mano più numerosi:
«c’è un limite […] alla quantità di tempo che un individuo può passare a spulciare la pelliccia dei suoi amici; bisogna anche andare in cerca di cibo, accoppiarsi e fare attenzione ai predatori […] Quindi, questa pratica può tenere insieme solo gruppi relativamente piccoli»  (Ehrlich 2005: 193. Cfr. Dunbar 1998; Wrangham 2011a: 119-123).
Il linguaggio avrebbe pertanto funzionato come surrogato neurofisiologico della medesima attività sociale riuscendo a coinvolgere più individui contemporaneamente e nello stesso intervallo di tempo. Come scrive Wrangham,
«il risultato è una soap opera di affetti, alleanze, inimicizie in perenne trasformazione e una spinta costante a battere in astuzia gli altri» (2011a: 132).
Sulla scia di questa tesi Wrangham aggiunge il contributo delle valutazioni dei tempi di masticazione, delle calorie introdotte e del consumo energetico: una madre scimpanzé consuma ca. 1800 calorie al giorno, e mastica per sei ore ca. In pratica, sono 300 calorie all’ora. Un individuo adulto di H. sapiens (stante attività fisica e possibilità di approvvigionamento) dovrebbe consumare ca. 2000 calorie, ma mastica per una sola ora al giorno in totale. Significa aver liberato circa cinque ore al giorno dalla masticazione (ibid.: 156). Nel 2012 Karina Fonseca-Azevedo e Suzana Herculano-Houzel hanno dimostrato che per sostenere il consumo metabolico di un organo come il cervello di H. sapiens sulla base di soli alimenti crudi sarebbe necessario disporre di un numero spropositato di ore da dedicare alla ricerca del cibo e alla masticazione. L’evoluzione lineare del volume cerebrale e del numero di neuroni nei nostri antenati avrebbe quindi beneficiato anche, o soprattutto, dal passaggio a un’alimentazione composta da cibi cotti già dai tempi di H. erectus (Fonseca-Azevedo & Herculano-Houzel 2012). Ovviamente, questo è il punto d’arrivo di un risalente processo graduale di lavorazione del cibo – e poi di cottura – cominciato con le habilines.

Secondo Wrangham, inoltre, la cucina avrebbe anche vincolato i rapporti tra i sessi contribuendo a fissare la subordinazione degli individui di sesso femminile all’interno dei rapporti di coppia di H. sapiens:
«La cottura comportò incredibili benefici dal punto di vista nutritivo, ma per le donne l’avvento della cottura si tradusse in maggior vulnerabilità all’autorità maschile. […] La cottura creò e perpetuò un nuovo sistema di superiorità culturale del maschio» (Wrangham 2011a: 194).
Come ha potuto aver luogo tutto ciò? A seguito di una rassegna antropologico-culturale, Wrangham descrive quello che avrebbe potuto essere un «primitivo racket di protezione» (ibid.: 170), per cui i maschi avrebbero offerto protezione alle donne impegnate nei processi di preparazione del cibo e di cottura da altri maschi, interessati al furto degli alimenti. In quest’ottica, la cooperazione e il controllo dei free-rider si uniscono nel tempo profondo alla vulnerabilità di chi è impegnato a cucinare.
Ancora, l’uso del fuoco come strumento di illuminazione notturna e mezzo di dissuasione contro gli animali può aver vincolato anche la selezione di arti posteriori più lunghi e la perdita della capacità di arrampicarsi e di dormire sugli alberi (come riparo da competitori e da altri animali), sempre a partire da H. erectus (ibid.: 114).

 Indicator "albirostris" (Indicator indicator).
Temminck, C.J. (1838). Nouveau recueil de planches coloriées d'oiseaux: pour servir de suite et de complément aux planches enluminées de Buffon, édition in-folio et in-4⁰ de l'Imprimerie royale. Paris & Strasbourg: F.G. Levrault/Amsterdam: Chez Legras Imbert et Comp. P. 526. Fonte: Wikipedia
Una delle prove più recenti che Wrangham ha aggiunto al novero delle tesi già presentato nella sua monografia verte su un peculiare rapporto ecologico tra un uccello africano, l’indicatore dalla gola nera (Indicator indicator), e H. sapiens. Questo uccello è attratto dai rumori e dalle attività umane, e attira l’attenzione degli abitanti locali per condurli, tramite richiami, fino agli alveari ricchi di miele che ha già individuato in precedenza. Le persone coinvolte fanno poi solitamente evacuare l’alveare attraverso il fumo, e lo aprono per raggiungere il miele e le larve. L’indicatore dalla gola nera può così raggiunge la cera e le api per cibarsene. Ora, si pensa che questo interessante rapporto di coevoluzione abbia interessato l’indicatore e il tasso del miele (Mellivora capensis), e che l’uomo abbia solamente approfittato di questo interazione ecologica stabilitasi nel tempo profondo tra gli altri due taxa.
Wrangham invece sostiene che il partner evolutivo dell’antenato dell’indicatore dalla gola nera sia stato un ominine. Per affermare ciò, l’antropologo si appoggia a recenti studi genetici che, calibrando il tasso di mutazione sulla base del DNA mitocondriale, hanno stabilito che la divergenza tra due specie attuali di indicatore (la prima che nidifica sugli alberi, la seconda a terra) abbia come termine a quo 3 milioni di anni fa ca. (Wrangham 2011b; cfr. Wong 2013). Si tratta ovviamente di una stima e quel peculiare comportamento può essersi fissato anche successivamente, ma nondimeno ciò offre lo spunto a Wrangham per confortare provvisoriamente la sua ipotesi sull’uso del fuoco: anche le antropomorfe sanno che il fuoco si spegne e gli esemplari che sono stati a contatto con l’uomo o in cattività sanno come servirsene e come tenerlo acceso (Wrangham 2011a: 207-208). Inoltre, le antropomorfe preferiscono cibi cotti (ibid.: 105). Non dovrebbe stupire quindi che il fuoco (e il suo prodotto collaterale, il fumo) sia stato sfruttato pur in assenza di una conoscenza diretta della sua produzione, magari già al tempo delle australopitecine, ossia a partire da ca. 3 milioni di anni fa (ibid.: 208-209). D’altra parte, la produzione del fuoco può essere stata attivata proprio a seguito della fabbricazione e l’uso di utensili litici, beneficiando di un processo di trial and error e di implementazione evolutivo-culturale a partire dalla constatazione dei risultati dello sfregamento di pirite (minerale composto da ferro e zolfo) contro selce (ibid.: 209).

Video dal sito ufficiale del documentario The Hadza: Last of the First (2012)

Mancano ancora prove genetiche per sostenere l’adattamento alla cottura alla base dell’ipotesi della relazione evolutiva tra manipolazione del cibo, cottura ed evoluzione della cognizione in Homo. Tuttavia, come ha affermato Wrangham in una recente intervista,
«una questione di grandissimo interesse sarà vedere se riusciremo o meno a trovare nel genoma umano prove di una selezione per geni legati all’uso di cibi cotti. Potrebbero riguardare il metabolismo o il sistema immunitario. O potrebbero riguardare le risposte ai composti di Meillard [la cui presenza è “facilmente riconoscibile nel colore bruno della cotenna di maiale arrostita o nella crosta di pane”; da Wrangham 2011a: 63], che sono sostanze potenzialmente pericolose prodotte durante la cottura» (Wong 2013: 51).
Perdere abitudini parzialmente arboricole per dormire la notte, tenere lontano i competitori e gli altri animali non-umani, influire sulla conformazione di denti e intestini, influenzare il rapporto culturale di subordinazione sessuale e sociale, sfruttare un by-product del fuoco come il fumo per raggiungere cibi altamente energetici come il miele, ottenere cibi più digeribili e più calorici, riduzione dei tempi di masticazione. Secondo Wrangham tutto questo, e altro ancora, avrebbe permesso ai nostri antenati di intraprendere fortuitamente la strada che avrebbe condotto alle attuali capacità cognitive del genere Homo.
Darwin aveva scritto che «La scoperta del fuoco, probabilmente la maggiore mai compiuta dall’uomo, tranne il linguaggio, precede l’alba della storia», e la sua importanza fondamentale starebbe proprio nella capacità di rendere digeribili «radici dure e fibrose» e di far diventare «innocue» erbe velenose (Darwin 1990: 75; cfr. Wrangham 2011a: 140). Secondo Wrangham il legame tra cibo, evoluzione e cognizione sembra essere ancora più profondo e significativo di quanto Darwin abbia immaginato. E questo, a Darwin, sarebbe probabilmente piaciuto moltissimo.
Buon Darwin Day 2014!

Aiello, L.C. & P. Wheeler (1995). The Expensive-Tissue Hypothesis: The Brain and the Digestive System in Human and Primate Evolution. Current Anthropology, 36 (2), 199-221 DOI: 10.1086/204350

Bloch, M. & D. Sperber (2002). Kinship and Evolved Psychological Dispositions. Current Anthropology, 43 (5), 723-748 DOI: 10.1086/341654

Carmody RN, Weintraub GS, & Wrangham RW (2011). Energetic consequences of thermal and nonthermal food processing. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 108 (48), 19199-19203 PMID: 22065771

Darwin, Charles Robert (1990). L’origine dell’uomo. Roma: Newton Compton (ed. orig. 1871. The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex. London: Murray)

Dunbar, Robin. (1998). Dalla nascita del linguaggio alla Babele delle lingue. Milano:  Longanesi, (ed. orig. 1996. Grooming, Gossip and the Evolution of Language. Cambridge-MA: Harvard University Press)


Ehrlich, Paul. (2005). Le nature umane. Geni, Culture e prospettive. Ed. it. a cura di Telmo Pievani, Torino: Codice edizioni (ed. orig. 2000. Human Natures: Genes, Cultures, and the Human Prospect. Washington: Island Press)

Fonseca-Azevedo K, & Herculano-Houzel S (2012). Metabolic constraint imposes tradeoff between body size and number of brain neurons in human evolution. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 109 (45), 18571-18576 PMID: 23090991

Leach, Edmund. (1970). Lévi-Strauss. London: Fontana

Lévi-Strauss, Claude. (1966). Mitologica I. Il crudo e il cotto. Milano: il Saggiatore (ed. orig. 1964. Mythologiques I. Le cru et le cuit.  Paris: Librairie Plon)

Wong, Kate (2013). Il primo barbecue. [Intervista a Richard Wrangham]. Le Scienze. Edizione italiana di Scientific American 543: 48-51 (The First Cookout. Scientific American (309) 3: 66-69)

Wrangham; Richard. (2011a). L’intelligenza del fuoco. l’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo. Torino: Bollati Boringhieri (2009. Catching Fire: How Cooking Made Us Human. Profile Books: London / New York: Basic books)

Wrangham, Richard (2011b). Honey and Fire in Human Evolution. In Casting the Net Wide: Papers in Honor of Glynn Isaac and His Approach to Human Origins, edited by Jeanne Sept, Jeanne & David Pilbeam. 149-169. Oxford: Oxbow Books

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