Pagine

domenica 2 febbraio 2014

Quando il tempo dell'analisi si ferma agli anni Settanta del Novecento. Alcune note critiche su Religion in Human Evolution di Robert N. Bellah (2011)

Bellah, Robert N. (2011). Religion in Human Evolution: From the Paleolithic to the Axial Age. Cambridge-MA: Harvard University Press. Fonte: HUP
ResearchBlogging.org La (ri)lettura di un interessante articolo on line, scritto da Matteo Bortolini (2012) e incentrato sull'ultimo libro di Robert N. Bellah, Religion in Human Evolution: From the Paleolithic to the Axial Age, mi ha spronato a redigere un post a commento dell'opus magnum del sociologo statunitense, pubblicato nel 2011.
L'articolo di Bortolini pone con efficacia e in prospettiva il lavoro di Bellah, ma se l'autore propende per un punto di vista "discontinuista" (tra 'RIHE' con il suo antenato risalente al 1965, Religious Evolution, e la produzione legata alla c.d. "religione civile") io tendo piuttosto a leggere la "continuità" con quella produzione sociologica. Questioni di tempo mi impediscono di dedicare maggiore spazio alle osservazioni che seguono, ma mi fa piacere provare comunque a mettere su un tavolo qualche argomento critico in ordine sparso, ripreso e adattato dalla mia tesi di dottorato. Ad esempio:
  1. Bellah rifiuta la teoria computazionale-rappresentazionale della mente  (Bellah 2011: 632, nota n. 15) e fa affidamento sulla psicologia piagetiana - perché, dato che Piaget è stato scientificamente falsificato negli anni Settanta (per quanto ancora intellettualmente stimolante; Piattelli-Palmarini 1979)?
  2. Nonostante l’interesse nei confronti della cognizione umana e della biologia dimostrato nel suo recente libro, Bellah sembra fraintendere i modelli ai quali dice di appellarsi e afferma di aver «trovato particolarmente inutili [i lavori di] coloro i quali ritengono che la mente sia composta da moduli e che la religione sia spiegata da moduli per il rilevamento di agenti (sovrannaturali)» (benché l’autore ammetta di basarsi su un paio di sintesi altrui e non si sia dato la pena di leggere i testi in questione; Bellah 2011: 629, nota n. 154). Il sociologo quindi rifiuta in blocco la CSR (cognitive science of religion), giustificando la sua posizione con un giudizio di valore in una nota e ripiegando sull'interessante modello cognitivista di Merlin Donald, che però soffre di una serie di problemi non indifferenti;
  3. perché riesumare il concetto te(le)ologico di "età assiale", quando esistono modelli scientifici di evoluzione culturale più sofisticati? (cfr. Bulbulia et al. 2013; Turchin et al. 2013). L’uso stesso del concetto di “età assiale” – con il quale si vorrebbe indicare un periodo avente un fulcro cronologico grosso modo incentrato intorno al 500 a.e.v., durante il quale sarebbero fiorite civiltà e religiosità classiche, in particolare eurasiatiche – istituisce delle teleologie implicite e tende a sminuire le profondissime differenze tra i modelli culturali delle varie società analizzate, creando tassonomie personali in ultima istanza opinabili. Come ha scritto Black (2008: 39): «la tesi assiale coniata da [Karl] Jaspers venne presentata al culmine della Guerra Fredda. Può darsi che parte del suo fascino fosse dovuto a un racconto non materialistico dei cambiamenti storici più significativi. Il suo articolo iniziava con la straordinaria affermazione che “nel mondo occidentale la filosofia della storia è stata fondata sulla fede cristiana”; tale proclama è più comprensibile se inteso come mossa tesa a contrastare le posizioni marxiste. Perchè ignorare Tucidide e Polibio se non per preoccuparsi esclusivamente di una visione della filosofia della storia come spiegazione onnicomprensiva?»;
  4. secondo Bellah l’accettazione del pluralismo religioso nelle indagini accademiche, abbandonando il richiamo alla superiorità di una data tradizione religiosa, dovrebbe rappresentare uno degli obiettivi dell’indagine storico-religiosa (Bellah 2011: 603 ss.). Nel far ciò si richiama esplicitamente al concetto di età assiale (comunque di origine cristocentrica) e al libro di Wilfred Cantwell Smith intiolato Toward a World Theology (1981; cit. in Bellah 2011: 604). Nonostante il lodevole richiamo all’abbandono di posizioni “x-centriche”, si tratta di un atteggiamento che esula dai confini di una disciplina scientifico-accademica, e che in ultima istanza fallisce nel tentativo utopico di “purificare” lo studio delle religioni attraverso la condivisione disciplinare di una sorta di meta/sovrateologia mondiale. Bellah sembra ignorare che la storia delle religioni classica ha giocato (e gioca tuttora) con teologie e teleologie spesso occidentali, ma ora e sempre più anche con altri punti di vista che adottano l’illusorio modus operandi di una superiorità umana nella storia naturale del pianeta. Per dirla con le parole di Donald Wiebe (2005): «Il compito dello studioso di religione, in quanto scienziato, non è quello di creare una buona società. […] [C]on l’infiltrazione dell’ideale dello studioso di religione come intellettuale pubblico […], l’agenda scientifica della ricerca di una conoscenza disinteressata sulla religione e sulle religioni è stata, e continua ad essere, indebolita se non destituita»;
  5. punto che discende direttamente dal precedente, perché propendere aprioristicamente, senza aver valutato lo stato della questione disciplinare e le prove scientifiche in merito (cfr. il punto n° 2) per l'idea che la religione - sic et simpliciter - sia una funzione evolutivamente (e positivamente) adattativa del genere umano (Bellah 2011: 100) – un tema che però è dibattuto e non è accolto in tali termini nel generale consenso cognitivista (che peraltro è del tutto assente nell’opera di Bellah)? Chiaramente, molti aspetti della religione hanno avuto potenziali effetti positivi e pro-sociali sulla cooperazione di Homo sapiens, ma purtroppo qui manca proprio la dimostrazione comparativa, quantitativa e qualitativa di come ciò sia implicato con l'etichetta di "età assiale". Diventa ora palese che quei testi appartenenti alla CSR siano stati ritenuti “inutili” poiché (in quanto perlopiù incentrati sul concetto di religione come prodotto secondario di altre capacità cognitive) non si confanno alle aspettative che Bellah ha per le conclusioni delle sue indagini, già stabilite a priori. Così facendo il sociologo perde una eccellente occasione di confronto critico. Nel frattempo Bellah sceglie di giustificare “scientificamente” (ma non di dimostrare) e di limitare quasi ortogeneticamente a una specifica fase dell'intera storia profonda del genere umano (ossia quella interessata dall'“età assiale”) la «dimensione metasociale» della cosiddetta “religione civile”. Con questa etichetta, teorizzata dallo stesso Bellah nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento (Bellah 1973), si intende «il sistema di credenze e di riti mediante il quale una società sacralizza il suo “essere insieme” e alimenta una pietà collettiva verso il proprio ordinamento» (Willaime 1996: 80);
  6. ultima grande domanda inevasa: come comprendere l'evoluzione culturale (la diversità delle culture umane e animali) senza conoscere o citare alcuna delle scuole scientifiche dedicate all'evoluzione culturale (in ordine sparso e senza pretesa di completezza, Richerson, Boyd, Cavalli Sforza, Feldman, Norenzayan, Atran, Boyer, Whitehouse, ecc.)? Le varianti culturali competono, e così le varianti religiose, ma senza l'uso di strumenti provenienti dallo studio scientifico dell'evoluzione culturale, quale valore accademico possiedono le idee espresse? Un lavoro in parte simile a quello di Bellah è stato condotto in modo divulgativo da Robert Wright (2009), ma chiaramente da un testo in gestazione per decenni da uno dei massimi sociologi del Novecento ci si attende qualcosa di più scientifico. 
Non si può che accogliere con piacere l'immenso e naturale panorama nel quale finalmente Homo sapiens viene inserito (a partire dal Big Bang, come nota giustamente Bortolini), in vista della realizzazione - senza più pregiudizi umanistici - di una consilient third culture (Slingerland & Collard 2012), ma se proprio si vuole comprendere la scala del tempo profondo in modo scientifico, senza cedere alle tentazioni teleologico-umanistiche, allora forse è scientificamente più corretto rivolgersi direttamente alle più aggiornate biologia evoluzionistica e CSR tout court, oppure alla Deep History (Smail 2008) e alla Big History (Christian 2011, pur citato nell'introduzione del volume di Bellah). O forse sono io che avevo aspettative davvero troppo elevate.

Insomma vedo che, proprio come afferma Bortolini nell'articolo linkato in alto, il tempo dell'analisi scientifico-critica di Bellah si è fermato tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con alcuni sporadici aggiornamenti scientifici e scarsamente omogenei rispetto al resto del volume (si cfr. l'introduzione e le conclusioni con il resto del testo). Lo stesso avviene con il background generale e con la forma mentis evolutiva e progressionista testimoniata dall'impianto del volume di Bellah, e questo è senza dubbio deleterio rispetto al notevole tema trattato nel libro (pubblicato - lo ricordo - nel 2011). Il progresso scientifico nei campi delle neuroscienze, della cognizione e dell'evoluzione ha reso molti assunti dati per scontati nel mondo umanistico superflui o desueti. Come ha scritto Stephen J. Gould in merito alle idee evoluzionistiche di Freud, «viviamo in un mondo di privilegio dove solo i grandissimi pensatori si conquistano il diritto di commettere errori grandissimi» (Gould 2002; trad. it. da Gould 2009: 155). Forse il Bellah scrittore di 'RIHU' è uno di quegli esempi.

Bellah, Robert N. (1964). Religious Evolution. American Sociological Review., 29 (3), 358-374 DOI: 10.2307/2091480

Bellah, Robert N. (1967). Civil Religion in America. Dædalus, Journal of the American Academy of Arts and Sciences, 96 (1), 1-21 DOI: 10.1162/001152605774431464

Bellah, Robert N. (2011). Religion in Human Evolution: From the Paleolithic to the Axial Age. Cambridge, MA-London: The Belknap Press of Harvard University Press

Bortolini, Matteo. (2012). Back to his roots. Retrieved January 31, 2014, from The Immanent Frame Web site: http://blogs.ssrc.org/tif/2012/03/09/back-to-his-roots/

Black, Antony. (2008). The “Axial Period”: What Was It and What Does It Signify? The Review of Politics, 70 (1), 23-39 DOI: 10.1017/S0034670508000168

Bulbulia, J., Geertz, A.W., Atkinson, Q.D., Cohen, E., Evans, N., François, P., Gintis, H., Gray, R.D., Henrich, J., Jordon, F.M., Norenzayan, A., Richerson, P.J., Slingerland, E., Turchin, P., Whitehouse, H., Widlok, T. & Wilson, D.S. (2013). The Cultural Evolution of Religion, in Richerson Peter J. e Morten H. Christiansen (eds.), Cultural Evolution: Society, Technology, Language, and Religion, The MIT Press, Cambridge, MA, pp. 381-404

Christian, David. (2011). Maps of Time: An Introduction to Big History. With a New Preface. Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press.

Gould, Stephen Jay. (2002). III. Darwinian Prequels and Fallout. 8. Freud’s Evolutionary Fantasy. I Have Landed: The End of a Beginning in Natural History. New York: Harmony Books, 147-158 DOI: 10.4159/harvard.9780674063419.c3

Gould, Stephen Jay. (2009). La fantasia evoluzionista di Freud. In I Have Landed. Le storie, la storia, a cura di Pievani. Telmo. 329-347. Torino: Codice edizioni.

Piattelli Palmarini, Massimo (1979). Théories du langage, Théories de l’apprentissage. Le débat entre Jean Piaget et Noam Chomsky, organisé et recueilli par M. Piattelli Palmarini. Paris: Éditions du Seuil

Slingerlard, Edward and Mark Collard. (eds). (2012). Creating Consilience: Integrating the Sciences and the Humanities. Oxford and New York: Oxford University Press.

Smail, Daniel Lord. (2008). On Deep History and the Brain. Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press

Smith, Wilfred Cantwell (1981). Towards a World Theology: Faith and the Comparative History of Religion. Philadelphia: The Westminster Press.

Turchin P, Currie TE, Turner EA, & Gavrilets S (2013). War, space, and the evolution of Old World complex societies. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 110 (41), 16384-9 PMID: 24062433

Wiebe, Donald. (2005). The Politics of Wishful Thinking?: Disentangling the Role of the Scholar-Scientist from that of the Public Intellectual in the Modern Academic Study of Religion. Temenos. Nordic Journal of Comparative Religion (41) 1: 7-38

Willaime, Jean Paul (1996). Sociologia delle religioni. Bologna: il Mulino(ed. orig. 1995. Sociologie des religions, Paris: Presses Universitaires de France)

Wright, Robert. (2009). The Evolution of God. New York: Little, Brown and Company (ed. it. 2010. L'evoluzione di Dio. Roma: Newton Compton)

Nessun commento:

Posta un commento