lunedì 10 settembre 2012

Dinosauri e tuatara. I fossili viventi nella biospeleologia di Emil Racoviţă

Henry, il tuatara in cattività più vecchio al mondo, ad Invercargill, Nuova Zelanda. Età dichiarata: 111 anni al 2009. Immagine: autore KeresH, fonte Wikipedia.
ResearchBlogging.org Biospeleologia e ortogenesi

Brian Switek, giornalista scientifico e blogger extraordinaire, ha recentemente offerto una sua vivace riflessione in occasione della pubblicazione di un articolo di Carlo Meloro e Marc Jones, nel quale viene smontato (nel caso non fosse ancora chiaro) l'argomento sempreverde dei tuatara come fossili viventi [1]. Dato che nell'articolo dei due autori citati la storiografia del caso in oggetto non trova molto spazio (e considerando che che le fonti storiografiche più risalenti citate da Meloro e Jones  risalgono solo agli anni '50 del Novecento), con questo contributo (che rappresenta anche un'anticipazione, opportunamente modificata e semplificata, di un mio libro all'ultima fase di preparazione revisione ricerca di contatti editoriali stasi editoriale ?!)*, cerco di scavare più a fondo nelle pieghe della storia per cercare le radici novecentesche della controversa definizione di «fossile vivente». Un’indagine che mi ha portato a concentrarmi su un nome in particolare, lo studioso di origine romena Emil Racoviţă (1868-1947) [2].
Promotore della biospeleologia (scienza che si occupa dello studio degli organismi che trascorrono la loro esistenza nelle caverne e nelle cavità ipogee, da lui battezzata biospeologia), Racoviţă si distingueva per un sistema eclettico all’interno del quale trovavano spazio una concezione neolamarckiana (comprendente l’ereditarietà dei caratteri acquisiti), un ridimensionamento della selezione naturale nel processo evolutivo e una visione ortogenetica [3]. Racoviţă non fu solamente uno studioso da poltrona: partecipò al viaggio di esplorazione antartica a bordo della nave Belgica (1897-1899), al quale prese parte tra gli altri il celebre esploratore norvegese Roald Amundsen (1872-1928). A partire dal 1920, Racoviţă fu a capo del primo istituto di biospeleologia al mondo, a Cluj in Romania.

*: Per la revisione della presente sezione del capitolo dal quale è tratto il seguente estratto devo ringraziare in particolare Simone Maganuco e Stefania Nosotti, entrambi afferenti al Museo di Storia Naturale di Milano.

Un modello di storia naturale

Per quanto riguarda le concezioni naturalistiche dello studioso romeno si rileva innanzitutto l’accettazione delle idee del naturalista tedesco Moritz Wagner (1813-1887) [4]. In «un’accanita discussione» con Darwin, Wagner sostenne (cito da Ernst Mayr) «che l’isolamento geografico era assolutamente indispensabile per la speciazione. Sfortunatamente Wagner rese confusi i termini della discussione affermando anche che la selezione naturale era inoperante se la popolazione non era isolata» [5]. Oggi l’idea della speciazione allopatrica, riveduta e corretta dai tempi di Wagner, è diventata parte integrante dell’evoluzionismo grazie anche alla conoscenza dei meccanismi genetici coinvolti in questo processo [6]. All’epoca però, Racoviţă, poneva in secondo piano l’importanza della selezione naturale e, sulla scorta della ricezione del lavoro di Wagner, attribuiva il processo della speciazione tout court all’isolamento: «Se l’isolamento venisse a mancare, i mutanti si abbandonerebbero a degli incroci tra di loro e il risultato sarebbe un ritorno al tipo primitivo» [7].
In secondo luogo, nell’opera di Racoviţă fu determinante l’influenza dell’ortogenesi formulata da un altro naturalista tedesco, Theodor Eimer (1843-1898), secondo la quale il principio di perfezione immanente nell’evoluzione traccerebbe un percorso obbligato in una direzione più o meno rettilinea [8]. Eimer, in particolare, pose l’attenzione sul fatto che le serie rettilinee della filogenesi si potevano tracciare anche per caratteri non utili o persino dannosi [9]. Infine, dato che in questo tipo di pensiero si riteneva che la storia evolutiva fosse guidata da leggi finalistiche che determinano lo sviluppo degli organismi, secondo Racoviţă – e altri studiosi dell’epoca – sarebbe stato inoltre possibile prevedere le direzioni evolutive del futuro, ossia «spiegare la vita di oggi tramite la trasformazione di quella di ieri, e […] dedurre ciò che sarà domani della direzione evolutiva della storia dei fenomeni attuali» [10].

Tuatara, caverne e dinosauri

Era opinione di Racoviţă che «[…] la correzione delle nostre idee sui relitti [ossia, i “fossili viventi”. NdA] [fosse] dovuta in gran parte alle ricerche speleologiche, e il ruolo di questa disciplina […] si annuncia della più grande rilevanza. Solo nelle caverne, negli anfratti, nei pozzi, nei dirupi […], esplorate dai collaboratori […] e da me, è stato scoperto un numero considerevole di relitti terziari e persino mesozoici. Le creature portate alla luce, studiate con spirito “storico” […], si sono dimostrate molto spesso “straniere” in mezzo ai loro contemporanei che vivono in superficie, benché alcune siano imparentate con specie che abitano ora in lontanissime zone biogegrafiche, contraddistinte da climi diversi, mentre altre con stirpi estinte da tempo più o meno lontano» [11].
Oggetto degli studi di Racoviţă erano difatti i troglobi, termine con il quale si definiscono tutti gli animali (crostacei, artropodi, pesci, anfibi urodeli, etc.) che trascorrono l’intera esistenza nelle caverne, in genere contraddistinti da scarsa pigmentazione cutanea e da vista ridotta o assente [12]. Racoviţă si era convinto che questi animali, in una forma (quasi) perennemente identica, risalissero sic et simpliciter al Mesozoico. La speleologia sarebbe quindi diventata «lo strumento per eccellenza che, tramite le “vestigia sotterranee”, testimoni di uno sviluppo che si estende per milioni di anni, [avrebbe permesso] di rintracciare il cammino e l’incontestabile evoluzione degli esseri viventi sulla Terra» [13].
Secondo la Weltanschauung evoluzionistica racoviţiana, dunque, alcuni organismi-relitti, che sono riusciti fino ad oggi ad attraversare il tempo profondo senza cambiamenti, sarebbero «testimoni per così dire oculari» dei diversi periodi che si sono succeduti nel corso della storia del pianeta. «Questi “relitti” sono, dal punto di vista cronologico e filogenetico, dei veri fossili a confronto dei loro attuali compagni di vita, ma “fossili vivi” […]» [14]. Nel passaggio riportato, tra gli esempi che l’autore elenca per dimostrare l’esistenza di «fossili viventi», viene citato il caso del tuatara neozelandese, che non appartiene al gruppo racoviţiano dei troglobi (Sphenodon punctatus, erroneamente ricordato come «specie australiana»). Secondo il biospeleologo, il tuatara sarebbe il testimone vivente e «non modificato di quei tempi fiabeschi» in cui dominavano i dinosauri: quasi invidiando il piccolo animaletto immobilizzato nel tempo, Racoviţă ritiene sia stato uno spettacolo tremendo per il piccolo tuatara assistere alla «lotta tra bestie come il Tirannosauro, con fauci giganti armate con centinaia di coltelli appuntiti, ed erbivori sgraziati come il Brachiosauro che superavano i 30 metri di lunghezza» [15].

Un modello sbagliato

Come già era noto all’epoca, i due generi di dinosauro appena citati non hanno convissuto e sono separati da almeno una settantina di milioni di anni circa [16], ma forse lo speleologo li volle appaiare per sortire un grandioso effetto scenografico. La visione biologica che regge il pensiero dello speleologo romeno è certamente di origine romantica, e sottende alcuni pregiudizi iconografici allora tipici e in seguito abbandonati. In un’epoca nella quale gli studiosi post-vittoriani consideravano i dinosauri come “rettili terribili” (fedelmente all’etimologia del neologismo coniato da Richard Owen nel 1842), animali grassi, enormi e impacciati, questi esseri erano invariabilmente immobilizzati in una visione dicotomica per cui, nella parole di Robert T. Bakker, o erano «mostri relegati nelle paludi, indolenti, arrancanti nel fradicio terreno dell’era Mesozoica con andature sonnolente» [17] oppure non facevano altro che divorarsi a vicenda, secondo lo stilema convenzionale sintetizzato da Stephen J. Gould, i cui canoni comprendevano un'«innaturale e affollata predazione per cui ogni creatura raffigurata rappresenta il partecipante al banchetto o il pasto stesso» [18]. In quell’ottica, se i dinosauri rappresentavano un esperimento fallito della storia della vita sul pianeta, estinti senza lasciare discendenti perché «sgraziati», ossia inadatti alla vita (sappiamo invece oggi che gli uccelli, una delle classi di vertebrati più diffuse al mondo, sono dinosauri), i mammiferi e in particolare l’uomo risultavano essere i “conquistatori” vincenti della storia: la medesima impostazione gloriosa e teleologica destinata a dominare all’epoca, mutatis mutandis, nella storia delle culture e delle religioni [19].
Per comprendere appieno il pensiero di Racoviţă, e chiarire la contestualizzazione storica dei punti attualmente non più sostenibili, non basta affermare che i troglobi sono in genere animali provenienti dalla superficie e adattatisi secondariamente all’ambiente (non sarebbero quindi né relitti né «fossili viventi»), né che esiste una complessa differenza a seconda del grado di frequentazione e di adattamento di questi organismi all’habitat ipogeo. Andrebbe invece sottolineato come il concetto di «fossile vivente», al pari del forse più celebre “anello mancante” o “di congiunzione”, fosse solitamente tradotto, e lo è ancora soprattutto nel mondo della comunicazione mediatica di massa, in un’iconografia convenzionale che stabilisce rapporti lineari tra gruppi tassonomici discreti (un insieme è discreto se ogni suo punto è “separato”, e perciò “isolabile”, dagli altri). Da questi deriva, in ultima istanza, la constatazione che «la posizione nel tempo si combina con un giudizio di valore» [20]. Detto altrimenti, «l’equazione secondo cui più antico equivarrebbe a meno complesso e meno diversificato è piena di eccezioni, proprio perché i fattori evolutivi influenti hanno agito in modo da produrre organismi complessi in tempi precoci, o viceversa hanno conservato per centinaia di milioni di anni soluzioni di sopravvivenza semplici e robuste» [21]. In estrema sintesi, gli schemi dell’evoluzione (ricavabili solo a posteriori dall'indagine umana) sono ramificati a cespuglio, non orientati (teleologicamente) verso l’alto come un tronco d’albero sviluppantesi in ramoscelli finali.
Inoltre i “fossili viventi”, e gli “anelli di congiunzione”, non esistono in quanto tali – anche i troglobi sono il frutto di un’evoluzione [22]. Essendo la variabilità individuale la base sulla quale si innesta il motore dell’evoluzione, qualunque organismo potrebbe benissimo essere un “anello di congiunzione” tra qualcosa di precedente e qualcosa di successivo: la concezione dell’anello mancante, frutto di un vetusto costrutto intellettuale, ha esaurito la sua funzione euristica ed è stata sostituita (per così dire) dalla ricerca paleontologica e genetica dell’ultimo antenato comune, un territorio esplorato dalla sistematica filogenetica [23]. Altra cosa, e ben diversa, sono le forme transizionali allo stato fossile tra due taxa viventi [24]. Considerare il tuatara come un “fossile vivente” (per quanto, come altri gruppi animali tra cui limuli, storioni, dipnoi, etc., manifesti una certa stabilità generale e apparente di Bauplan, dovuta ad un «tasso di speciazione così basso che ben poco materiale grezzo per tendenze di clade è stato generato nel tempo» [25]) è un luogo comune che minimizza i cambiamenti morfologici interni al suo gruppo di appartenenza (Sphenodontia) [26].
Infine, non c’è sempre equivalenza diretta tra le variazioni del genotipo (ovvero, relative all’insieme di geni che compongono il codice genetico) e del fenotipo (ossia l’espressione di un genotipo: «tutte le proprietà osservabili, strutturali o funzionali, di un organismo») [27], perché solamente meno del cinque per cento circa del genoma controlla la morfologia dei vertebrati: ad una più o meno grande stabilità fenotipica nel tempo profondo si può quindi associare una certa divergenza genotipica (difficilmente riscontrabile ad occhio nudo) [28].

[1] Brian Switek, Unless They’re Zombies, Fossils Don’t Live, su Wired.com, 22 agosto 2012, http://www.wired.com/wiredscience/2012/08/a-rant-about-living-fossils/;  commento su Carlo Meloro e M.E. Jones, Tooth and cranial disparity in the fossil relatives of Sphenodon (Rhynchocephalia) dispute the persistent 'living fossil' label, in «Journal of Evolutionary Biology», Article first published online: 20 Aug. 2012, doi: 10.1111/j.1420-9101.2012.02595.x.
[2] Un quadro del suo pensiero è reperibile in Victoria Tatole, Notes on the Reception of Darwin’s Theory in Romania, in Eve-Marie Engels e Thomas F. Glick (eds.), The Reception of Charles Darwin in Europe, Continuum, London-New York 2008, vol. II, pp. 463-479; in part. pp. 477 e sgg. Il testo non è però esente da lacune storiografiche. Per un profilo biobibliografico restano fondamentali Constantin Motaş e Constantin A. Ghica, Emil Racoviţă: 1868-1947, Meridiane, Bucureşti 1968 e iid., Emil Racoviţă. Fondatorul biospeologiei, Editura Ştiinţifică, Bucureşti 1969, mentre per una sintesi della cultura antidarwiniana della zona all'epoca, influenzata dall'ortogenesi tedesca e dal neolamarckismo di area francese, si rimanda a T. Pievani, Introduzione a Darwin, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 149-150.
[3] C. Motaş e C.A. Ghica, Emil Racoviţă: 1868-1947, cit., pp. 37-38. L’ortogenesi implicava «soluzioni lamarckiane fin dal suo esordio» e si sarebbe rivelata priva di fondamento alla luce degli sviluppi in campo genetico ed evoluzionistico; cit. da Giulio Barsanti, Una lunga pazienza cieca. Storia dell’evoluzionismo, Einaudi, Torino 2005, p. 336.
[4] C. Motaş e C.A. Ghica, Emil Racoviţă: 1868-1947, cit., pp. 35-36. Su Wagner cfr. Richard Milner, Wagner, Moritz (1813-1887), in id., Darwin’s Universe: Evolution from A to Z, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2009, p. 433.
[5] Ernst Mayr, Un lungo ragionamento. Genesi e sviluppo del pensiero darwiniano, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 46 (ed. or. One Long Argument: Charles Darwin and the Genesis of Modern Evolutionary Thought, Harvard University Press, Cambridge 1991).
[6] R. Milner, Wagner, Moritz (1813-1887), cit.
[7] Cit. di Racoviţă proveniente da C. Motaş e C.A. Ghica, Emil Racoviţă: 1868-1947, cit., p. 36.
[8] Ivi, p. 38.
[9] Cfr. E. Mayr, Un lungo ragionamento, cit., p. 74; id., Storia del pensiero biologico. Diversità, evoluzione, eredità, Bollati Boringhieri, Torino 2011, vol. I,  p. 476 (19901; ed. or. The Growth of Biological Thought. Diversity, Evolution, and Inheritance, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 1982).
[10] C. Motaş e C.A. Ghica, Emil Racoviţă: 1868-1947, cit., p. 40. La citazione proviene da un discorso tenuto da Racoviţă nel 1928.
[11] Cit. da  C. Motaş e C.A. Ghica, Emil Racoviţă. Fondatorul biospeologiei, cit., p. 164.
[12] Per una disamina più precisa del concetto si può vedere Thomas C. Barr, Jr. e John R. Holsinger, Speciation in Cave Faunas, in «Annual Review of Ecology and Systematics», 16, 1985, pp. 313-337; in part. pp. 314 e 316. Per approfondire si rimanda a David C. Culver e Tanja Pipan, The Biology of Caves and Other Subterranean Habitats, Oxford University Press, Oxford-New York 2009, e Aldemaro Romero, Cave Biology: Life in Darkness, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2009 (in part. la prima parte storiografica, A Brief History of Cave Biology, pp. 1-61).
[13] C. Motaş e C.A. Ghica, Emil Racoviţă. Fondatorul biospeologiei, cit., p. 164.
[14] Ivi, pp. 161-162.
[15] Ivi, p. 163.
[16] David B. Weishampel, Peter Dodson e Halska Osmólska (eds.), The Dinosauria. Second Edition, The University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2007, pp. 113 e 267 (2004; la prima ed. risale al 1990)].
[17] Robert T. Bakker, The Dinosaur Heresies, Penguin Books, London-New York 1988, p. 15 (ed. or. William Morrow & Co., New York 1986).
[18] S.J. Gould, Reconstructing (and Deconstructing) the Past, in id (ed.), The Book of Life: An Illustrated History of the Evolution of Life on Earth, W.W. Norton & Co., New York 20012, pp. 6-21; p. 9 (19931).
[19] Paul Semonin, Empire and Extinction: The Dinosaur as a Metaphor for Dominance in Prehistoric Nature, in «Leonardo», 30, 3, 1997, pp. 171-182.
[20] S.J. Gould, La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia, Feltrinelli, Milano 2007, p. 39, nota n. 6 (19901; ed. or. Wonderful Life: The Burgess Shale and the Nature of History, W.W. Norton & Co., New-York-London 1989).
[21] Telmo Pievani, La vita inaspettata. Il fascino di un’evoluzione che non ci aveva previsto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, p. 23. Una sintesi sul concetto di storia nell’evoluzione è in ivi, pp. 93-96 e passim.
[22] Cfr. T.C. Barr, Jr. e J.R. Holsinger, Speciation in Cave Faunas, cit.
[23] Cfr. Pascal Picq, Lucy et l’obscurantisme, Odile Jacob, Paris 2008, p. 201 (2007).
[24] Cfr. Jerry A . Coyne, Perché l’evoluzione è vera, Codice edizioni, Torino 2010, pp. 40-42 (ed. or. Why Evolution Is True, Viking Penguin, New York 2009) e il par. L’ossessione dell’anello mancante in T. Pievani, La vita inaspettata, cit., pp. 22-23.
[25] S.J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, edizione italiana a cura di T. Pievani, Codice edizioni, Torino 2003, p. 1171 (ed. or. The Structure of Evolutionary Theory, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 2002).
[26] Cfr.  Xiao-Chun Wu, Late Triassic-Early Jurassic Sphenodontians from China and the Phylogeny of Sphenodontia, in Nicholas C. Fraser e Hans-Dieter Sues (eds.), In the Shadow of the Dinosaurs: Early Mesozoic Tetrapods, Cambridge University Press, Cambrige 1994, pp. 38-69.[27] Cfr. Gabriella Sella, Genotipo e fenotipo, in Aldo Fasolo (a cura di), Dizionario di biologia, UTET, Torino 2004, pp. 476-479; p. 476.
[28] Guillaume Lecointre e Hervé Guyader, Classification phylogénétique du vivant, Belin, Paris 20013, p. 44.

Indicizzazione su Research Blogging tramite:Meloro C, & Jones ME (2012). Tooth and cranial disparity in the fossil relatives of Sphenodon (Rhynchocephalia) dispute the persistent 'living fossil' label. Journal of evolutionary biology PMID: 22905810