martedì 7 gennaio 2014

Di moduli e domini: la teoria computazionale-rappresentazionale della mente

Wikipedia; opera di HikingArtist
ResearchBlogging.org
Riprendiamo il discorso sulla decostruzione dell'idea della tabula rasa mentale attingendo dal materiale raccolto durante la serie di post dedicati al volume di Robert N. McCauley intitolato Why Religion Is Natural and Science Is Not, e cerchiamo di vederci in modo un po' più chiaro.

Ripartiamo dalla teoria computazionale-rappresentazionale della mente avanzata da Jerry Fodor, secondo la quale quale il funzionamento della mente dovrebbe corrispondere a una serie di moduli indipendenti tendenti all’espletazione più o meno ottimale di determinati problem solving [1]. L’importanza della proposta di Fodor risiede nella sua forma teorico-scientifica: la sua idea di modularità (ossia una descrizione della struttura mentale nella quale determinati moduli sono deputati all’elaborazione di dati in modalità fisse) occupa un ruolo centrale nella rivoluzione cognitiva successiva agli anni Sessanta del Novecento e ha risposto al bisogno e all’esigenza di operare nel campo del funzionamento della mente (appannaggio storico della filosofia) con uno strumento concettuale propriamente scientifico. I moduli fodoriani sono quindi meccanismi computazionali (input systems) che elaborano le informazioni provenienti dai sistemi percettivi (visivo, uditivo, olfattivo, ecc.). Tali sistemi forniscono le informazioni ai processi cognitivi centrali, i quali sono invece preposti al ragionamento e ad altri tipi di analisi più o meno raffinata. Le caratteristiche che secondo Fodor contraddistinguono i moduli mentali in quanto sistemi di elaborazione di input sono le seguenti [2]:
  1. specificità per dominio: i moduli sono meccanismi specifici vincolati all’elaborazione di input provenienti da domini specifici;
  2. obbligatorietà delle operazioni: allo stesso modo di ciò che avviene con i riflessi, non si può evitare di elaborare l’informazione ricevuta (ad esempio, non si può percepire una frase ascoltata in condizioni normali come un inintelligibile disturbo rumoroso, come avviene nella xenoglossia o nella glossolalia e, forse più comunemente, con le parole percepite come appartenenti alla nostra madrelingua e presenti nei testi delle canzoni cantate in lingue straniere);
  3. accesso limitato alle rappresentazioni elaborate: il sistema cognitivo centrale ha un accesso estremamente limitato alle rappresentazioni che i sistemi di input elaborano (ci si dimentica in fretta di determinate caratteristiche e di particolari visti in una manciata di secondi, a meno che non ci si concentri deliberatamente, focalizzando l’attenzione);
  4. velocità di elaborazione: assicurata dall’azione di un limitato e stereotipato sottoinsieme di possibili interpretazioni degli input;
  5. incapsulamento dell’informazione (o informazionale): ciò che sappiamo del mondo che ci circonda non ha effetto sulla persistenza delle illusioni o, meglio, «la nostra incapacità di sfuggire ad alcune di esse» (ad esempio quelle visive) è uno dei punti fondamentali sui quali si basa l’idea fodoriana che i moduli siano impermeabili a livello cognitivo [3];
  6. output superficiale: i moduli che elaborano i dati sono limitati alle distinzioni più basilari (ad esempio, i moduli visivi si limitano alla forme mentre i moduli linguistici elaborano la struttura sintattica ma non il significato; ancora, l’identificazione di tavole e sedie è banale, e nessuno ha problemi a visualizzarle, mentre è molto più problematico immaginare mentalmente un generico “mobile”);
  7. architettura neurale fissa: esiste un’associazione tra localizzazione cerebrale e analisi degli input;
  8. danneggiabilità selettiva: eventuali problemi dei sistemi neurali dovuti a incidenti o malattie mostrano un pattern caratteristico, che sembra confermare la specificità per dominio (ossia, i disturbi della percezione che affliggono determinate modalità di riconoscimento degli input non affliggono altre capacità);
  9. pattern di maturazione: lo sviluppo dei moduli segue un ordine e un ritmo caratteristici, un elemento chiave se si considerano ad esempio le capacità motorie di un neonato, per cui si ha solitamente una sequenza che comprende la capacità di girarsi su un fianco entro poche settimane, stare seduti e gattonare entro un certo numero di mesi e i primi passi entro un anno (lo stesso avviene con il linguaggio). 
Il modello fodoriano originario però, eccessivamente rigido e non esente da problemi, è stato successivamente modificato e aggiornato sulla base dell’accumulo di evidenze provenienti dal campo della psicologia sperimentale (ad esempio, non è detto che un modulo debba manifestare contemporaneamente tutte le caratteristiche elencate da Fodor) [4]. Gli studiosi impegnati in questo tipo di ricerche (in particolare gli psicologi evoluzionisti) hanno perciò proposto che, contrariamente alla tesi fodoriana per cui la modularità è limitata ai soli sistemi periferici come la vista, una gran parte (o la totalità, a seconda dell’interpretazione) dei sistemi di elaborazione di dati della mente potrebbe essere di fatto modulare. Ad oggi sono stati proposti come rappresentanti di questa concezione della modularità cognitiva:
  • il rilevamento di impostori;
  • il ragionamento;
  • il linguaggio;
  • la ToM (la teoria della mente che permette di adottare un atteggiamento intenzionale nei confronti di altri agenti);
  • l’orientamento nello spazio;
  • i sistemi emotivi quali paura, disgusto, gelosia, ecc.;
  • il riconoscimento dei volti;
  • «[la] scelta del partner, [l’]uso di utensili, [il] riconoscimento delle emozioni dall’espressione del viso», ecc. [5].
Un simile concetto di modularità massiva (massive modularity) presuppone pertanto l’esistenza di dozzine o centinaia di circuiti neurali distinti, che nel loro insieme mediano tutte le attività cognitive principali, ognuna delle quali si è evoluta nel corso del tempo profondo del genere Homo per fronteggiare determinate attività [6]. In pratica, come sintetizza McCauley, «la mente, come un coltellino svizzero, contiene un assortimento di strumenti adatti a scopi speciali, che possono lavorare in modo relativamente indipendente l’uno dall’altro e che, se assolutamente necessario, possono essere utilizzati per affrontare problemi per i quali non sono stati progettati» [7]. Nella sintesi offerta da H. Clark Barrett e Robert Kurzban tale punto di vista rifiuta l’annoso dibattito tra sostenitori delle conoscenze innate (geneticamente determinate) ed emergenza durante l’ontogenesi, per abbracciare invece la teoria dei sistemi di sviluppo (ovvero lo studio delle interazioni causali e contingenti tra geni e ambiente nello sviluppo dal gamete all’organismo maturo) e afferma che, a differenza di un fraintendimento assai diffuso nella letteratura critica del passato recente, la modularità non equivale al determinismo genetico [8]. I due studiosi fanno poi appello a una elaborazione puntuale di Dan Sperber e ritengono che non si possa escludere che i sistemi cognitivi centrali siano anch’essi specifici per dominio (mentre nel sistema fodoriano, lo ricordiamo, i sistemi cognitivi centrali non sono modulari) [9].

Ora, come è possibile che i moduli cognitivi possano essere utilizzati per elaborare informazioni differenti rispetto a quelle per cui essi si sono evoluti? La critica più comune rivolta nei confronti delle elaborazioni psicologiche basate sulla proposta fodoriano-modulare del passato recente è stata che i moduli specifici per dominio (ossia, che trattano pacchetti di dati distinti anche all’interno della medesima facoltà; ad esempio la percezione dei volti è differente rispetto a quella del colore, ecc.) [10] non riuscirebbero a spiegare l’apprendimento di funzioni e azioni del tutto nuove: solo input specifici possono essere elaborati in un particolare modulo. In realtà, come notano H.C. Barrett e Kurzban, sulla scorta di Sperber, esiste una differenza tra input propri e reali: «gli stimoli che incontrano i criteri del dispositivo [modulare] possono nondimeno essere elaborati, anche se non erano presenti nell’ambiente ancestrale [di origine]» [11]. In breve, il dominio di elaborazione comprende non solo le disposizioni evolutesi per fornire un adattamento in qualche modo utile all’organismo (dominio proprio), ma anche l’elaborazione di stimoli più o meno simili ma che non rientrano nel dominio originario (dominio reale) [12]. Il risultato dell’elaborazione dei dati che non rientrano all’interno del dominio proprio fa parte dei prodotti cognitivi secondari, siano essi comportamentali o intellettuali, e soggiace all’acquisizione cognitiva dei dati (cognitive capture) così descritta da Pierre Liénard e Boyer: «l’attivazione [modulare] tramite segnali che non fanno parte del repertorio funzionale intrinseco» del dominio proprio [13]. Così, ad esempio, l’atto di guidare un’automobile può fare affidamento sui sistemi per evitare urti con altri oggetti, mentre i sistemi strategici di cognizione sociale possono essere ingaggiati durante le partite a scacchi [14].

[1] Fodor, Jerry. La mente modulare. Saggio di psicologia delle facoltà, il Mulino, Bologna 1988 (ed. orig. The Modularity of Mind: An Essay on Faculty Psychology, The MIT Press, Cambridge-MA 1983).
[2] L'elenco segue lo schema presentato in McCauley, Robert N., Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, pp. 44-49.
[3] McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 45.
[4] Fodor, Jerry, La mente non funziona così. La portata e limiti della psicologia computazionale, Laterza, Roma-Bari 2001 (ed. orig. The Mind Doesn’t Work That Way: The Scope and Limits of Computational Psychology, The MIT Press, Cambridge 2000). Cfr. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 50.
[5] Cfr. Barrett, H. Clark e Robert Kurzban, Modularity in Cognition: Framing the Debate, in «Psychological Review», 113, 2006, pp. 628-647: 630. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 53.
[6] Cardaci, Maurizio, Psicologia evoluzionistica e cognizione umana, il Mulino, Bologna 2012.
[7] McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 52.
[8] Barrett e Kurzban, Modularity in Cognition, cit., p. 639.
[9] McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 51. Cfr. Sperber, Dan, The Modularity of Thought and the Epidemiology of Representations, in Hirschfeld, Lawrence B. e Susan A. Gelman (eds.), Mapping the Mind: Domain Specificity in Cognition and Culture, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1994, pp. 39-67.
[10] Cardaci, Psicologia evoluzionistica..., cit., p. 98.
[11] Barrett e Kurzban, Modularity in Cognition, cit., p.  635. Cfr. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 157 (che a sua volta riprende Sperber, The Modularity of Thought..., cit., pp. 66-67, 50-53).
[12] Cfr. Sperber, Dan e Lawrence Hirschfeld, The Cognitive Foundations of Cultural Stability and Diversity, in «Trends in Cognive Science», 8, 1, January, 2004, pp. 40-46: 40-42.
[13] McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 157 (cfr. Liénard, Pierre e Pascal Boyer, Whence Collective Ritual? A Cultural Selection Model of Ritualized Behavior, in «American Anthropologist», 108, 2006, pp. 814-827).
[14] Barrett e Kurzban, Modularity in Cognition, cit., p. 635.

Artt. indicizzati in Research Blogging:
Barrett HC, & Kurzban R (2006). Modularity in cognition: framing the debate. Psychological review, 113 (3), 628-47 PMID: 16802884 Sperber, D. (1994). The Modularity of Thought and the Epidemiology of Representations. Hirschfeld, Lawrence B. & Susan A. Gelman (eds.), Mapping the Mind: Domain Specificity in Cognition and Culture, Cambridge University Press, Cambridge-New York, 39-67 DOI: 10.1017/CBO9780511752902.003 Sperber D, & Hirschfeld LA (2004). The cognitive foundations of cultural stability and diversity. Trends in cognitive sciences, 8 (1), 40-6 PMID: 14697402 Liénard, P. & P. Boyer (2006). Whence Collective Ritual? A Cultural Selection Model of Ritualized Behavior American Anthropologist, 108, 814-827 DOI: 10.1525/aa.2006.108.4.814

Nessun commento:

Posta un commento