La classica e desueta iconografia della progressiva evoluzione umana. Human Evolution Scheme, da Wikipedia, opera di M. Garde su un disegno di J.-M- Benitos. |
«Sono convinto che la vita intellettuale, nella società occidentale, si va sempre più spaccando in due gruppi contrapposti. [...] Nella storia dell'attività mentale è qui che si sono prodotte alcune fratture. Le occasioni ora ci sono. Ma sono, per così dire, sospese nel vuoto, per il fatto che i membri delle due culture non riescono a parlarsi».
Charles Percy Snow, Le due culture, Marsilio, Venezia 2005, pp. 19 e 30 [1]Terza cultura italiana? Storia di un incontro mancato. Parte I
Sulla cultura italiana pesa un macigno enorme: l'esclusione storica della conoscenza scientifica dal novero delle alte discipline accademiche e dalla consapevolezza socio-culturale, mediatica e non. In particolare spicca il generale disinteresse nel quale hanno versato le scienze naturali del nostro passato recente [2]. La divisione tra due culture, quella umanistico-letteraria e quella scientifica, stigmatizzata in uno scritto di Charles Percy Snow pubblicato originariamente nel 1959 [3] e riportato in auge in tempi più recenti dall'opera di John Brockman (Edge Foundation) con alcune varianti [4], è perpetuamente alimentata dalla sicumera di una forte tradizione nazionale quasi anti-scientifica che si nutre di paradossi (chi è contro la scienza non esita poi a fare appello alle conquiste della medicina o agli strumenti offerti dalla tecnologia) e fraintendimenti (che spingono ad occuparsi e parlare di scienza chi non ha conoscenze adeguate). A causa di tali motivi, nessuna seria istanza di sanare la frattura - e dare vita ad una rinnovata "terza cultura", come nella proposta divulgativa di Brockman - è stata finora portata avanti. Si è anzi assistito all'esatto opposto, ossia l'incongrua assimilazione, e subordinazione (con scarsi risultati), della cultura scientifica da parte di quella letterario-religiosa-umanista.
Concentriamoci per il momento su uno dei grandi malintesi che hanno permeato la divulgazione delle scienze naturali. Alla radice troviamo un curioso e complesso fraintendimento storico: associare tout court le scienze naturali alla scala naturae che andrebbe dalla bestia al "primitivo" e da questi all'uomo moderno e occidentale. Seguendo questa logica, è stata spesso percepita come ovvia l'adozione dell'equazione tra studio scientifico e "sopravvivenza (cruenta) del più adatto", tra svuotamento del senso (religioso) della vita e violenza disumana e innaturale che regnerebbe nel cosmo e, soprattutto, nella selezione naturale. Questa forzata equivalenza tra pensiero naturalistico darwiniano e indirizzo di un pensiero culturale extradarwiniano (in voga autonomamente) era diffusa già dalla seconda metà dell'Ottocento, per cui non faceva certo notizia trovarsi di fronte alle (spesso non troppo) velate accuse profondamente antidarwiniane che gettavano tutta la scienza naturale in un unico, non identificato calderone, ed espresse con la franchezza di chi ritiene di conoscere una verità fondamentale. Ancora verso la fine degli anni '30 del '900 non era difficile trovarsi di fronte a chi, tra i maggiori letterati del paese e i più celebrati filosofi, riteneva la storia naturale una semplice «trasfigurazione fantasiosa», che tramite l'assegnazione e organizzazione di «serie dal più semplice al più complesso - quasi giornate della creazione - », avrebbero potuto al più fornire un vago «colorito storico». L'interpretazione della natura come storia evoluzionistica, «valendosi di formule tautologiche, come "evoluzione", "trapasso dall'indistinto al distinto", "lotta per la vita", "vittoria del più forte" o "del più adatto"» avrebbe fallacemente creato «una pseudostoria che, argomentandosi di avere ritrovato la genesi dell'animale-uomo, si congiungeva alla storia umana in unica serie» [5]. L'esempio non è stato scelto a caso: per quanto le radici del dibattito siano antiche e i casi a disposizione moltissimi, se occorre partire da un contesto locale e relativamente recente, nulla appare più adatto di questa durissima presa di posizione contro l'intera cultura naturalistica e scientifica, pubblicata nel 1939 da Benedetto Croce (1866-1952), il filosofo che ha modellato l'indirizzo generale della cultura italiana del Novecento. Una pietra tombale per l'autonomia della ricerca scientifica in un paese all'epoca culturalmente ancora giovane e impreparato. La visione naturalistico-evoluzionista, continuava Croce nel 1939, «non solo non vivifica l'intelletto, ma mortifica l'animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all'entusiasmo morale, e riceve invece l'immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell'umanità e con essa un senso di sconforto e di depressione e quasi di vergogna a trovarci noi discendenti da quegli antenati e sostanzialmente loro simili, nonostante le illusioni e le ipocrisie della civiltà, brutali come loro» [6].
A cosa contrapporre questa terribile e sconfortante visione? La risposta è metafisica, e il riferimento a Giambattista Vico dovrebbe servire come monito in questo senso: brutali non appaiono agli occhi di Croce invece «gli antenati che ci assegna il Vico i quali hanno in fondo al cuore una favilla divina, e Dio temono, e a lui pongono are, per lui sentono svegliarsi il pudore e fondano i matrimoni e le famiglie e seppelliscono i morti corpi, e per quella favilla divina creano il linguaggio e la poesia e la prima scienza che è il mito. In questo modo la preistoria, dove accade che sia innalzata veramente a storia, ci mantiene dentro l'umanità e non ci fa ricascare nel naturalismo e nel materialismo"» [7]. Alla scienza, nella quale trova posto indistintamente tanto il darwiniano quanto l'antidarwiniano, viene preferita (anche se metaforicamente) una dialettica teleologica che rifiuta però la progressione evoluzionistica "meccanica". L'ingombrante presenza di Croce si è fatta sentire anche nel più generale campo della filosofia della scienza, sentita come un'invasione di campo da parte di una disciplina che, secondo il filosofo italiano, non aveva nulla da dire in quel senso [8]. Oltre al confronto con il filosofo della scienza Federigo Enriques, sono note le veementi accuse che il filosofo di Pescasseroli rivolse in più di un'occasione al mondo scientifico [9]. Ma, mi domando, anche facendo la tara delle generali competenze e interpretazioni evoluzionistiche dell'epoca, Croce e moltissimi altri letterati come lui, avranno compreso davvero ciò di cui si occupavano, o si esercitavano in un opinionismo aprioristico? Eppure la critica crociana aveva colto nel segno (pur con gli occhi bendati da apriorismi logici): è l'idea di scala naturae e di progressiva e assoluta complessità ad essere inconsistente e ideologicamente connotata. Perché limitarsi dunque a sommare ad essa l'evoluzione così come venne concepita da Darwin prima e dai biologi evoluzionisti poi?
continua...
Concentriamoci per il momento su uno dei grandi malintesi che hanno permeato la divulgazione delle scienze naturali. Alla radice troviamo un curioso e complesso fraintendimento storico: associare tout court le scienze naturali alla scala naturae che andrebbe dalla bestia al "primitivo" e da questi all'uomo moderno e occidentale. Seguendo questa logica, è stata spesso percepita come ovvia l'adozione dell'equazione tra studio scientifico e "sopravvivenza (cruenta) del più adatto", tra svuotamento del senso (religioso) della vita e violenza disumana e innaturale che regnerebbe nel cosmo e, soprattutto, nella selezione naturale. Questa forzata equivalenza tra pensiero naturalistico darwiniano e indirizzo di un pensiero culturale extradarwiniano (in voga autonomamente) era diffusa già dalla seconda metà dell'Ottocento, per cui non faceva certo notizia trovarsi di fronte alle (spesso non troppo) velate accuse profondamente antidarwiniane che gettavano tutta la scienza naturale in un unico, non identificato calderone, ed espresse con la franchezza di chi ritiene di conoscere una verità fondamentale. Ancora verso la fine degli anni '30 del '900 non era difficile trovarsi di fronte a chi, tra i maggiori letterati del paese e i più celebrati filosofi, riteneva la storia naturale una semplice «trasfigurazione fantasiosa», che tramite l'assegnazione e organizzazione di «serie dal più semplice al più complesso - quasi giornate della creazione - », avrebbero potuto al più fornire un vago «colorito storico». L'interpretazione della natura come storia evoluzionistica, «valendosi di formule tautologiche, come "evoluzione", "trapasso dall'indistinto al distinto", "lotta per la vita", "vittoria del più forte" o "del più adatto"» avrebbe fallacemente creato «una pseudostoria che, argomentandosi di avere ritrovato la genesi dell'animale-uomo, si congiungeva alla storia umana in unica serie» [5]. L'esempio non è stato scelto a caso: per quanto le radici del dibattito siano antiche e i casi a disposizione moltissimi, se occorre partire da un contesto locale e relativamente recente, nulla appare più adatto di questa durissima presa di posizione contro l'intera cultura naturalistica e scientifica, pubblicata nel 1939 da Benedetto Croce (1866-1952), il filosofo che ha modellato l'indirizzo generale della cultura italiana del Novecento. Una pietra tombale per l'autonomia della ricerca scientifica in un paese all'epoca culturalmente ancora giovane e impreparato. La visione naturalistico-evoluzionista, continuava Croce nel 1939, «non solo non vivifica l'intelletto, ma mortifica l'animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all'entusiasmo morale, e riceve invece l'immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell'umanità e con essa un senso di sconforto e di depressione e quasi di vergogna a trovarci noi discendenti da quegli antenati e sostanzialmente loro simili, nonostante le illusioni e le ipocrisie della civiltà, brutali come loro» [6].
A cosa contrapporre questa terribile e sconfortante visione? La risposta è metafisica, e il riferimento a Giambattista Vico dovrebbe servire come monito in questo senso: brutali non appaiono agli occhi di Croce invece «gli antenati che ci assegna il Vico i quali hanno in fondo al cuore una favilla divina, e Dio temono, e a lui pongono are, per lui sentono svegliarsi il pudore e fondano i matrimoni e le famiglie e seppelliscono i morti corpi, e per quella favilla divina creano il linguaggio e la poesia e la prima scienza che è il mito. In questo modo la preistoria, dove accade che sia innalzata veramente a storia, ci mantiene dentro l'umanità e non ci fa ricascare nel naturalismo e nel materialismo"» [7]. Alla scienza, nella quale trova posto indistintamente tanto il darwiniano quanto l'antidarwiniano, viene preferita (anche se metaforicamente) una dialettica teleologica che rifiuta però la progressione evoluzionistica "meccanica". L'ingombrante presenza di Croce si è fatta sentire anche nel più generale campo della filosofia della scienza, sentita come un'invasione di campo da parte di una disciplina che, secondo il filosofo italiano, non aveva nulla da dire in quel senso [8]. Oltre al confronto con il filosofo della scienza Federigo Enriques, sono note le veementi accuse che il filosofo di Pescasseroli rivolse in più di un'occasione al mondo scientifico [9]. Ma, mi domando, anche facendo la tara delle generali competenze e interpretazioni evoluzionistiche dell'epoca, Croce e moltissimi altri letterati come lui, avranno compreso davvero ciò di cui si occupavano, o si esercitavano in un opinionismo aprioristico? Eppure la critica crociana aveva colto nel segno (pur con gli occhi bendati da apriorismi logici): è l'idea di scala naturae e di progressiva e assoluta complessità ad essere inconsistente e ideologicamente connotata. Perché limitarsi dunque a sommare ad essa l'evoluzione così come venne concepita da Darwin prima e dai biologi evoluzionisti poi?
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[1] C.P. Snow, Le due culture, a cura di Alessandro Lanni, Marsilio editore, Venezia 2005 (1a ed. it. Feltrinelli, Milano 1964; ed. or. The Two Cultures and a Second Look: An Expanded Version of The Two Cultures and the Scientific Revolution, Cambridge University Press, Cambridge 1959, 1963).
[2] Questa il tema portante che emerge in moltissimi contributi dell'illuminante raccolta di saggi e opinioni curata da Vittorio Lingiardi e Nicla Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, il Saggiatore, Milano 2011.
[3] C.P. Snow, Le due culture, cit.
[2] Questa il tema portante che emerge in moltissimi contributi dell'illuminante raccolta di saggi e opinioni curata da Vittorio Lingiardi e Nicla Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, il Saggiatore, Milano 2011.
[3] C.P. Snow, Le due culture, cit.
[4] Cfr. ad es. J. Brockman (a cura di), La terza cultura, Garzanti, Milano 1995 (ed. or. The Third Culture, Simon & Schuster, New York 1996). Giulio Giorello ha fatto notare come una posizione simile a quella di C.P. Snow fosse stata assunta da Luigi Pirandello nel 1908, contro le considerazioni espresse da Benedetto Croce nella sua Estetica; cfr. G. Giorello, Nel crepuscolo delle probabilità, in Armando Massarenti (a cura di), Qualcosa di grandioso. L'infinita bellezza e complessità di tutto ciò che esiste, Dalai editore, Milano 2011, pp. 185-209.
[5] Benedetto Croce, La natura come storia senza storia scritta da noi, in «La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce», 37, 1939, pp. 141-155; cit. a p. 143. Fonte: CSI Biblioteca di Filosofia. Università di Roma “La Sapienza” – Fondazione “Biblioteca Benedetto Croce”
[6] Ivi, p. 146.
[7] Ivi, pp. 146-147.
[8] Raffaella Simili, Itinerari e polemiche. Federigo Enriques parla di filosofia, in Marco Cattaneo (a cura di), Scienziati d'Italia. 150 anni di ricerca e innovazione, Codice edizioni, Torino 2011, pp. 51-65.
[9] Enrico Bellone, La scienza negata. Il caso italiano, Codice edizioni, Torino 2005.
[9] Enrico Bellone, La scienza negata. Il caso italiano, Codice edizioni, Torino 2005.