martedì 31 gennaio 2012

Scienze naturali vs discipline umanistiche? Il caso italiano

La classica e desueta iconografia della progressiva evoluzione umana. Human Evolution Scheme, da Wikipedia, opera di  M. Garde su un disegno di J.-M- Benitos.
«Sono convinto che la vita intellettuale, nella società occidentale, si va sempre più spaccando in due gruppi contrapposti. [...] Nella storia dell'attività mentale è qui che si sono prodotte alcune fratture. Le occasioni ora ci sono. Ma sono, per così dire, sospese nel vuoto, per il fatto che i membri delle due culture non riescono a parlarsi».
Charles Percy Snow, Le due culture, Marsilio, Venezia 2005, pp. 19 e 30 [1]
Terza cultura italiana? Storia di un incontro mancato. Parte I

Sulla cultura italiana pesa un macigno enorme: l'esclusione storica della conoscenza scientifica dal novero delle alte discipline accademiche e dalla consapevolezza socio-culturale, mediatica e non. In particolare spicca il generale disinteresse nel quale hanno versato le scienze naturali del nostro passato recente [2]. La divisione tra due culture, quella umanistico-letteraria e quella scientifica, stigmatizzata in uno scritto di Charles Percy Snow pubblicato originariamente nel 1959 [3] e riportato in auge in tempi più recenti dall'opera di John Brockman (Edge Foundation) con alcune varianti [4], è perpetuamente alimentata dalla sicumera di una forte tradizione nazionale quasi anti-scientifica che si nutre di paradossi (chi è contro la scienza non esita poi a fare appello alle conquiste della medicina o agli strumenti offerti dalla tecnologia) e fraintendimenti (che spingono ad occuparsi e parlare di scienza chi non ha conoscenze adeguate). A causa di tali motivi, nessuna seria istanza di sanare la frattura - e dare vita ad una rinnovata "terza cultura", come nella proposta divulgativa di Brockman - è stata finora portata avanti. Si è anzi assistito all'esatto opposto, ossia l'incongrua assimilazione, e subordinazione (con scarsi risultati), della cultura scientifica da parte di quella letterario-religiosa-umanista.
Concentriamoci per il momento su uno dei grandi malintesi che hanno permeato la divulgazione delle scienze naturali. Alla radice troviamo un curioso e complesso fraintendimento storico: associare tout court le scienze naturali alla scala naturae che andrebbe dalla bestia al  "primitivo" e da questi all'uomo moderno e occidentale. Seguendo questa logica, è stata spesso percepita come ovvia l'adozione dell'equazione tra studio scientifico e "sopravvivenza (cruenta) del più adatto", tra svuotamento  del senso (religioso) della vita e violenza disumana e innaturale che regnerebbe nel cosmo e, soprattutto, nella selezione naturale. Questa forzata equivalenza tra pensiero naturalistico darwiniano e indirizzo di un pensiero culturale extradarwiniano (in voga autonomamente) era diffusa già dalla seconda metà dell'Ottocento, per cui non faceva certo notizia trovarsi di fronte alle (spesso non troppo) velate accuse profondamente antidarwiniane che gettavano tutta la scienza naturale in un unico, non identificato calderone, ed espresse con la franchezza di chi ritiene di conoscere una verità fondamentale. Ancora verso la fine degli anni '30 del '900 non era difficile trovarsi di fronte a chi, tra i maggiori letterati del paese e i più celebrati filosofi, riteneva la storia naturale una semplice «trasfigurazione fantasiosa», che tramite l'assegnazione e organizzazione di «serie dal più semplice al più complesso - quasi giornate della creazione - », avrebbero potuto al più fornire un vago «colorito storico». L'interpretazione della natura come storia evoluzionistica, «valendosi di formule tautologiche, come "evoluzione", "trapasso dall'indistinto al distinto", "lotta per la vita", "vittoria del più forte" o "del più adatto"» avrebbe fallacemente creato «una pseudostoria che, argomentandosi di avere ritrovato la genesi dell'animale-uomo, si congiungeva alla storia umana in unica serie» [5]. L'esempio non è stato scelto a caso: per quanto le radici del dibattito siano antiche e i casi a disposizione moltissimi, se occorre partire da un contesto locale e relativamente recente, nulla appare più adatto di questa durissima presa di posizione contro l'intera cultura naturalistica e scientifica, pubblicata nel 1939 da Benedetto Croce (1866-1952), il filosofo che ha modellato l'indirizzo generale della cultura italiana del Novecento. Una pietra tombale per l'autonomia della ricerca scientifica in un paese all'epoca culturalmente ancora giovane e impreparato. La visione naturalistico-evoluzionista, continuava Croce nel 1939, «non solo non vivifica l'intelletto, ma mortifica l'animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all'entusiasmo morale, e riceve invece l'immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell'umanità e con essa un senso di sconforto e di depressione e quasi di vergogna a trovarci noi discendenti da quegli antenati e sostanzialmente loro simili, nonostante le illusioni e le ipocrisie della civiltà, brutali come loro» [6].
A cosa contrapporre questa terribile e sconfortante visione? La risposta è metafisica, e il riferimento a Giambattista Vico dovrebbe servire come monito in questo senso: brutali non appaiono agli occhi di Croce invece «gli antenati che ci assegna il Vico i quali hanno in fondo al cuore una favilla divina, e Dio temono, e a lui pongono are, per lui sentono svegliarsi il pudore e fondano i matrimoni e le famiglie e seppelliscono i morti corpi, e per quella favilla divina creano il linguaggio e la poesia e la prima scienza che è il mito. In questo modo la preistoria, dove accade che sia innalzata veramente a storia, ci mantiene dentro l'umanità e non ci fa ricascare nel naturalismo e nel materialismo"» [7]. Alla scienza, nella quale trova posto indistintamente tanto il darwiniano quanto l'antidarwiniano, viene preferita (anche se metaforicamente) una dialettica teleologica che rifiuta però la progressione evoluzionistica "meccanica". L'ingombrante presenza di Croce si è fatta sentire anche nel più generale campo della filosofia della scienza, sentita come un'invasione di campo da parte di una disciplina che, secondo il filosofo italiano, non aveva nulla da dire in quel senso [8]. Oltre al confronto con il filosofo della scienza Federigo Enriques, sono note le veementi accuse che il filosofo di Pescasseroli rivolse in più di un'occasione al mondo scientifico [9]. Ma, mi domando, anche facendo la tara delle generali competenze e interpretazioni evoluzionistiche dell'epoca, Croce e moltissimi altri letterati come lui, avranno compreso davvero ciò di cui si occupavano, o si esercitavano in un opinionismo aprioristico? Eppure la critica crociana aveva colto nel segno (pur con gli occhi bendati da apriorismi logici): è l'idea di scala naturae e di progressiva e assoluta complessità ad essere inconsistente e ideologicamente connotata. Perché limitarsi dunque a sommare ad essa l'evoluzione così come venne concepita da Darwin prima e dai biologi evoluzionisti poi?

continua...

[1] C.P. Snow, Le due culture, a cura di Alessandro Lanni, Marsilio editore, Venezia 2005 (1a ed. it. Feltrinelli, Milano 1964; ed. or. The Two Cultures and a Second Look: An Expanded Version of The Two Cultures and the Scientific Revolution, Cambridge University Press, Cambridge 1959, 1963).
[2Questa il tema portante che emerge in moltissimi contributi dell'illuminante raccolta di saggi e opinioni curata da Vittorio Lingiardi e Nicla Vassallo, Terza cultura. Idee per un futuro sostenibile, il Saggiatore, Milano 2011.
[3C.P. Snow, Le due culture, cit.
[4] Cfr. ad es. J. Brockman (a cura di), La terza cultura, Garzanti, Milano 1995 (ed. or. The Third Culture, Simon & Schuster, New York 1996). Giulio Giorello ha fatto notare come una posizione simile a quella di C.P. Snow fosse stata assunta da Luigi Pirandello nel 1908, contro le considerazioni espresse da Benedetto Croce nella sua Estetica; cfr. G. Giorello, Nel crepuscolo delle probabilità, in Armando Massarenti (a cura di), Qualcosa di grandioso. L'infinita bellezza e complessità di tutto ciò che esiste, Dalai editore, Milano 2011, pp. 185-209.
[5] Benedetto Croce, La natura come storia senza storia scritta da noi, in «La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce», 37, 1939, pp. 141-155; cit. a p. 143. Fonte: CSI Biblioteca di Filosofia. Università di Roma “La Sapienza” – Fondazione “Biblioteca Benedetto Croce” 
[6] Ivi, p. 146.
[7] Ivi, pp. 146-147.
[8] Raffaella Simili, Itinerari e polemiche. Federigo Enriques parla di filosofia, in Marco Cattaneo (a cura di), Scienziati d'Italia. 150 anni di ricerca e innovazione, Codice edizioni, Torino 2011, pp. 51-65.
[9] Enrico Bellone, La scienza negata. Il caso italiano, Codice edizioni, Torino 2005.

martedì 17 gennaio 2012

Proemio semiserio in due pezzi II. Dove l'autore elogia i pinguini e ringrazia

Il mio bozzetto originario per il blog, con tanto di memorandum provvisorio su titolo e sottotitolo.
Eziologia del template: di coralli e di polimeri

Dietro il roboante titolo del sottoparagrafo, calcolato esattamente per impressionarvi inutilmente o per incuriosirvi, si cela prosaicamente il senso che sta a monte della composizione artistica. Prendete dunque la homepage e mettetevi di fronte all'immagine. Quello che potete osservare a sinistra è l'albero delle forme della vita, differenziatesi attraverso il tempo a partire da un progenitore comune. Il bozzetto è stato tracciato da Darwin sul suo taccuino nel 1837, introdotto da un modesto «I think», che precede di più di venti anni la pubblicazione del suo lavoro sull'Origine delle specie. Il momento è epocale: «è il suo primo diagramma evoluzionistico, uno spartiacque teorico» [1]. La scelta si rivela felice poiché, se da un lato il grafico darwiniano è diventato negli ultimi tempi un'icona mediatica, rappresenta bene il lungo e faticoso processo storiografico di comprensione della storia naturale. Ha una certa rilevanza storiografica ricordare che, nel taccuino dell'epoca ma poco prima di abbozzare l'albero della vita, Darwin aveva anche annotato quanto l'immagine del corallo risultasse di maggior rigore euristico rispetto a quella tradizionale dell'albero: con il suo proliferare secondo logiche contingenti, con le sue calcificazioni di parti ormai morte, la figura a cespuglio ramificato del corallo rende giustizia al concetto di tempo profondo e alle esplosive esplorazioni adattative degli organismi fossili oggi estinti [2].
Torniamo ora all'illustrazione. Dall'albero darwiniano si dipana, precedendolo e innervandolo come materia viva, la catena elicoidale del DNA (il celebre polimero organico), a sua volta sostenuta dai legami chimico-fisici (alcune strutture molecolari si possono scorgere a sinistra e sotto il corallo darwiniano). L'immagine vorrebbe essere, in effetti, una sorta di riepilogo visivo, un micro-bignami. All'irruzione grafica del DNA corrisponde un passaggio storiografico specifico: l'integrazione dell'evoluzionismo darwiniano con la genetica mendeliana, la genetica delle popolazioni e l'analisi paleontologica, per merito della cosiddetta sintesi moderna (o neodarwinismo), la corrente che ha posto le basi novecentesche per gli ulteriori raffinamenti e correzioni delle più recenti elaborazioni evoluzionistiche. Procedendo attraverso l'immaginaria freccia del tempo che nell'immagine scorre da sinistra verso destra, all'interno dei rapporti della biosfera e nel corso del tempo profondo, il DNA si stempera figurativamente nell'oceano della vita, trovando espressione negli organismi viventi, e riemerge sotto forma di un teropode aviano attuale in rappresentanza di tutto il regno Animalia. In realtà la presenza dell'acqua è molto più importante di quanto non appaia da una stilizzazione esemplificativa, poiché è l'acqua a fornire l'ambiente tale per cui le interazioni tra molecole diventano possibili «con la dovuta "destrezza" e un alto grado di precisione» [3]. Ciò può aver luogo grazie alla presenza di ioni in soluzione che intervengono cambiando l'attrazione elettrica naturale delle macromolecole.
Ho scelto deliberatamente il pinguino (nella fattispecie, Pygoscelis antarctica) perché sovverte le tradizionali categorie cognitive e la classificazione ad occhio nudo (la scienza si rivela essere controintuitiva rispetto al senso comune): nuota come un pesce, è un uccello, ma non vola. In realtà vola, come ha ben illustrato Fabio, ed è tanto aggraziato quanto i suoi parenti che si librano tra le correnti d'aria. Se non ve ne siete accorti, vi sentite abbindolati o state pensando al celebre mockumentary prodotto in occasione del pesce d'Aprile del 2008 dalla BBC e intitolato Flying Penguins, è perché state sbagliando prospettiva: vola sott'acqua. Per capire quali contingenze lo portarono ad essere come è oggi bisogna fare appello alla sua storia evolutiva, e per farlo bisogna immergersi in profondità tra i concetti della storia.

Titolo*

Il titolo pluralizza quel tempo profondo geologico che fu già presentato nel titolo di un fortunato volume di Henry Gee, pubblicato in Italia da Einaudi [4]. La scelta del plurale vuole rispecchiare la simbiosi tra questo concetto e la (auto)coscienza storica e storiografica dell'uomo nei confronti del suo passato e del passato del pianeta Terra. Non è un'impresa facile: Stephen J. Gould ha rilevato come «il tempo profondo [sia] così difficile da capire, così estraneo alla nostra esperienza quotidiana, da rimanere un ostacolo importante alla nostra comprensione» [5]. D'altra parte, senza scomodare i milioni o i miliardi di anni, bastano qualche secolo e l'assenza di scrittura, o di documentazione continua, perché un tema in apparenza semplice diventi uno spinoso ed intricato problema anche per lo storico preparato che non sappia nulla del tempo profondo. Per questo motivo un confronto è tanto più urgente tra le due sponde della ricerca sul nostro passato e, per la stessa ragione, se dovessi cercare un'epigrafe introduttiva da porre in calce al blog sceglierei la citazione che segue, tratta da un'opera recente curata da Jared Diamond e James A. Robinson. Si tratta di un passaggio che ha il pregio di compendiare bene il discorso che vorrei intraprendere con i lettori di Tempi profondi: «spesso gli storici credono che la storia umana sia fondamentalmente diversa dalla storia dei cancri, degli scimpanzé o dei ghiacciai, implicando le motivazioni di individui umani, che si suppone non possano essere misurate o espresse in numeri. Ma anche cancri, scimpanzé e ghiacciai sono molto complessi, e frappongono l’ulteriore ostacolo di non lasciare dietro di sé alcun documento scritto sui loro motivi. Inoltre molti studiosi, fra cui psicologi, economisti, ricercatori appartenenti a enti governativi e biografi, sono oggi in grado di misurare e analizzare le scelte di singoli esseri umani per mezzo di analisi retrospettive di documenti di persone morte oltre che di interviste a persone ancora viventi» [6].
Tempi profondi si prefigge dunque, tra le altre cose, di impostare un discorso costruttivo sui due termini presentati nel sottotitolo, con la natura al primo posto per evidenziare il debito non ancora riconosciuto contratto dalla storia nei confronti della paleontologia: non si può sottostimare l’importanza avuta dalla documentazione fossile, come prova e documento della storia del pianeta, nella formazione del pensiero occidentale moderno [7] e del pensiero sul tempo profondo anche nelle altre culture [8]. Natura e storia shakerate, però, perché mantengano una porzione di antiossidanti salutare e si eviti di aggiungere confusione al quadro scientifico abbastanza caotico in voga nelle discipline umanistiche, privilegiando post di qualità divulgativa (e non di quantità), di approfondimento e di aperto confronto interdisciplinare.

*= Il titolo del testo di Gee è stato ripreso di recente da una mostra di paleoarte curata da Filippo Bertozzo e organizzata con il patrocini del Comune di Trissino e della Provincia di Vicenza, assieme all'Associazione Paleontologica Parmense Italiana, intitolata Tempo profondo. Incontro tra arte e scienza (20 novembre-11 dicembre 2011; l'esposizione si fregiava dei lavori di Davide Bonadonna, Fabio Pastori, Troco, Lukas Panzarin, Loana Riboli, Sante Mazzei, Fabio Manucci e Marzio Mereggia, mentre la locandina è opera di Troco e A. Pirondini). Una rapida ricerca in Internet mi ha rivelato che un'altra mostra, risalente al 2006, ha utilizzato la combinazione Tempi profondi. Si tratta di Tempi profondi. Frammenti del Pliocene in Umbria, promossa dall’associazione culturale L’Upupa e dall’associazione paleontologica orvietana.

Illustrazione

La mia bozza originaria per il template del blog era miserrima (la potete osservare all'inizio del post). Ho contattato Fabio Manucci, blogger presente in Rete con Agathaumas, paleoartista entusiasta e studente all'Accademia di Belle Arti, e gli ho chiesto se poteva dedicare un po' di tempo e pazienza per elaborare quella mia prima, e un po' scolastica, idea. L'ultimo giorno dell'anno ho ricevuto il suo lavoro (sarà un Capodanno che ricorderò a lungo), che per me è stato motivo di vero stupore. La sua elaborazione non ha fatto che confermare la sua meticolosità e perizia; Fabio ha saputo cogliere nel segno interpretando e valorizzando il mio schizzo veloce, e lo ringrazio per avermi citato come ideatore della composizione sulla sua pagina di DeviantArt.
Una volta destatomi dall'ammirazione per il risultato di Fabio, la questione dell'armonizzazione grafica di titolo e sottotitolo si imponeva come nuovo ordine del giorno. Dopo una serie di tentativi personali abbastanza deludenti ho deciso, su consiglio di Fabio, di rivolgermi ad Andrea Pirondini perché mi desse una mano nel compito. Andrea è blogger (suo Go go dinosaurs), grafico di professione, una delle menti dietro il progetto Prehistoric Minds, ed è stato di recente insignito del 1° Premio assegnato dall'Associazione Paleontologica Parmense Italiana per la sua infaticabile attività in qualità di collaboratore, tra gli altri impegni paleoillustrativi, di Dinosauri in carne e ossa. Il risultato del suo intervento sull'illustrazione di Fabio lo potete vedere in alto: la grafica elegante, pulita che contraddistingue il template è opera di Andrea.
Senza di loro il mio blog sarebbe non solo meno accattivante, ma anche meno ricercato e accurato: un grazie di cuore ad entrambi.

Dove l'autore si congeda

Da ultimo, vorrei ricordare alcuni eventi particolari che hanno segnato la storia della mia recente avventura on line. Per Historia Religionum vorrei menzionare almeno la serie delle tre interviste a studiosi e ricercatori della generazione più giovane, che hanno riscosso un grande successo in termini di contatti, anche e soprattutto per merito della competenza degli intervistati (V.S. Severino, R. Nanini e S. Botta). Queste interviste hanno rappresentato un’occasione eccezionale di confronto diretto tra differenti punti di vista, e un’opportunità insperata (per me) di crescita professionale. Per Geomythologica non posso esimermi dal ringraziare Andrea Cau, paleontologo, blogger del celebre Theropoda nonché autore del romanzo L'età della figlia. Ho seguito il suo blog fin dai primissimi tempi, quando ancora facevo parte della maggioranza silenziosa dei lettori invisibili, e mi ha ripagato con confronto aperto su temi di grande interesse e con una sincera amicizia. Quando lanciai Geomythologica ero un perfetto sconosciuto, e Andrea si è dato la pena di seguirmi con pazienza, talvolta correggendomi nel campo di sua pertinenza, più spesso scambiandoci spunti interessanti e realmente interdisciplinari.
Infine, un ringraziamento particolare va ai paleontologi Simone Maganuco e Stefania Nosotti per la loro paziente disponibilità nella revisione di un testo che, incrociando le dita, spero di poter presentare prossimamente su queste pagine.
Penso di avere esaurito per il momento i debiti contratti e le radici intellettuali che mi hanno condotto a questo punto e, ringraziando tutto l'universo che gravita intorno all'Associazione Paleontologica Parmense Italiana, vi darei appuntamento al prossimo post!

[1] Telmo Pievani, Charles R. Darwin e il corallo della vita: una chiave di lettura per il futuro, in Giacomo Giacobini (a cura di), Darwin e l’evoluzione dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino 2010, pp. 132-154; p. 136.
[2] Charles R. Darwin, Taccuini 1836-1844 (Taccuino Rosso, Taccuino B, Taccuino E), ed. it. a cura di Telmo Pievani, Prefazione di Niles Eldredge, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 131 per la nota sull'uso del corallo al posto dell'albero nella grafica della filogenesi, p. 137 per il diagramma [ed. or. integrale Paul H. Barrett, Peter J. Gautrey, Sandra Herbert, David Kohn e Sydney Smith (eds.), Charles Darwin’s Notebooks, 1836-1844: Geology, Transmutation of Species, Metaphysical Enquiries, Cornell University Press, Ithaca 1987].
[3] James Lovelock, Gaia. Nuove idee sull'ecologia, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 112 (1a ed. 1981; ed. or. Gaia: A New Look at Life on Earth, Oxford University Press, 1979).
[4] Henry Gee, Tempo profondo. Antenati, fossili, pietre, Einaudi, Torino 2006 (ed. or. Deep Time: Cladistics, the Revolution in Evolution, The Free Press. A Division of Simon & Schuster Inc., New York 1999).
[5] Stephen Jay Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo. Mito e metafora nella scoperta del tempo geologico, Feltrinelli, 1989, p. 15 (ed. or. Time's Arrow, Time's Cycle: Myth and Metaphor in the Discovery of Geological Time, Harvard University Press, Cambridge 1987).
[6] Jared Diamond e James A. Robinson, Prologo a iid. (a cura di), Esperimenti naturali di storia, Codice edizioni, Torino 2011, pp. 3-14; p. 6 (ed. or. Natural Experiments of History, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 2010).
[7] Paolo Rossi, I segni del tempo. Storia delle Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano 2003 (1a ed. 1979).
[8] Adrienne Mayor, The First Fossil Hunters: Dinosaurs, Mammoths, and Myth In Greek and Roman Times. With a New Introduction by the Author, Princeton University Press, Princeton-Oxford 20102 (pubbl. or. presso lo stesso editore come The First Fossil Hunters: Paleontology In Greek and Roman Times, 20001); ead., Fossil Legends of the First Americans, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2005.

lunedì 16 gennaio 2012

Proemio semiserio in due pezzi. Dove l'autore spiega e divaga su James Bond


Un Martini con Tanqueray, Noilly Prat dry vermouth e due olive. Fonte: Ken30684 (Flickr) [CC-BY-2.0 (www.creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons.
Divagazione sulla natura di un drink

Con questo post inaugurale apre i battenti un nuovo spazio dedicato alle interazioni e correlazioni tra natura e storia: Tempi profondi. Natura e storia shakerate, non mescolate
Visto che probabilmente vi starete chiedendo il perché del bizzarro sottotitolo, partiamo dal riferimento al drink: è farina del sacco di Ian Fleming, lo scrittore che ha ideato le storie di spionaggio più famose del mondo contemporaneo. «Shaken, not stirred» è la procedura di preparazione con la quale la spia 007 dei servizi segreti britannici protagonista dei suoi romanzi, alias James Bond, era solita chiedere un Martini. La frase ricorre nel quarto romanzo della serie dedicata a Bond, Una cascata di diamanti (1956), ma a pronunciarla direttamente non è il personaggio, che lo farà a viva voce nel sesto romanzo, Dr. No (1958). Se stavate pensando a Sean Connery nei panni di Bond, allora dovete guardare Goldfinger (1964) per gustarvi una manciata di secondi di storia del cinema: «Just a drink. A Martini, shaken, not stirred». Evidentemente, la salute di ferro ostentata da Bond in oltre cinquant'anni di onorata carriera (tra romanzi e film) deve trarre giovamento da frugali e moderate consumazioni a base di Martini, giacché pare che la versione shakerata del drink possieda maggiori proprietà antiossidanti rispetto alla sua variante mescolata [1].
Ora, se mi avete seguito fino a qui, la primissima spiegazione della divagazione sul tipo di bevanda preferita da un agente segreto immaginario al servizio di Sua Maestà durante la Guerra Fredda è che sarebbe stato poco elegante, nonché platealmente maleducato, invitarvi all'inaugurazione di un nuovo blog senza offrire (virtualmente) un aperitivo, un apericena, o quello che desiderate vi venga offerto (purché virtuale).
In secondo luogo, la mia esperienza come blogger in corso d'opera (questo è il terzo blog che gestisco, dopo Geomythologica e Historia Religionum) mi aveva portato negli ultimi tempi a riflettere profondamente su alcuni contenuti della mia formazione universitaria da storico. Attraverso i miei due blog mi ero gettato a capofitto nel mondo della Rete, sbagliando, prendendo cantonate, a volte dicendo qualcosa di interessante (il giudizio spetta ai volenterosi lettori), e spesso sottolineando aspetti che mi premeva porre all'attenzione. Ad ogni modo sbagliando si impara, se si ha la volontà e l'onestà intellettuale di ammettere di avere sbagliato e di ricominciare. Dico questo perché l'impostazione data ai miei due blog precedenti ultimamente non mi soddisfaceva più, e le idee espresse in quei siti talvolta non corrispondevano più allo stato attuale della ricerca personale.

Le homepage dei miei due vecchi blog. A sinistra il primo post ideato per Geomythologica, ma pubblicato dopo due testi introduttivi, datato 18 luglio 2008; a destra l'ultimo contributo apparso il 2 agosto 2011 su Historia Religionum, dedicato a Jane Goodall. La mediocre illustrazione del Tyrannosaurus rex e quella delle cosiddette "ballerine" di Magura in Bulgaria, risalenti all'eta del Bronzo, raffigurate nel template di Historia Religionum, sono opere personali.
La verità è là fuori

La verità è che avevo cominciato troppo presto a scrivere sui blog. Le prime pubblicazioni on line su Geomythologica coincidevano con il mio periodo da laureando (prima triennalista, poi specialista), molto determinato ma talvolta ancora ingenuo. E non poteva essere altrimenti, considerata la continua, e perciò continuamente in fieri, formazione intellettuale. Dico questo perché, avendo scelto la vocazione storica all'atto della scelta universitaria, il continuo approfondimento con la materia amata alla follia fin dalla più tenera età era venuto meno. Conoscevo meglio l'argomento paleontologico quando ero più piccolo, e questo sarebbe un tema divertente per un bel post della serie amarcord.
Il piccolo ma insperato successo di quei due blog da una parte mi aveva spronato a fare di più, ma dall'altra tracciava parallelamente una linea di demarcazione sempre più profonda tra i due aspetti dei quali mi occupavo (e mi occupo tuttora): quello storico-religioso legato alla biobibliografia critica degli studiosi del passato più o meno recente (da un punto di vista storiografico e rigorosamente aconfessionale) e quello paleontologico-evoluzionistico. Il problema non era solo personale. A livello nazionale le due culture, per usare l'icastica definizione di Charles Percy Snow [2], continuano ad essere lontane. Eccettuando i facili esotismi o sincretismi occultisti New Age sempre di moda, hard sciences e humanities vengono progressivamente e inesorabilmente allontanate l'una dall'altra a causa del disinteresse di parte dell'accademia, con le scienze fisico-naturali a giocare l'eterno ruolo dello sparring partner. Il mio sforzo d'un tratto mi era apparso vano e faticoso. Mi sono accorto di una serie di cose che davo per scontate, e che ancora troppo spesso vengono date per scontate. C'è bisogno di una maggiore consapevolezza scientifica, ma come farsi capire se si viene considerati estranei e "naturalisti" nell'ambito di ricerca, e si è visti come troppo "umanisti" nel parallelo campo scientifico di indagine e approfondimento?  Esiste anche la necessità di investire in quella terza cultura che John Brockman (Edge) intende grosso modo come dialogo di studiosi e scienziati  con il grande pubblico. E c'è, soprattutto, un problema di comunicazione che ha radici lontane e profondissime, ideologiche quando non te(le)ologiche, che non posso certo sperare di risolvere, e che ha spiegato in maniera eccellente Enrico Bellone nel suo La scienza negata. Il caso italiano [3]. Sarebbe forse meglio partire alla carica contro i mulini a vento. Eppure, mirabile paradosso, i blog mi sono serviti come utilissima palestra di confronto, di crescita e di dibattito. Non me la sono sentita di abbandonare del tutto questa possibilità di finestra aperta, di franco confronto accademico e interdisciplinare che solo un blog può offrire. Ma allora, come cambiare e, soprattutto, cosa? Se non posso risolvere il problema, posso però scomporlo, analizzarlo, interpretarlo e studiarlo: il modo migliore per comprendere un fenomeno studiato è cimentarsi in una sua spiegazione, per quanto provvisoria. Ciò di cui avevo bisogno era perciò un momento di pausa dalla Rete, un periodo  di studio che fosse soprattutto occasione per una salutare, decostruttiva, tabula rasa. Tempi profondi è l'opportunità e il pretesto per ripartire da zero.
Ora, nonostante la crisi generale che l'Europa in particolare sta vivendo, la situazione in cui versano gli studi paleontologico-evoluzionistici a livello nazionale sembra essere leggermente migliorata rispetto a qualche decennio fa. Stiamo ancora vivendo in quel Rinascimento paleontologico con il quale, dalle pagine di Geomythologica (correva, se non erro, l'autunno del 2010), sintetizzavo una nuova presa di posizione e un caloroso interesse da parte degli addetti ai lavori e del grande pubblico nei confronti della scienza a tutto campo. L'interesse è dimostrato, tra gli altri esempi, da alcuni significativi successi editoriali scientifici, con in prima fila la torinese Codice edizioni, e le mostre Darwin 1809-2009Dinosauri in carne e ossa, e ora Homo sapiens. La grande storia della diversità umana. Un momento propizio, o perlomeno più promettente di quanto non fosse mai stato nel passato recente, per ricominciare a porre le basi di un discorso interrotto.

continua...

[1] C.C. Trevithick, M.M. Chartrand, J. Wahlman, F. Rahman, M. Hirst e J.R Trevithick, Shaken, not Stirred: Bioanalytical Study of the Antioxidant Activities of Martinis, in «British Medical Journal», 319, 1999, p. 1600; 10.1136/bmj.319.7225.1600 (Published 18 December 1999).
[2Charles Percy Snow, Le due culture, a cura di Alessandro Lanni, Marsilio editore, Venezia 2005 (1a ed. it. Feltrinelli, Milano 1964; ed. or. The Two Cultures and a Second Look: An Expanded Version of The Two Cultures and the Scientific Revolution, Cambridge University Press, Cambridge 1959, 1963).
[3] Enrico Bellone, La scienza negata. Il caso italiano, Codice edizioni, Torino 2005.