Un Martini con Tanqueray, Noilly Prat dry vermouth e due olive. Fonte: Ken30684 (Flickr) [CC-BY-2.0 (www.creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons. |
Con questo post inaugurale apre i battenti un nuovo spazio dedicato alle interazioni e correlazioni tra natura e storia: Tempi profondi. Natura e storia shakerate, non mescolate.
Visto che probabilmente vi starete chiedendo il perché del bizzarro sottotitolo, partiamo dal riferimento al drink: è farina del sacco di Ian Fleming, lo scrittore che ha ideato le storie di spionaggio più famose del mondo contemporaneo. «Shaken, not stirred» è la procedura di preparazione con la quale la spia 007 dei servizi segreti britannici protagonista dei suoi romanzi, alias James Bond, era solita chiedere un Martini. La frase ricorre nel quarto romanzo della serie dedicata a Bond, Una cascata di diamanti (1956), ma a pronunciarla direttamente non è il personaggio, che lo farà a viva voce nel sesto romanzo, Dr. No (1958). Se stavate pensando a Sean Connery nei panni di Bond, allora dovete guardare Goldfinger (1964) per gustarvi una manciata di secondi di storia del cinema: «Just a drink. A Martini, shaken, not stirred». Evidentemente, la salute di ferro ostentata da Bond in oltre cinquant'anni di onorata carriera (tra romanzi e film) deve trarre giovamento da frugali e moderate consumazioni a base di Martini, giacché pare che la versione shakerata del drink possieda maggiori proprietà antiossidanti rispetto alla sua variante mescolata [1].
Ora, se mi avete seguito fino a qui, la primissima spiegazione della divagazione sul tipo di bevanda preferita da un agente segreto immaginario al servizio di Sua Maestà durante la Guerra Fredda è che sarebbe stato poco elegante, nonché platealmente maleducato, invitarvi all'inaugurazione di un nuovo blog senza offrire (virtualmente) un aperitivo, un apericena, o quello che desiderate vi venga offerto (purché virtuale).
In secondo luogo, la mia esperienza come blogger in corso d'opera (questo è il terzo blog che gestisco, dopo Geomythologica e Historia Religionum) mi aveva portato negli ultimi tempi a riflettere profondamente su alcuni contenuti della mia formazione universitaria da storico. Attraverso i miei due blog mi ero gettato a capofitto nel mondo della Rete, sbagliando, prendendo cantonate, a volte dicendo qualcosa di interessante (il giudizio spetta ai volenterosi lettori), e spesso sottolineando aspetti che mi premeva porre all'attenzione. Ad ogni modo sbagliando si impara, se si ha la volontà e l'onestà intellettuale di ammettere di avere sbagliato e di ricominciare. Dico questo perché l'impostazione data ai miei due blog precedenti ultimamente non mi soddisfaceva più, e le idee espresse in quei siti talvolta non corrispondevano più allo stato attuale della ricerca personale.
continua...
In secondo luogo, la mia esperienza come blogger in corso d'opera (questo è il terzo blog che gestisco, dopo Geomythologica e Historia Religionum) mi aveva portato negli ultimi tempi a riflettere profondamente su alcuni contenuti della mia formazione universitaria da storico. Attraverso i miei due blog mi ero gettato a capofitto nel mondo della Rete, sbagliando, prendendo cantonate, a volte dicendo qualcosa di interessante (il giudizio spetta ai volenterosi lettori), e spesso sottolineando aspetti che mi premeva porre all'attenzione. Ad ogni modo sbagliando si impara, se si ha la volontà e l'onestà intellettuale di ammettere di avere sbagliato e di ricominciare. Dico questo perché l'impostazione data ai miei due blog precedenti ultimamente non mi soddisfaceva più, e le idee espresse in quei siti talvolta non corrispondevano più allo stato attuale della ricerca personale.
La verità è là fuori
La verità è che avevo cominciato troppo presto a scrivere sui blog. Le prime pubblicazioni on line su Geomythologica coincidevano con il mio periodo da laureando (prima triennalista, poi specialista), molto determinato ma talvolta ancora ingenuo. E non poteva essere altrimenti, considerata la continua, e perciò continuamente in fieri, formazione intellettuale. Dico questo perché, avendo scelto la vocazione storica all'atto della scelta universitaria, il continuo approfondimento con la materia amata alla follia fin dalla più tenera età era venuto meno. Conoscevo meglio l'argomento paleontologico quando ero più piccolo, e questo sarebbe un tema divertente per un bel post della serie amarcord.
Il piccolo ma insperato successo di quei due blog da una parte mi aveva spronato a fare di più, ma dall'altra tracciava parallelamente una linea di demarcazione sempre più profonda tra i due aspetti dei quali mi occupavo (e mi occupo tuttora): quello storico-religioso legato alla biobibliografia critica degli studiosi del passato più o meno recente (da un punto di vista storiografico e rigorosamente aconfessionale) e quello paleontologico-evoluzionistico. Il problema non era solo personale. A livello nazionale le due culture, per usare l'icastica definizione di Charles Percy Snow [2], continuano ad essere lontane. Eccettuando i facili esotismi o sincretismi occultisti New Age sempre di moda, hard sciences e humanities vengono progressivamente e inesorabilmente allontanate l'una dall'altra a causa del disinteresse di parte dell'accademia, con le scienze fisico-naturali a giocare l'eterno ruolo dello sparring partner. Il mio sforzo d'un tratto mi era apparso vano e faticoso. Mi sono accorto di una serie di cose che davo per scontate, e che ancora troppo spesso vengono date per scontate. C'è bisogno di una maggiore consapevolezza scientifica, ma come farsi capire se si viene considerati estranei e "naturalisti" nell'ambito di ricerca, e si è visti come troppo "umanisti" nel parallelo campo scientifico di indagine e approfondimento? Esiste anche la necessità di investire in quella terza cultura che John Brockman (Edge) intende grosso modo come dialogo di studiosi e scienziati con il grande pubblico. E c'è, soprattutto, un problema di comunicazione che ha radici lontane e profondissime, ideologiche quando non te(le)ologiche, che non posso certo sperare di risolvere, e che ha spiegato in maniera eccellente Enrico Bellone nel suo La scienza negata. Il caso italiano [3]. Sarebbe forse meglio partire alla carica contro i mulini a vento. Eppure, mirabile paradosso, i blog mi sono serviti come utilissima palestra di confronto, di crescita e di dibattito. Non me la sono sentita di abbandonare del tutto questa possibilità di finestra aperta, di franco confronto accademico e interdisciplinare che solo un blog può offrire. Ma allora, come cambiare e, soprattutto, cosa? Se non posso risolvere il problema, posso però scomporlo, analizzarlo, interpretarlo e studiarlo: il modo migliore per comprendere un fenomeno studiato è cimentarsi in una sua spiegazione, per quanto provvisoria. Ciò di cui avevo bisogno era perciò un momento di pausa dalla Rete, un periodo di studio che fosse soprattutto occasione per una salutare, decostruttiva, tabula rasa. Tempi profondi è l'opportunità e il pretesto per ripartire da zero.
Ora, nonostante la crisi generale che l'Europa in particolare sta vivendo, la situazione in cui versano gli studi paleontologico-evoluzionistici a livello nazionale sembra essere leggermente migliorata rispetto a qualche decennio fa. Stiamo ancora vivendo in quel Rinascimento paleontologico con il quale, dalle pagine di Geomythologica (correva, se non erro, l'autunno del 2010), sintetizzavo una nuova presa di posizione e un caloroso interesse da parte degli addetti ai lavori e del grande pubblico nei confronti della scienza a tutto campo. L'interesse è dimostrato, tra gli altri esempi, da alcuni significativi successi editoriali scientifici, con in prima fila la torinese Codice edizioni, e le mostre Darwin 1809-2009, Dinosauri in carne e ossa, e ora Homo sapiens. La grande storia della diversità umana. Un momento propizio, o perlomeno più promettente di quanto non fosse mai stato nel passato recente, per ricominciare a porre le basi di un discorso interrotto.La verità è che avevo cominciato troppo presto a scrivere sui blog. Le prime pubblicazioni on line su Geomythologica coincidevano con il mio periodo da laureando (prima triennalista, poi specialista), molto determinato ma talvolta ancora ingenuo. E non poteva essere altrimenti, considerata la continua, e perciò continuamente in fieri, formazione intellettuale. Dico questo perché, avendo scelto la vocazione storica all'atto della scelta universitaria, il continuo approfondimento con la materia amata alla follia fin dalla più tenera età era venuto meno. Conoscevo meglio l'argomento paleontologico quando ero più piccolo, e questo sarebbe un tema divertente per un bel post della serie amarcord.
Il piccolo ma insperato successo di quei due blog da una parte mi aveva spronato a fare di più, ma dall'altra tracciava parallelamente una linea di demarcazione sempre più profonda tra i due aspetti dei quali mi occupavo (e mi occupo tuttora): quello storico-religioso legato alla biobibliografia critica degli studiosi del passato più o meno recente (da un punto di vista storiografico e rigorosamente aconfessionale) e quello paleontologico-evoluzionistico. Il problema non era solo personale. A livello nazionale le due culture, per usare l'icastica definizione di Charles Percy Snow [2], continuano ad essere lontane. Eccettuando i facili esotismi o sincretismi occultisti New Age sempre di moda, hard sciences e humanities vengono progressivamente e inesorabilmente allontanate l'una dall'altra a causa del disinteresse di parte dell'accademia, con le scienze fisico-naturali a giocare l'eterno ruolo dello sparring partner. Il mio sforzo d'un tratto mi era apparso vano e faticoso. Mi sono accorto di una serie di cose che davo per scontate, e che ancora troppo spesso vengono date per scontate. C'è bisogno di una maggiore consapevolezza scientifica, ma come farsi capire se si viene considerati estranei e "naturalisti" nell'ambito di ricerca, e si è visti come troppo "umanisti" nel parallelo campo scientifico di indagine e approfondimento? Esiste anche la necessità di investire in quella terza cultura che John Brockman (Edge) intende grosso modo come dialogo di studiosi e scienziati con il grande pubblico. E c'è, soprattutto, un problema di comunicazione che ha radici lontane e profondissime, ideologiche quando non te(le)ologiche, che non posso certo sperare di risolvere, e che ha spiegato in maniera eccellente Enrico Bellone nel suo La scienza negata. Il caso italiano [3]. Sarebbe forse meglio partire alla carica contro i mulini a vento. Eppure, mirabile paradosso, i blog mi sono serviti come utilissima palestra di confronto, di crescita e di dibattito. Non me la sono sentita di abbandonare del tutto questa possibilità di finestra aperta, di franco confronto accademico e interdisciplinare che solo un blog può offrire. Ma allora, come cambiare e, soprattutto, cosa? Se non posso risolvere il problema, posso però scomporlo, analizzarlo, interpretarlo e studiarlo: il modo migliore per comprendere un fenomeno studiato è cimentarsi in una sua spiegazione, per quanto provvisoria. Ciò di cui avevo bisogno era perciò un momento di pausa dalla Rete, un periodo di studio che fosse soprattutto occasione per una salutare, decostruttiva, tabula rasa. Tempi profondi è l'opportunità e il pretesto per ripartire da zero.
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[1] C.C. Trevithick, M.M. Chartrand, J. Wahlman, F. Rahman, M. Hirst e J.R Trevithick, Shaken, not Stirred: Bioanalytical Study of the Antioxidant Activities of Martinis, in «British Medical Journal», 319, 1999, p. 1600; 10.1136/bmj.319.7225.1600 (Published 18 December 1999).
[2] Charles Percy Snow, Le due culture, a cura di Alessandro Lanni, Marsilio editore, Venezia 2005 (1a ed. it. Feltrinelli, Milano 1964; ed. or. The Two Cultures and a Second Look: An Expanded Version of The Two Cultures and the Scientific Revolution, Cambridge University Press, Cambridge 1959, 1963).
[3] Enrico Bellone, La scienza negata. Il caso italiano, Codice edizioni, Torino 2005.
Bentornato (e già incluso nel mio blogroll)!
RispondiEliminaCiao Andrea! Grazie mille!
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