Sua Maestà, il piccione (Columba livia). Dopo aver letto questo post «scommetto che non guarderete più gli uccelli con gli stessi occhi» (cit. - vid.). Fotografia dell'utente Alpsdake, da Wikipedia. |
Immaginiamo la seguente scena, sopperendo alle lacune documentarie con una buona dose cinematografica di licenze interpretative.
Interno giorno. Laboratorio. Anni Quaranta del secolo scorso.
Piano americano, uno studioso che guarda una gabbietta. Lo studioso è Burrhus Frederic Skinner (1904-1990). Nella gabbietta, un piccione. Lo studioso (o un meccanismo a tempo) ha la possibilità di rilasciare delle granaglie nella gabbietta, a intervalli specifici ma slegati dal contesto o dalle azioni del piccione. Passato un certo periodo di tempo, e una determinata quantità di mangime beccato, lo studioso nota che il piccione ha assunto comportamenti bizzarri, quali «saltellare da una parte all’altra o volteggiare in senso antiorario» (Skinner 1947; Shermer 2012: 74). Perché d’un tratto il piccione sembra sotto effetto di sostanze stupefacenti? Perché lo studioso non ha controllato il mangime prima della somministrazione? Cosa diamine è capitato?
Niente paura: nessuna somministrazione di droghe aviane al malcapitato pennuto. Nessun riferimento agli esperimenti sci-fi di Walter Bishop, il coprotagonista del telefilm Fringe interpretato magistralmente da John Noble dal 2008 al 2013. Nulla di tutto ciò. Il piccione ha solamente messo in relazione l’ultima azione compiuta prima dell’introduzione del cibo con la fuoriuscita delle granaglie, associandole in una relazione di causa-effetto. O, per dirla altrimenti, il piccione ha assunto comportamenti stereotipati diventando superstizioso, ossia stabilendo un rapporto scorretto di causa ed effetto (Vallortigara 2008: 63. Cfr. Foster & Kokko 2009).
Ciò ha avuto luogo grazie a un condizionamento operante attraverso le contingenze di rinforzo, secondo cui «le conseguenze di un comportamento che vengono rinforzate sono le cause determinanti del comportamento che segue» (Buss 2012: 16); il condizionamento probabilmente non avrebbe avuto luogo se il piccione fosse stato punito o se si fosse drasticamente intervenuti su modi e tempi relativi alla somministrazione del cibo. Semplicemente, il rilevatore mentale di causalità del piccione ha agito mettendo in relazione un’azione specifica, ossia quella che il piccione stava compiendo prima che gli venisse somministrato il cibo, con la fuoriuscita del cibo. Data la sequenza degli intervalli, accade nuovamente e abbastanza presto che le due azioni si trovino ad essere ravvicinate: viene così creata una patternicity stabile, ossia una serie di pattern ritenuti in rapporto causale diretto, e ciò avrà l’effetto di rinforzare man mano il comportamento (Vallortigara 2008: 66.). Ragion per cui, secondo quanto stabilito implicitamente dal piccione, ripetendo quel gesto dovrebbe ripetersi la somministrazione del cibo.
Non vi ricorda nulla questo comportamento? Non richiama qualcosa di straordinariamente umano?
Ciò ha avuto luogo grazie a un condizionamento operante attraverso le contingenze di rinforzo, secondo cui «le conseguenze di un comportamento che vengono rinforzate sono le cause determinanti del comportamento che segue» (Buss 2012: 16); il condizionamento probabilmente non avrebbe avuto luogo se il piccione fosse stato punito o se si fosse drasticamente intervenuti su modi e tempi relativi alla somministrazione del cibo. Semplicemente, il rilevatore mentale di causalità del piccione ha agito mettendo in relazione un’azione specifica, ossia quella che il piccione stava compiendo prima che gli venisse somministrato il cibo, con la fuoriuscita del cibo. Data la sequenza degli intervalli, accade nuovamente e abbastanza presto che le due azioni si trovino ad essere ravvicinate: viene così creata una patternicity stabile, ossia una serie di pattern ritenuti in rapporto causale diretto, e ciò avrà l’effetto di rinforzare man mano il comportamento (Vallortigara 2008: 66.). Ragion per cui, secondo quanto stabilito implicitamente dal piccione, ripetendo quel gesto dovrebbe ripetersi la somministrazione del cibo.
Non vi ricorda nulla questo comportamento? Non richiama qualcosa di straordinariamente umano?
Come ha notato in modo brillante Michael Shermer,
«se dubitate della potenza [della patternicity] nel comportamento umano, fate una visita a Las Vegas e osservate le persone che giocano alle slot machine e i loro svariati tentativi di trovare un pattern tra (a) l’azione di tirare la leva della slot machine e (b) il premio. I piccioni possono avere un cervello da gallina [in inglese la locuzione è più generale: bird brain. N.d.A.], ma quando si tratta delle patternicity basilari i nostri cervelli non sono molto diversi» (Shermer 2012: 75).
In effetti l’esperimento delle slot machine (modificate) è stato condotto da Koichi Ono sugli esseri umani nelle seguenti condizioni: un contatore dispensava punti da accumulare, in media ogni trenta o sessanta secondi, in modo del tutto slegato dai modi e dai tempi dell’azione sulla leva. In modo sorprendentemente simile al piccione di Skinner, i partecipanti all’esperimento che pure avevano compreso la non consequenzialità causale tra la ricompensa e l’azione sulla leva assunsero altri e ancor più bizzarri comportamenti (ibidem).
Esattamente come il piccione di Skinner, taluni atleti mettono in relazione una vittoria nella loro disciplina con un comportamento contingente avvenuto in contemporanea o poco prima prima dell’evento, e ripetono quel gesto all’entrata in campo; così gli studenti assumono determinati comportamenti, o indossano certi indumenti, poiché questi erano stati casualmente assunti o indossati in concomitanza con il loro exploit di successo. Da qui la coazione a ripetere quel gesto, a indossare quel capo di vestiario, nella convinzione che vi sia un implicito nesso causale ed efficace tra i due eventi, e da cui è dipeso il successo finale. Grazie a un ulteriore bias di conferma si tenderà a scartare i casi successivi che ledono la validità dell’assunto generalizzatore (ossia gli insuccessi), e ci si concentrerà solo sugli eventuali successi, un po’ come fa lo scaramantico tifoso Patrizio Solitano Sr. con la sua squadra di football americano (un personaggio interpretato da Robert De Niro ne Il lato positivo; Silver Linings Playbook, U.S.A. 2012)
Eppure tutto ciò ha un risvolto evolutivamente adattativo, a patto che il costo della credenza in un pattern falso sia minore del costo del non credere in un pattern reale (Shermer 2012: 72; Foster & Kokko 2009). Stante questa premessa, la selezione operante nel tempo profondo avrebbe favorito le associazioni del primo tipo, fintantoché queste hanno anche sostenuto strategie di successo per la sopravvivenza e la riproduzione.
Lo stesso avviene nella magia che, come ha efficacemente analizzato István Czachesz basandosi su precedenti indagini cognitiviste di Jesper Sørensen e Illkka Pyysiäinen (Sørensen 2002, 2007; Pyysiäinen 2004, 2009), non è altro che «lo sviluppo spontaneo di un comportamento ritualizzato come risposta a un rinforzo positivo e indipendente dal responso» (Czachesz 2011: 149), secondo il condizionamento operativo. Questo pattern viene poi rafforzato dal bias di conferma, sostenuto dalle prospettive probabilistiche che quell’evento voluto capiti indipendentemente dalle azioni compiute (si pensi alle danze per ottenere la pioggia, dove la pioggia gioca lo stesso ruolo del becchime nella gabbietta di Skinner), e diffuso grazie al fatto che spesso le operazioni magiche hanno a che fare con racconti che sollecitano i nostri meccanismi cognitivi di empatia e di disgusto, rendendoli più memorizzabili e trasmissibili. La magia quindi è un caso di perfetto ragionamento circolare: è irrefutabile in quanto «funziona solo quando tutte le condizioni vengono soddisfatte, e sappiamo che tutte le condizioni sono state soddisfatte solo se la magia funziona» (ibi: 159).
Tra l’altro, la magia è una forma di pseudoscienza e, in quanto tale, non ha alcun interesse a individuare, elaborare o adottare metodi di disamina scientifica: nella pseudoscienza, come ci ricorda un celebre passaggio di Carl Sagan,
«le ipotesi vengono spesso formulate in modo tale da non poter essere confutate da alcun esperimento, cosicché non le si può invalidare neppure in linea di principio. Coloro che la praticano hanno invariabilmente un atteggiamento difensivo e sospettoso e si oppongono a ogni esame critico. Quando un’ipotesi pseudoscientifica non riesce a suscitare l’interesse degli studiosi, si tirano in ballo cospirazioni miranti a sopprimerla» (Sagan 2001: 61).
In quanto pseudoscienza, però, come delinea Gilberto Corbellini, la magia «non è che lo stato di default del modo di funzionare della nostra mente, in assenza di un’istruzione che la guidi a confrontarsi con i fatti». Da una prospettiva cognitivista,
«Il pensiero magico si sviluppa come un modo spontaneo di categorizzare i cambiamenti nell’ambiente sulla base dell’imprinting cognitivo che ci induce ad attribuire, in assenza di esperienze correttive, cause invisibili e animate nello scenario circostante. Il nostro cervello è facilmente ingannabile, funziona sulla base di illusioni e autoinganni» (Corbellini 2013: 48-49).
Si tratta in fin dei conti del surplus di capacità computazionale che è frutto dell’evoluzione, in quanto riserva di continui e possibili adattamenti, e che pur sbagliando profondamente sulla qualità e sulla quantità di pattern individuati nel mondo (dai fatti insignificanti che sarebbero legati a un destino ultramondano, fino alle inesistenti cospirazioni globali più o meno occulte), ha permesso nonostante tutto di cercare «cause non direttamente percepibili attraverso processi di astrazione e manipolazione dell’esperienza» (ibi: 49), grazie all’esercizio del «pensiero astratto stabilendo collegamenti tra diversi domini e sottodomini cognitivi» (ibi: 51) e facendo appello alla metacognizione, ossia «operazioni mentali su processi che sono essi stessi operazioni mentali» (ibi: 57).
La prossima volta che acquisterete un biglietto della lotteria aspettando trepidanti i risultati con il vostro maglione fortunato preferito addosso, o che guarderete la partita di calcio avvolti nella sciarpa da tifosi che avevate comprato l’anno in cui la vostra squadra del cuore vinse il campionato, pensate al piccione di Skinner. E sentitevi pure liberi di saltellare e di volteggiare in senso antiorario.
Buss, D.M. (2012). Psicologia evoluzionistica. Milano-Torino: Pearson Italia (ed. orig. 2012. Evolutionary Psychology: The New Science of the Mind. Boston: Pearson. 4a ed.)
Corbellini, G. (2013). Scienza. Torino: Bollati Boringhieri.
Czachesz, I. (2011). Explaining Magic: Earliest Christianity as a Test Case, in Martin, L. H. & Sørensen, J. (Eds.). Past Minds: Studies in Cognitive Historiography, (pp. 141-166). London-Oakville, Equinox
Foster KR, & Kokko H (2009). The evolution of superstitious and superstition-like behaviour. Proceedings. Biological sciences / The Royal Society, 276 (1654), 31-7 PMID: 18782752
Pyysiäinen, I. (2004). Magic, Miracles, and Religion: A Scientist’s Perspective. Walnut Creek: AltaMira Press
Pyysiäinen, I. (2009). Supernatural Agents: Cognitive Science of Supernatural Agency. Oxford-New York: Oxford University Press
Sagan, C. (2001). Il mondo infestato dai demoni. La scienza e il nuovo oscurantismo. Milano: Baldini e Castoldi, (1997 1a ed.; ed. orig. 1996. The Demon-Haunted World: Science as a Candle in the Dark. New York: Ballantine Books)
Shermer, M. (2012). The Believing Brain: From Spiritual Faiths to Political Convictions. How We Construct Beliefs and Reinforce Them as Truths. London: Robinson. (Times Books - Henry Holt, New York 2011)
Sørensen, J. (2002). ‘The Morphology and Function of Magic’ Revisited. In Pyysiäinen, I. & Anttonen, V. (Eds.). Current Approaches in the Cognitive Science of Religion, (pp. 177-202). Continuum, London-New York: Continuum
Sørensen, J. (2007). A Cognitive Theory of Magic. Walnut Creek: AltaMira Press
SKINNER BF (1948). Superstition in the pigeon. Journal of experimental psychology, 38 (2), 168-72 PMID: 18913665
Vallortigara, G. (2008). La causa prima? In Girotto, V., Pievani, T., & Vallortigara, G. Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, (pp. 63-82). Torino: Codice edizioni
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