Siamo arrivati al quinto punto delle conclusioni di Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley (per le puntate precedenti si vedano i seguenti link: prima parte; seconda parte; terza parte; quarta parte). Il tema trattato in questa sezione riguarda il modo in cui determinati problemi relativi al cablaggio della mente possono rendere inoperosi i concetti religiosi. Come sintetizza McCauley, dunque,
4.4. Alcune disabilità nell’ambito cognitivo vanificano la presa cognitiva della religione.
La domanda di partenza è la seguente: nonostante la presenza pervasiva dei sistemi cognitivi maturativamente naturali (teoria della mente [ToM, theory of mind], agentività, ecc.), esistono casi in cui gli individui non possano o non riescano a rappresentarsi gli stati mentali e intenzionali degli agenti controintuivi tipici delle religioni?
Per rispondere a questa domanda, McCauley parte da un punto preciso della modularità fodoriana, ossia da quella danneggiabilità selettiva che conferma la specificità per dominio, per cui eventuali problemi dei sistemi neurali dovuti a incidenti o malattie non intaccano né diminuiscono le altre competenze e le capacità cognitive del soggetto, bensì mostrano deficit assai specifici. L’autore riporta come esempio gli individui affetti da afasia (deficit nell’elaborazione del linguaggio), da prosopagnosia (deficit nel riconoscimento facciale; il soggetto non riconosce i volti, nemmeno di persone familiari) e agnosia acustica (pattern simile al caso precedente, ma concernente il mancato riconoscimento delle voci) [1]
Ora, gli individui che non possiedono una «teoria maturativamente naturale della mente» [2] dovrebbero trovare non istintivo e «perlopiù imperscrutabile» il riferimento ad un’agentività fatta di rappresentazioni di stati intenzionali e desideri altrui. Tale cecità mentale (o mindblindness) è in effetti una delle disabilità maggiori riscontrate nello spettro dell’autismo: «Non solo i bambini autistici ricordano gli edifici e i paesaggi meglio di quanto non facciano con i volti umani, ma essi sembrano anche indifferenti al fatto che qualcosa sia animato» [3]. Il ritardo dello sviluppo delle capacità maturative, o il loro mancato sviluppo, si stabilisce grosso modo già a partire dal primo anno di età, quando i bambini autistici non stabiliscono un contatto visivo con coloro i quali se ne prendono cura in quel momento; inoltre non riescono né a tradurre l’indicazione di oggetti animati e inanimati da parte di terzi come qualcosa cui rivolgersi, né ad indicare per attirare l’attenzione visiva di qualcuno su qualcosa (in seguito, generalmente, non indicano nemmeno a parole per attirare l’attenzione). Tale disabilità è correlata con il ritardo nell’acquisizione del linguaggio.
L’autismo classico comprende dunque difficoltà nella comunicazione sociale, azioni ripetitive, interesse altamente focalizzato e il ritardo nell’inizio della comprensione e della produzione del linguaggio [4]. Come nota McCauley, esiste però un’ampia gamma di disabilità che vanno dalla versione “classica” appena ricordata per giungere, al capo opposto dello spettro, fino ai punti ove tali disabilità sfumano in segmenti popolazionali che manifestano versioni meno estreme di alcuni dei tratti tipici dell’autismo. In questo spettro di disabilità, la sindrome di Asperger, ad esempio, si differenzia dall’autismo classico poiché non coinvolge il ritardo nell’apprendimento del linguaggio e generalmente riguarda individui con un’intelligenza nella media o superiore alla media; essi possiedono invece gli altri tratti caratteristici, ossia la ristrettezza degli interessi, la ripetitività dei comportamenti e la difficoltà nelle relazioni sociali. Alcune di queste caratteristiche si ritrovano «a livello subclinico nel resto dell’umanità» [5].
Come sottolinea giustamente McCauley in talune circostanze alcune di queste caratteristiche possono essere vantaggiose (ad esempio, la memoria per i dettagli dell’ambiente circostante). Di fronte a tale complessità, però, come rendere conto del deficit della ToM in un così vasto repertorio di caratteristiche cognitive? Simon Baron-Cohen ha proposto una teoria che mette a confronto comparativamente le predilezioni umane nell’empatizzare e nel sistematizzare; in particolare, mentre la maggior parte delle persone sviluppa capacità in entrambi i campi, «le persone affette dai disturbi tipici dello spettro autistico manifestano ritardi e deficit nei compiti che richiedono di empatizzare, mentre possiedono abilità normali o addirittura amplificate per la sistematizzazione» [6]. Il ritardo nello sviluppo, o il mancato sviluppo, della capacità di individuare nei soggetti animati agenti intenzionali dotati di obiettivi e desideri causa un ritardo nel compito della falsa credenza (ossia un test in ambiente controllato che dimostra se il bambino è in grado di attribuire a terzi rappresentazioni mentali che differiscono dal suo stato di conoscenza), che i bambini affetti dalla sindrome di Asperger non riescono a portare a compimento se non dopo il decimo anno di età [7]. Nel contempo, possiedono una eccellente propensione alla sistematizzazione (McCauley riporta l’esempio di «relazioni matematiche tra elementi come calendari, elenchi telefonici, orari dei treni, targhe automobilistiche e statistiche sportive») [8]. Come fanno quindi i soggetti affetti dalla sindrome di Asperger a comportarsi nel mondo sociale? Imparano, faticosamente e lentamente, osservando le regolarità presenti nei comportamenti delle altre persone, ossia ponendosi come obiettivo un compito che invece, per le altre persone, è perlopiù maturativamente intuitivo [9].
Anche con una ToM costruita nel tempo ad hoc, tali persone troveranno la religione un elemento faticoso da pensare, estraneo e straniante [10]. È interessante però notare che almeno alcuni elementi dell’organizzazione religiosa non sono in disaccordo con i presupposti cognitivi delle forme di autismo di cui sopra: la routine implicita nella ripetizione rituale e le sequenze di azioni nelle storie narrate non offrono alcuna difficoltà (ammesso che non si debbano prendere in considerazione gli stati intenzionali degli agenti). In alcuni casi, le persone che esibivano tratti marcatamente autistici hanno trovato una peculiare modalità di espressione proprio nella religione: Uta Frith ha notato che i protagonisti delle storie aventi per protagonisti i cosiddetti “Folli per Cristo” (ossia, coloro i quali nel mondo ortodosso bizantino prima e in quello russo-slavo poi, assumevano il pubblico ruolo di folle, compiendo atti eccentrici con effetti tragicomici e ignorando le regole della condotta sociale; lo scopo era quello di denunciare l’ipocrisia della gente e dei potenti) sembrano essere stati affetti da alcune forme di autismo. Altrove, invece, la situazione non sembra essere delle migliori: Scott Atran ha documentato che in Arabia Saudita e in Pakistan si pensa solitamente che le persone affette da autismo siano possedute da spiriti e che pertanto debbano essere sottoposte ad esorcismo [11]. Sulla medesima falsariga, vale la pena ricordare che nel 1926 un alto prelato anglicano aveva proposto che l’assenza di una qualche credenza religiosa fosse indice di anormalità fisico-biologica, in ultima istanza mentale. Da qui, il suggerimento di agire per contenere l’incremento di tali individui “anormali” secondo pratiche eugenetiche. Recentemente un sociologo turco ha affermato grosso modo la stessa idea, proponendo invece l’uso di terapie utili ad instillare nei soggetti autistici in età preadolescenziale i concetti religiosi [12]. Siamo ovviamente di fronte ai rischi espliciti delle pericolose teorizzazioni di un homo (naturaliter) religiosus – un concetto ideologico e fideistico che è scientificamente e umanisticamente insostenibile.
McCauley, a questo punto, propone un interessante quesito. Per comprendere appieno questo punto occorre partire da due ricerche. La prima è basata sulle correlazioni tra la credenza in Dio e la capacità di mentalizzare (mentalizing, ossia il porre in essere una ToM), che uno studio popolazionale su campioni casuali ha confermato essere in rapporto direttamente proporzionale) [13]; la seconda ha evidenziato l’esistenza di “persone che eccellono nel riconoscimento facciale” (in un test condotto su fotografie di persone in giovane età, e sconosciute, che sarebbero diventate poi note al pubblico da adulti), le quali si pongono ad un capo di uno spettro che giunge, attraverso varie abilità sfumate nel campione popolazionale, fino agli individui affetti da prosopagnosia dello sviluppo (ossia non derivante da incidenti o traumi) [14]. Ora, si domanda McCauley, se «le persone con disordini dello spettro autistico rappresentano l’analogo delle persone affette da prosopagnosia dello sviluppo, dovremmo aspettarci persone che rispetto alla ToM e alla sua distribuzione lungo uno spettro si pongono nello stesso modo in cui si pongono le persone che eccellono nel riconoscimento facciale […]», ovvero che riescano ad eccellere nel rilevamento e nella gestione delle inferenze sulle menti altrui [15]. Seguendo la teoria binaria di Baron-Cohen sulle menti empatiche e sistematizzanti, McCauley ricorda che in tale senso questi individui sarebbero degli «iper-empatici» (banalmente, ciò non esclude comunque capacità anche in senso sistematizzante) [16]. Se la sindrome di Asperger può essere compresa come l’espressione parossistica ed esagerata di tratti cognitivi che sono presenti mediamente nelle menti maschili, essa può essere descritta come «iper-maschile» (ossia, «che associa abilità sistematizzanti in forma estremamente elevata con capacità empatiche minime») [17]. La tipologia di maggior interesse per lo studio in questione è però quello definita «iper-femminile», ovvero «iper-empatica» [18], avente cioè un’elevata capacità di rilevare le intenzioni e gli stati mentali di terzi.
Per sgombrare immediatamente il campo da accuse malriposte di preconcetti sessuali e di genere: si tratta di tipologie mentali che si verificano nella popolazione «a dispetto del sesso di appartenenza» [19]. Sono etichette che rappresentano eminentemente caratteristiche cognitive presenti nella menti degli individui, coniate a partire dalle capacità rilevabili e distribuite nella media della popolazione, e non c’entrano in alcun modo con l’orientamento sessuale o con il sesso di appartenenza: esistono menti maschili empatiche e menti femminili sistematizzanti. Ad ogni modo, in media, la distribuzione di capacità sistematizzanti è più alta nei maschi (e nei test di sistematizzazione le performance delle persone autistiche è più elevata di quelle dei maschi), mentre abilità empatiche sono maggiormente presenti in media nei rappresentanti femminili della popolazione (e nei test riguardanti l’empatia le persone affette da autismo si classificano al di sotto dei maschi) [20]. La tesi di lavoro di Baron-Cohen, sposata da McCauley, è quella di studiare più approfonditamente la presenza di menti iper-empatiche nella popolazione.
McCauley, da ultimo, ricorda alcuni dati sociologici sostenuti da quasi un secolo di indagini ma comunque ad oggi non del tutto dirimenti, e in parte insoddisfacenti, a causa dell’infiltrazione dei precedenti modelli culturali e sociali relativi al ruolo sessuale [21]. Secondo questi studi le donne dimostrerebbero «una maggiore propensione alla religiosità rispetto alle controparti sociali di sesso maschile, nei termini di un’espressione di impegno personale, di frequenza di partecipazione ai rituali religiosi, alla lettura di materiale religioso, e alla frequenza della preghiera» [22]; ciò sarebbe associato al fatto che la religiosità, secondo tali analisi sociologiche, si accompagna a caratteristiche della personalità che sono statisticamente più rilevanti nei soggetti di sesso femminile (lo ricordiamo, a dispetto del fatto che possano trovarsi in maschi o femmine) [23] e che le donne tendono in generale ad assumere rischi minori rispetto agli uomini [24]. Solo ulteriori studi cognitivisti potranno contestualizzare in modo più chiaro e scientifico tale questione.
continua...
[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 253.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 254.
[4] Ivi, p. 255.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 256 (cfr. Simon Baron-Cohen, Autism and Asperger Syndrome: The Facts, Oxford University Press, Oxford-New York 2008, pp. 62-63).
[7] Ibidem. A cinque anni di età i bambini affetti da autismo con un intelligenza sopra la media non passano il test della falsa credenza (superato da bambini normali e da bambini affetti dalla sindrome di Down).
[8] Ivi, p. 257.
[9] Ibidem. L’esempio che riporta McCauley è il seguente: «benché un individuo affetto dalla sindrome di Asperger abbia ammesso che le lacrime di terzi non gli ispiravano alcuna risposta emotiva, aveva imparato quando e come “fingere” di averla» (il caso cit. proviene dal libro di Baron-Coehn, Autism and Asperger Syndrome, cit., p. 143).
[10] Ivi, pp. 258-259.
[11] Ivi, p. 261 (cfr. Uta Frith, Autism: Explaining the Enigma, Blackwell, Malden, MA-Oxford, 20032 [19891], pp. 19-23; Scott Atran, In Gods We Trust: The Evolutionary Landscape of Religion, Oxford University Press, Oxford-New York 2002, p. 194).
[12] Carlo Alberto Defanti, Eugenetica: un tabù contemporaneo. Storia di un’idea controversa, Codice ediizoni, Torino 2012, pp. 174-175;
[13] Ivi, p. 264 (cfr. Ara Norenzayan, Will M. Gervais e Kali H. Trzesniewski, Mentalizing Deficits Constrain Belief in a Personal God, in «PLoS ONE», 7(5) 2012: e36880. doi:10.1371/journal.pone.0036880)
[14] Ibidem (cfr. Richard Russell, Brad Duchaine e Ken Nakayama, Super-Recognizers: People with Extraordinary Face Recognition Ability, «Psychonomic Bulletin & Review», 16, 2, pp. 252-257).
[15] Ivi, p. 264.
[16] Ibidem.
[17] A sostegno di tale ipotesi McCauley cita i seguenti fatti: «l’autismo è in parte ereditabile, l’autismo classico si verifica quattro volte di più nei maschi rispetto alle femmine, e la sindrome di Asperger colpisce i maschi nove volte di più rispetto alle femmine» (ivi, p. 264; dati da S. Baron-Cohen, Autism and Asperger Syndrome, cit., p. 33).
[18] Ivi, p. 265.
[19] Ibidem. La sottolineatura appartiene a McCauley.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 266 (cfr. R. Stark, Physiology and Faith: Addressing the ‘Universal’ Gender Difference in Religious Commitment, in «Journal for the Scientific Study of Religion», 41, 2002, pp. 495-507; p. 496).
[22] Ibidem (cfr. A.S. Miller e J.P. Hoffman, Risk and Religion: An Explanation of Gender Differences in Religiosity, in «Journal for the Scientific Study of Religion», 34, 1995, pp. 63-75; D.P. Sullins, Gender and Religion: Deconstructing Universality, Constructing Complexity, in «American Journal of Sociology», 112, 2006, pp. 838-880).
[23] Ivi, p. 267 (cfr. E.H. Thompson, Beyond the Sex Difference: Gender Variations in Religiousness, [sic: il tit. è in realtà Beneath the Status Characteristic: in Gender Variations in Religiousness] «Journal for the Scientific Study of Religion», 30, 1991, pp. 381-394; L.J. Francis e C. Wilcox, Religion and Gender Orientation, in «Personality and Individual Differences», 20, 1996, pp. 119-121; V. Saroglou, Religion and the Five Factors of Personality: A Meta-Analytic Review, in «Personality and Individual Differences», 32, 2002, pp. 15-25; D.E. Sherkat, Sexuality and Religious Commitment in the United States: An Empirical Examination, in «Journal for the Scientific Journal of Religion», 41, 2002, pp. 313-323; cfr. Miller e J.P. Hoffman, Risk and Religion, cit.; A.S. Miller e R. Stark, Gender and Religiousness, cit.).
[24] Ibidem (cfr. Miller e J.P. Hoffman, Risk and Religion, cit.; A.S. Miller e R. Stark, Gender and Religiousness: Can Socialization Explanations Be Saved?, in «American Journal of Sociology», 197, 2002, pp. 1399-1423).
Artt. indicizzati in Research Blogging:[15] Ivi, p. 264.
[16] Ibidem.
[17] A sostegno di tale ipotesi McCauley cita i seguenti fatti: «l’autismo è in parte ereditabile, l’autismo classico si verifica quattro volte di più nei maschi rispetto alle femmine, e la sindrome di Asperger colpisce i maschi nove volte di più rispetto alle femmine» (ivi, p. 264; dati da S. Baron-Cohen, Autism and Asperger Syndrome, cit., p. 33).
[18] Ivi, p. 265.
[19] Ibidem. La sottolineatura appartiene a McCauley.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 266 (cfr. R. Stark, Physiology and Faith: Addressing the ‘Universal’ Gender Difference in Religious Commitment, in «Journal for the Scientific Study of Religion», 41, 2002, pp. 495-507; p. 496).
[22] Ibidem (cfr. A.S. Miller e J.P. Hoffman, Risk and Religion: An Explanation of Gender Differences in Religiosity, in «Journal for the Scientific Study of Religion», 34, 1995, pp. 63-75; D.P. Sullins, Gender and Religion: Deconstructing Universality, Constructing Complexity, in «American Journal of Sociology», 112, 2006, pp. 838-880).
[23] Ivi, p. 267 (cfr. E.H. Thompson, Beyond the Sex Difference: Gender Variations in Religiousness, [sic: il tit. è in realtà Beneath the Status Characteristic: in Gender Variations in Religiousness] «Journal for the Scientific Study of Religion», 30, 1991, pp. 381-394; L.J. Francis e C. Wilcox, Religion and Gender Orientation, in «Personality and Individual Differences», 20, 1996, pp. 119-121; V. Saroglou, Religion and the Five Factors of Personality: A Meta-Analytic Review, in «Personality and Individual Differences», 32, 2002, pp. 15-25; D.E. Sherkat, Sexuality and Religious Commitment in the United States: An Empirical Examination, in «Journal for the Scientific Journal of Religion», 41, 2002, pp. 313-323; cfr. Miller e J.P. Hoffman, Risk and Religion, cit.; A.S. Miller e R. Stark, Gender and Religiousness, cit.).
[24] Ibidem (cfr. Miller e J.P. Hoffman, Risk and Religion, cit.; A.S. Miller e R. Stark, Gender and Religiousness: Can Socialization Explanations Be Saved?, in «American Journal of Sociology», 197, 2002, pp. 1399-1423).
Norenzayan, A., Gervais, W., & Trzesniewski, K. (2012). Mentalizing Deficits Constrain Belief in a Personal God PLoS ONE, 7 (5) DOI: 10.1371/journal.pone.0036880 Russell R, Duchaine B, & Nakayama K (2009). Super-recognizers: people with extraordinary face recognition ability. Psychonomic bulletin & review, 16 (2), 252-7 PMID: 19293090 Stark, R. (2002). Physiology and Faith: Addressing the "Universal" Gender Difference in Religious Commitment Journal for the Scientific Study of Religion, 41 (3), 495-507 DOI: 10.1111/1468-5906.00133 Miller, A., & Hoffmann, J. (1995). Risk and Religion: An Explanation of Gender Differences in Religiosity Journal for the Scientific Study of Religion, 34 (1) DOI: 10.2307/1386523 Sullins, D. (2006). Gender and Religion: Deconstructing Universality, Constructing Complexity American Journal of Sociology, 112 (3), 838-880 DOI: 10.1086/507852 Francis, L., & Wilcox, C. (1996). Religion and gender orientation Personality and Individual Differences, 20 (1), 119-121 DOI: 10.1016/0191-8869(95)00135-S Saroglou, V. (2002). Religion and the five factors of personality: a meta-analytic review Personality and Individual Differences, 32 (1), 15-25 DOI: 10.1016/S0191-8869(00)00233-6 Sherkat, D. (2002). Sexuality and Religious Commitment in the United States: An Empirical Examination Journal for the Scientific Study of Religion, 41 (2), 313-323 DOI: 10.1111/1468-5906.00119 Miller, A., & Stark, R. (2002). Gender and Religiousness: Can Socialization Explanations Be Saved? American Journal of Sociology, 107 (6), 1399-1423 DOI: 10.1086/342557 Thompson, E. (1991). Beneath the Status Characteristic: Gender Variations in Religiousness Journal for the Scientific Study of Religion, 30 (4) DOI: 10.2307/1387275
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