Imre Lakatos (1922-1974). Immagine: London School of Economics |
«Self-examination is a necessary step not only to personal redemption,but also to objective historical research».
Momigliano, A Hundred Years After Ranke [1]
Mugugno introduttivo
Quando frequentavo i corsi di storia all’Università, durante il Medioevo postmoderno della penisola (post)crociana, tra le materie obbligatorie non erano previste né filosofia della scienza, né epistemologia della ricerca scientifica. A dir la verità, non erano nemmeno previste tra quelle facoltative, ad eccezione di un corso incentrato quasi ogni anno sull’Illuminismo francese.
Ecco, chiariamoci subito.
Va benissimo l’Illuminismo, ovvio, è una delle basi imprescindibili, e ci mancherebbe, ma diamine, c’è anche dell’altro. Sia prima che dopo… tipo, ad esempio, un Darwin o un Newton, tanto per dirne due. Ma l’Illuminismo, evidentemente, era stato accolto a Lettere e Filosofia come biglietto unico valido per tutta la storia della scienza. Un giro, una corsa. One size fits all. Che sarà mai tutta ’sta scienza, poi?
Meh.
Ecco, chiariamoci subito.
Va benissimo l’Illuminismo, ovvio, è una delle basi imprescindibili, e ci mancherebbe, ma diamine, c’è anche dell’altro. Sia prima che dopo… tipo, ad esempio, un Darwin o un Newton, tanto per dirne due. Ma l’Illuminismo, evidentemente, era stato accolto a Lettere e Filosofia come biglietto unico valido per tutta la storia della scienza. Un giro, una corsa. One size fits all. Che sarà mai tutta ’sta scienza, poi?
Meh.
Insomma, la materia non sembra davvero andare giù. Supercalifragilistichespiralidoso non aiuta granché.
Intanto, nelle aule dove si insegna la Storia, quella rigorosamente con la maiuscola, aleggia talvolta quella gravitas e quella sicumera prestigiosa, come se dietro a tutto quanto ci fosse un hegeliano Weltgeist oppure il drappello di potenti uomini politici che determina il corso della Storia come la immaginò Ranke (sempre con la maiuscola). Oppure si respira quel vacuo revisionismo postmoderno per cui tutto va sullo stesso piano, senza giudicare e senza separare il mito dalla realtà, l’esame critico dal negazionismo spinto (di come evitare entrambi i rischi se ne parlava a queste coordinate).
Sia chiaro, sto esagerando a fini illustrativi. Ci sono stati, e ci sono tuttora, professori e ricercatori che remano faticosamente contro queste nefaste correnti. Ma è per dare l’idea. E l’idea che vorrei dare è che in quelle blasonate aule ci vuole davvero poco per scivolare dal prestigioso passato disciplinare al “ce le cantiamo e ce le suoniamo!”, per giungere al meschino e opportunistico “siam meglio noi!”, un po’ come se la storia umana fosse tutt’altro rispetto alla scienza, e i metodi completamente differenti rispetto ai processi scientifici e a quelli preposti all’indagine del mondo biologico. Chi prova a cambiare le regole del gioco portando un po’ di scienza dentro la cittadella umanistica paga con l’ostracismo, come capitato purtroppo al talentuoso Jonathan Gottschall [2]. E se controvoglia la si deve proprio citare, questa strana e dannata bestia “rossa di zanne ed artigli”, o è qualcosa d’altro, che non ci compete in quanto storici, o è qualcosa da etichettare apotropaicamente, identificare, stigmatizzare e scacciare via lontano, a male parole e senza pietà. Ignorando tuttavia che esiste un’intera sequenza di discipline storiche nella scienza (paleontologia, paleoclimatologia, epidemiologia, biologia evoluzionistica, geologia storica, cosmologia, ecc.) le quali condividono con la storia umana e con i metodi storiografici molto più di quanto gli storici tradizionali non credano [3]. Gli aficionados del blog non hanno certo bisogno di bignami sulla questione.
Per tagliar la testa al toro, non ci sono giri di parole adeguati per descrivere una situazione che è – diciamolo pure – disperata.
Sia chiaro, sto esagerando a fini illustrativi. Ci sono stati, e ci sono tuttora, professori e ricercatori che remano faticosamente contro queste nefaste correnti. Ma è per dare l’idea. E l’idea che vorrei dare è che in quelle blasonate aule ci vuole davvero poco per scivolare dal prestigioso passato disciplinare al “ce le cantiamo e ce le suoniamo!”, per giungere al meschino e opportunistico “siam meglio noi!”, un po’ come se la storia umana fosse tutt’altro rispetto alla scienza, e i metodi completamente differenti rispetto ai processi scientifici e a quelli preposti all’indagine del mondo biologico. Chi prova a cambiare le regole del gioco portando un po’ di scienza dentro la cittadella umanistica paga con l’ostracismo, come capitato purtroppo al talentuoso Jonathan Gottschall [2]. E se controvoglia la si deve proprio citare, questa strana e dannata bestia “rossa di zanne ed artigli”, o è qualcosa d’altro, che non ci compete in quanto storici, o è qualcosa da etichettare apotropaicamente, identificare, stigmatizzare e scacciare via lontano, a male parole e senza pietà. Ignorando tuttavia che esiste un’intera sequenza di discipline storiche nella scienza (paleontologia, paleoclimatologia, epidemiologia, biologia evoluzionistica, geologia storica, cosmologia, ecc.) le quali condividono con la storia umana e con i metodi storiografici molto più di quanto gli storici tradizionali non credano [3]. Gli aficionados del blog non hanno certo bisogno di bignami sulla questione.
Per tagliar la testa al toro, non ci sono giri di parole adeguati per descrivere una situazione che è – diciamolo pure – disperata.
Quando tutto sta discorsivamente sullo stesso piano, quando non troviamo più un’adeguata epistemologia a guidare la ricerca storiografica, quando il mondo umanistico dichiara la secessione rispetto alla scienza, allora i libri di testo diventano un po’ così. Nel cinema e nello storytelling funziona alla grande, ma nello studio del passato assolutamente no. Immagine: fonte. © degli aventi diritto. |
L’ignoranza è forza: il perpetuo 1984
Ma che cosa potrà mai succedere senza questi insegnamenti, direte voi? Quale mai sarà il danno, se di danno si tratta? Presto detto. Qui devo necessariamente superare la mia usuale reticenza. Direi che un paio di esempi tratti dalle vicissitudini personali e provenienti dal confronto con le due parti della barricata istituzione/studenti possono bastare.
Ma che cosa potrà mai succedere senza questi insegnamenti, direte voi? Quale mai sarà il danno, se di danno si tratta? Presto detto. Qui devo necessariamente superare la mia usuale reticenza. Direi che un paio di esempi tratti dalle vicissitudini personali e provenienti dal confronto con le due parti della barricata istituzione/studenti possono bastare.
Esempio A)
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana (ma nemmeno poi tanto)… Interno giorno. Un tavolo in un bar del centro. Piano americano. Si parla del più e del meno durante un pranzo con colleghi dottorandi. Ad un certo punto si finisce a discutere della mia relazione di quella mattina, nella quale avevo introdotto un paio di argomenti di scienze cognitive di probabile utilità per le discipline storiografiche. Un nuovo dottorando di mezza età, con fare aggressivo, alza il tono di voce e mi zittisce a forza, coprendomi con il suo poderoso volume: per lui la mente è qualcosa di assolutamente altro rispetto al cervello; lo hanno detto anche gli scienziati che lui ha letto (“Quali?” domando; “Non ricordo, ma erano noti, eh!”, risponde piccato lui).
Scuote vigorosamente il capo quando spiego evoluzione, adattamento, maladattamento e vincoli vari, si trattiene a stento quando cerco di argomentare le risposte che lui stesso impetra freneticamente (“Contingenza? Ma calma, eh, che è una categoria filosofica da maneggiare con cautela...!”), ed esplode rabbiosamente (con tanto di mano tremante) quando rifiuto la “discontinuità tra uomo e animali” e azzardo il tema della “moralità” che precede la religione già nei nostri parenti filogenetici più prossimi. Argomenti per lui inconcepibili. Ma solo al suo grido de “La scienza non è, e non ha, l’assoluto!” riesco a comprendere l’arcano. Scopro difatti che è un teologo che ha già insegnato presso la locale Facoltà Teologica. QED. Con buona pace dei fallimentari NOMA gouldiani, i valori identitari teologici restano non negoziabili, impermeabili, onnicomprensivi e fagocitanti persino in un ambito quale dovrebbe essere l’università pubblica, laica e democratica. La cosa più buffa è che i colleghi commensali fanno fronte comune, chi più chi meno, e si sentono in dovere di difendere lo storico in pectore tirando in ballo le solite apologie umanistiche, dal classico spauracchio della scienza riduzionista (come sempre confuso con l’eliminativismo) [4], al più articolato “la scienza non spiega le culture, che restano molto di più della biologia!”, al peana postmodernista (per cui io avrei anche ragione, ma ha comunque ragione anche l’interlocutore), cercando di sigillare il confronto con sofisticati quanto vacui discorsi di logica spiccia. Tantum religio…
Esempio B)Qualche tempo prima, durante un vivace colloquio con un membro dell’ex Dipartimento di Storia ebbi modo di sentire che la scienza è “ideologica” e “dogmatica”, con tanto di citazione provvidenziale dei celebri lavori di Paul Feyerabend intitolati Addio alla ragione e Contro il metodo [5]. Purtroppo, la citazione aveva una mera funzione antiscientifica, stravolgendo il senso della provocazione feyerabendiana e usandola come puntello dimostrativo per una sorta di lezione (pseudo)epistemologica riguardo allo smascheramento filosofico dell’aggressiva e fallace ragione “scientista” e “positivista”, un po’ sulla falsariga dell’attacco al relativismo all’epoca in voga in certi ambienti religiosi nostrani. Mi permetto di dire “stravolgendo” perché l’anarchico filosofo della scienza aveva anteposto al suo secondo testo citato queste eloquenti parole: «Il lettore dovrebbe ricordare sempre che le dimostrazioni e la retorica usate non esprimono alcuna mia “profonda convinzione”. Esse si propongono solo di dimostrare quanto sia facile menare per il naso la gente in un modo razionale» [6]! Lasciando da parte il Newspeak e il doublethink orwelliani di chi usa ingenuamente la filosofia della scienza per dimostrare che la scienza non funziona bene senza un richiamo al trascendente (ne riparleremo nei prossimi post), e mettendo per ora in un cantuccio i danni provocati dall’anything goes feyerabendiano (un po’ come il Derrida di il n’y a pas de hors-texte [7]), occorre difatti considerare che l’opera di Feyerabend era stata originariamente pensata per accompagnare una sezione a favore del metodo firmata da Imre Lakatos…
Lakatos! Chi era costui?
Introduzione alla metodologia dei programmi di ricerca scientifici
Premessa doverosa: non esistono bacchette magiche per cambiare la situazione hic et nunc. Nossignore. Occorre invece investire a lungo termine nell’educazione scientifica delle nuove generazioni. Ed eccoci tornare, dopo il necessario quanto inascoltato pistolotto, al presente post, che nasce con una missione ben precisa: tappare questi dannati buchi epistemologici, cucire una toppa ontologica dopo gli strappi fideistici e postmodernisti e presentare la metodologia dei programmi di ricerca scientifici così come venne proposta dal filosofo della scienza Imre Lakatos. Questo come primo paletto per ricostruire quel legame tra le due culture disgregato irreparabilmente dagli agenti politici in ambito decisionale, dai letterati del passato recente, e dai media nell’ambito quotidiano.
Mettiamocelo nella zucca, una buona volta per tutte: è solo grazie a simili strumenti metodo-epistemologici che si può separare il grano dalla pula anche (e soprattutto) nella ricerca storiografica, ed evitare così di cedere ai suadenti negazionismi storiografici di varia natura e di essere abbindolati dalle pseudoscienze che dilagano nell’accademia e nella vita di tutti i giorni, dall’antivaccinismo alle medicine alternative, dal terrore per gli OGM alle pericolose mode dietetiche, dall’omeopatia al negazionismo del riscaldamento globale, dai cospirazionismi alle scie chimiche, dalla sindonologia alle teorie di Zacharias Sitchin, ecc. (tema sul quale avremo modo di riflettere più avanti).
Esigere la giustificazione epistemica e il supporto empirico onde valutare l’attendibilità di una ricostruzione storiografica, con un lessico scientifico adeguato, deve diventare il pane quotidiano dei ricercatori. Lo facciamo già, noteranno schifati i più. Non credo proprio, rispondo io. Basti aprire certi imbarazzanti lavori storiografici con i loro rimandi a spiegazioni pseudoscientifiche e la loro folk psychology in bella mostra.
Oggi, tre decenni dopo che il filosofo Larry Laudan aveva decretato l’inutilità della demarcazione popperiana tra scienza e pseudoscienza e, non pago, dopo aver gettato nel cestino l’etichetta stessa di pseudoscienza perché ritenuta denigratoria, c’è un nuovo fermento negli studi filosofici sulla questione [8]. Direi che per quanto riguarda la questione cognitiva c’è ben poco da aggiungere dopo il mega-riassunto dedicato all’ultimo libro di Robert N. McCauley (al quale rimando per chi volesse compredere i bias cognitivi e le fallacie logiche messe in campo dal mio interlocutore di cui al precedente esempio A).
Vorre invece spendere due parole per aggiornare il quadro epistemologico.
Con la sua metodologia dei programmi di ricerca scientifici, Lakatos voleva ampliare e migliorare il progetto popperiano di demarcazione tra scienza e pseudoscienza, cercando di andare oltre i vincoli di un certo falsificazionismo, senza peraltro rifiutarlo, e rimettendo al centro dell’indagine epistemologica la storiografia e lo sviluppo sociale della scienza.
Mettiamocelo nella zucca, una buona volta per tutte: è solo grazie a simili strumenti metodo-epistemologici che si può separare il grano dalla pula anche (e soprattutto) nella ricerca storiografica, ed evitare così di cedere ai suadenti negazionismi storiografici di varia natura e di essere abbindolati dalle pseudoscienze che dilagano nell’accademia e nella vita di tutti i giorni, dall’antivaccinismo alle medicine alternative, dal terrore per gli OGM alle pericolose mode dietetiche, dall’omeopatia al negazionismo del riscaldamento globale, dai cospirazionismi alle scie chimiche, dalla sindonologia alle teorie di Zacharias Sitchin, ecc. (tema sul quale avremo modo di riflettere più avanti).
Esigere la giustificazione epistemica e il supporto empirico onde valutare l’attendibilità di una ricostruzione storiografica, con un lessico scientifico adeguato, deve diventare il pane quotidiano dei ricercatori. Lo facciamo già, noteranno schifati i più. Non credo proprio, rispondo io. Basti aprire certi imbarazzanti lavori storiografici con i loro rimandi a spiegazioni pseudoscientifiche e la loro folk psychology in bella mostra.
Oggi, tre decenni dopo che il filosofo Larry Laudan aveva decretato l’inutilità della demarcazione popperiana tra scienza e pseudoscienza e, non pago, dopo aver gettato nel cestino l’etichetta stessa di pseudoscienza perché ritenuta denigratoria, c’è un nuovo fermento negli studi filosofici sulla questione [8]. Direi che per quanto riguarda la questione cognitiva c’è ben poco da aggiungere dopo il mega-riassunto dedicato all’ultimo libro di Robert N. McCauley (al quale rimando per chi volesse compredere i bias cognitivi e le fallacie logiche messe in campo dal mio interlocutore di cui al precedente esempio A).
Vorre invece spendere due parole per aggiornare il quadro epistemologico.
Con la sua metodologia dei programmi di ricerca scientifici, Lakatos voleva ampliare e migliorare il progetto popperiano di demarcazione tra scienza e pseudoscienza, cercando di andare oltre i vincoli di un certo falsificazionismo, senza peraltro rifiutarlo, e rimettendo al centro dell’indagine epistemologica la storiografia e lo sviluppo sociale della scienza.
scheda #1. opera dell’autore (CC-BY-NC-ND 3.0) |
In particolare, un programma di ricerca è costituito da un nucleo centrale (hard core) non falsificabile e assunto come promettente base di partenza teorica per ulteriori approfondimenti. Il modus tollens viene invece rivolto contro la cintura protettiva del programma (protective belt), costituita da ipotesi ausiliarie in crescita e continuamente sottoposte a miglioramenti, modifiche, cambiamenti anche radicali a seguito dei tentativi di analisi critica e di falsificazione.
Un programma di ricerca è detto progressivo nella misura in cui permette di predire o spiegare fatti nuovi con evidente successo empirico, quando cioè accetta le falsificazioni e le modifiche strutturali anche radicali suggerite dal confronto serrato con altri programmi di ricerca competitori.
Viene invece detto regressivo o in stagnazione «fin quando si limita a dare spiegazioni post hoc di scoperte casuali o di fatti anticipati, e scoperti, nell’ambito di un programma rivale» [9]. Se le falsificazioni vengono accantonate adducendo giustificazioni extra-epistemiche, se l’influenza dei fattori esterni (ad es., socio-politici o mode culturali) aumenta, se la sovrabbondanza di spiegazioni metodologiche ad hoc e di mere reinterpretazioni semantiche dei fatti offusca la scarsa tenuta epistemica del nucleo centrale attorno al quale queste spiegazioni sono cresciute, allora il programma di ricerca si avvia verso la degenerazione epistemica.
Un programma di ricerca è detto progressivo nella misura in cui permette di predire o spiegare fatti nuovi con evidente successo empirico, quando cioè accetta le falsificazioni e le modifiche strutturali anche radicali suggerite dal confronto serrato con altri programmi di ricerca competitori.
scheda #2. opera dell’autore (CC-BY-NC-ND 3.0). |
Descrivendo il modello atomico di Niels Bohr, Lakatos ha scritto che
«[…] la temerarietà nel proporre sfrenate incoerenze non pagava più. Il programma restava indietro rispetto alla scoperta dei ‘fatti’. Le anomalie non assimilate impantanavano il campo. Con incoerenze sempre più sterili e ipotesi sempre più ad hoc era incominciata la fase regressiva del programma: esso iniziò – per usare una delle frasi preferite di Popper – a ‘perdere il suo carattere empirico’» [10].
Quando il nucleo duro del progetto di ricerca non produce più spiegazioni epistemicamente adeguate per descrivere nuovi fatti, questo dovrebbe essere abbandonato e sostituito dal programma di ricerca competitore capace di spiegare con sufficiente giustificazione epistemica tutto ciò che era spiegato dal precedente più i fatti nuovi e le eventuali anomalie. Al contrario, la continua, ostinata negazione di palesi falsificazioni che minano la tenuta metodo-epistemologica del programma di ricerca, il proliferare di spiegazioni ad hoc, e la mancanza di potere predittivo sono gli elementi caratteristici – o i campanelli di allarme, se vogliamo – che segnalano lo scivolamento regressivo del programma di ricerca verso la pseudoscienza.
Ora, la metodologia dei programmi di ricerca scientifici rappresenta di fatto il tentativo di tollerare programmi potenzialmente bizzarri a breve termine, e di rendere conto sulla lunga durata della loro tenuta epistemica e dei risultati raggiunti. In effetti, la resistenza al falsificazionismo è un motore naturale per irrobustire la cintura protettiva e, a patto di essere condotta sotto la tutela di un modello di controverifica rigorosamente scientifico, può anche rivelarsi una strategia vincente per accumulare controprove sufficientemente robuste dal punto di vista epistemologico all’interno della serrata competizione nella ricerca scientifica.
Come sottolinea Lakatos stesso, «quando una scuola scientifica degenera in pseudoscienza, può valere la pena di imporre un dibattito metodologico nella speranza che gli scienziati militanti imparino da esso più di quanto non facciano i filosofi» [11]. Quando nulla può essere fatto per salvare la tenuta del nucleo di ricerca privato della sua cintura protettiva ormai falsificata, e in balia di un «oceano di anomalie» [12] rimaste inspiegate, l’abbandono del programma di ricerca in fase stagnante o regressiva resta di fatto deontologicamente e razionalmente l’unica soluzione possibile. In altri termini, il programma di ricerca regressivo diventa un filo di impaccio all’interno della rete epistemologica del sapere umano e che, non essendo più sostenuto dalla validità teorica e dal sostegno empirico, può essere reciso [13].
Come sottolinea Lakatos stesso, «quando una scuola scientifica degenera in pseudoscienza, può valere la pena di imporre un dibattito metodologico nella speranza che gli scienziati militanti imparino da esso più di quanto non facciano i filosofi» [11]. Quando nulla può essere fatto per salvare la tenuta del nucleo di ricerca privato della sua cintura protettiva ormai falsificata, e in balia di un «oceano di anomalie» [12] rimaste inspiegate, l’abbandono del programma di ricerca in fase stagnante o regressiva resta di fatto deontologicamente e razionalmente l’unica soluzione possibile. In altri termini, il programma di ricerca regressivo diventa un filo di impaccio all’interno della rete epistemologica del sapere umano e che, non essendo più sostenuto dalla validità teorica e dal sostegno empirico, può essere reciso [13].
Un esempio di programma di ricerca progressivo, coronato da successo, è la teoria darwiniana dell’evoluzione, comprovata al di là di ogni ragionevole dubbio. La teoria dell’evoluzione ha mantenuto al suo interno e relativamente intatto il nucleo duro della formulazione originaria, sottoposto però ad un processo di estensione e controverifica «attraverso un continuo aggiornamento teorico e sperimentale […]» a partire dalla sintesi neodarwiniana [14]. Nel contempo, la teoria dell’evoluzione si è vista sostituire una parte significativa della cintura protettiva di partenza, che si è aperta alla pluralità multicausale di fattori interagenti nel tempo profondo del pianeta Terra, e che oggi comprende biologia evoluzionistica dello sviluppo, epigenetica, tassi di speciazione differenti, molteplici unità di selezione, costruzione della nicchia ecologica da parte degli organismi, ecc.
Al contrario, solo per fare due esempi in voga tra le aule di Lettere e Filosofia e in quelle di Storia (ricordate la maiuscola?), la psicoanalisi freudiana (e tutte le branche “eretiche” che essa ha generato ed egualmente fondate sul culto del fondatore, compresi Ferenczi e Jung), e la metodologia di ricerca storico-religiosa di marca fenomenologico-ermeneutica (ossia quella che si consolida con Rudolf Otto e Gerardus van der Leeuw) mostrano i segni inequivocabili di una degenerazione regressiva del programma di ricerca [15].
Come previsto dal modello lakatosiano, la valutazione di un programma di ricerca prevede tempi lunghi e tolleranza nell’attesa dell’accumulo di controprove e falsificazioni.
E allora, possiamo domandarci, a che punto siamo oggi per quanto riguarda le discipline appena citate? E soprattutto, quali sono i bias cognitivi impliciti e le fallacie logiche che vengono sfruttati, più o meno consciamente, da chi decide di arroccarsi nella difesa ad oltranza del proprio programma di ricerca? [CONTINUA…]
Al contrario, solo per fare due esempi in voga tra le aule di Lettere e Filosofia e in quelle di Storia (ricordate la maiuscola?), la psicoanalisi freudiana (e tutte le branche “eretiche” che essa ha generato ed egualmente fondate sul culto del fondatore, compresi Ferenczi e Jung), e la metodologia di ricerca storico-religiosa di marca fenomenologico-ermeneutica (ossia quella che si consolida con Rudolf Otto e Gerardus van der Leeuw) mostrano i segni inequivocabili di una degenerazione regressiva del programma di ricerca [15].
Come previsto dal modello lakatosiano, la valutazione di un programma di ricerca prevede tempi lunghi e tolleranza nell’attesa dell’accumulo di controprove e falsificazioni.
E allora, possiamo domandarci, a che punto siamo oggi per quanto riguarda le discipline appena citate? E soprattutto, quali sono i bias cognitivi impliciti e le fallacie logiche che vengono sfruttati, più o meno consciamente, da chi decide di arroccarsi nella difesa ad oltranza del proprio programma di ricerca? [CONTINUA…]
[1] Momigliano, A. (1954). A Hundred Years After Ranke Diogenes, 2 (7), 52-58 DOI: 10.1177/039219215400200704; ristampato nel 1979 in Primo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, 367-373; p. 372. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura.
[2] Wescott, D. (2015). “Survival of the Fittest in the English Department: Jonathan Gottschall tried to save literary studies. Instead he ruined his career”. The Chronicle of Higher Education, May 1. Accessed 15 December. http://chronicle.com/article/Jonathan-Gottschalls-Fighting/229763/.
[3] Cleland, C.E., & Brindell, S. (2013). Science and the Messy, Uncontrollable World of Nature. Pigliucci, M. & Boudry, M. (eds.). Philosophy of Pseudoscience: Reconsidering the Demarcation Problem. Chicago and London: The University of Chicago Press, 183-202 DOI: 10.7208/chicago/9780226051826.003.0011.
[4] McCauley, R.N. (2013). “Explanatory Pluralism and the Cognitive Science of Religion: Why Scholars in Religious Studies Should Stop Worrying about Reductionism”. In Mental Culture: Classical Social Theory and the Cognitive Science of Religion, edited by Xygalatas, D. & W.W. McCorkle Jr, 1-10. Durham - Bristol, CT: Acumen.
[2] Wescott, D. (2015). “Survival of the Fittest in the English Department: Jonathan Gottschall tried to save literary studies. Instead he ruined his career”. The Chronicle of Higher Education, May 1. Accessed 15 December. http://chronicle.com/article/Jonathan-Gottschalls-Fighting/229763/.
[3] Cleland, C.E., & Brindell, S. (2013). Science and the Messy, Uncontrollable World of Nature. Pigliucci, M. & Boudry, M. (eds.). Philosophy of Pseudoscience: Reconsidering the Demarcation Problem. Chicago and London: The University of Chicago Press, 183-202 DOI: 10.7208/chicago/9780226051826.003.0011.
[4] McCauley, R.N. (2013). “Explanatory Pluralism and the Cognitive Science of Religion: Why Scholars in Religious Studies Should Stop Worrying about Reductionism”. In Mental Culture: Classical Social Theory and the Cognitive Science of Religion, edited by Xygalatas, D. & W.W. McCorkle Jr, 1-10. Durham - Bristol, CT: Acumen.
[5] Feyerabend, P. (1979 [1975]). Contro il metodo: Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, trad. di Libero Sosio, Feltrinelli, Milano: Feltrinelli (pubbl. orig. come Against Method: Outline of an Anarchistic Theory of Knowledge, New Left Books: London and Humanities Press: Atlantic Highlands (NJ), 1975); id. (1990 [1987]). Addio alla Ragione, trad. di Marcello De Agostino. Roma: Armando (pubbl. orig. come A Farewell to Reason. London and NewYork: Verso).
[6] Feyerabend, Contro il metodo, cit., p. 29.
[7] Derrida, J. (1969 [1967]). Della grammatologia. Milano: Jaca Book, 219-220. Jaca Book, Milano. Ristampato nel 1998 (pubbl. orig. come De la grammatologie. Paris: Minuit). Si veda anche la successive correzione successivo, ma altrettanto complicata, second cui «nulla esiste fuori dal contesto», in id. (1997). Limited Inc., Raffaello Cortina Editore, Milano, 203 (ed. orig. Limited Inc., Northwestern University Press, Evanston 1988). Per contestualizzazione e commento cfr. Ferraris, M. (2006). “Il filosofo-figlio”. In id. (2006). Jackie Derrida. Ritratto a memoria. Torino: Bollati Boringhieri, 41-61 (art. pubbl. orig. «in aut-aut. Rivista di filosofia e di cultura» 237, luglio-settembre 2005, pp. 55-67).
[8] Pigliucci & Boudry, Philosophy of Pseudoscience, cit.
[9] Lakatos, I. (1970). History of Science and Its Rational Reconstructions. Boston Studies in the Philosophy of Science, PSA: Proceedings of the Biennial Meeting of the Philosophy of Science Association, 8, 91-136 DOI: 10.1007/978-94-010-3142-4_7; cit. da id. (1996 [1989]). La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali. In La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, a cura di Matteo Motterlini, trad. di Marcello D’Agostino, 135-179; p. 144. Milano: il Saggiatore (orig. raccolto in The Methodology of Scientific Research Programmes. Philosophical Papers. Volume I, edited by John Worrall and Gregory Currie, 102-138. Cambridge: Cambridge University Press 1978, 1989).
[10] Lakatos. I. (1970). Falsification and the Methodology of Scientific Research Programmes. Lakatos, I. & A. Musgrave (eds.). Criticism and the Growth of Knowledge. Cambridge: Cambridge University Press , 91-196 DOI: 10.1017/CBO9781139171434.009; cit. da id. (1996 [1989]). La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca. In La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, a cura di Matteo Motterlini, trad. di Marcello D’Agostino, 19-134; p. 76 (orig. raccolto in The Methodology of Scientific Research Programmes. Philosophical Papers. Volume I, edited by John Worrall and Gregory Currie, 8-101. Cambridge: Cambridge University Press, 1978, 1989). In merito all’opinione di Lakatos sul programma di ricerca istituito da Bohr si veda però Kragh, H. (2012). “Appendix: The Philosophers’ Atom”. In Niels Bohr and the Quantum Atom: The Bohr Model of Atomic Structure 1913-1925, 364-370. Oxford University Press, Oxford and New York.
[11] Lakatos, La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali, cit., p. 167.
[12] Lakatos, La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali, cit., p. 163.
[13] Pigliucci, M. (2013). The Demarcation Problem: A (Belated) Response to Laudan. Pigliucci, M. & Boudry, M. (eds.). Philosophy of Pseudoscience: Reconsidering the Demarcation Problem. Chicago and London: The University of Chicago Press, 2013, 9-28 DOI: 10.7208/chicago/9780226051826.003.0002
[14] Pievani, T. (2011). An Evolving Research Programme: The Structure of Evolutionary Theory from a Lakatosian Perspective. Fasolo, A. (ed.). The Theory of Evolution and Its Impact. Milan: Springer-Verlag. , 211-228 DOI: 10.1007/978-88-470-1974-4_14
[15] Cfr. rispettivamente Orbecchi, M. (2015). Biologia dell’anima. Teoria dell’evoluzione e psicoterapia. Torino: Bollati Boringhieri; Martin, L., & Wiebe, D. (2012). Religious Studies as a Scientific Discipline: The Persistence of a Delusion. Journal of the American Academy of Religion, 80 (3), 587-597 DOI: 10.1093/jaarel/lfs030 (pubblicato anche in Religio: revue pro religionistiku (20) 1: 9-18. Article Stable URL: http://hdl.handle.net/11222.digilib/125392).
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