venerdì 16 agosto 2013

Che cos'è la geomitologia? Breve storia bibliografica di una disciplina al femminile

Come ha scritto Paolo Rossi (1923-2012), «La natura stessa ha una storia e le “conchiglie” sono alcuni fra i documenti di questa storia» [1]. Immagine: Becks, da Wikipedia.
«Sebbene afflitta durante tutta la sua carriera da reumatismo cardiaco, Helen [Duncan] intraprese un'esplorazione sulle [Montagne] Rocciose e nel Bacino Grande, e avendo trovato (quando si sedette per fare una pausa che era per lei assolutamente indispensabile) dei fossili diagnostici in una formazione fino ad allora considerata priva di fossili, dimostrò senza alcun dubbio quanto folle sia mettere fretta a un paleontologo» [2].
ResearchBlogging.org
Il caso appena ricordato della geologa Helen Duncan (1910-1971) è stato recuperato nel 2009 da Pieranna Garavaso per introdurre i problemi di genere implicitamente o esplicitamente causati dalla limitata partecipazione femminile alle ricerca scientifica del Novecento. Duncan, ad esempio, era riuscita a «fare scoperte là dove altri non hanno visto nulla» [3]. In quale modo? Individuando un pattern scientificamente rilevante là dove gli altri studiosi non avevano rilevato nulla, ribaltando (faticosamente, dato il ritmo del fieldwork) la marginalità epistemica cui glass ceiling e androcentrismo avevano relegato le studiose. Senza entrare nel merito delle argomentazioni offerte da Garavaso, il quadro generale illumina, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia stato dannoso e limitante per la conoscenza scientifica, nonché per le carriere individuali e per la società intera, l'esclusivo sistema di controllo accademico-epistemologico modellato dalla competizione maschile (escludendo la partecipazione femminile) e limitato dalla scarsa propensione all'interdisciplinarità. Un esempio forse ancora più significativo viene fornito dalla storia della disciplina nota come geomitologia, ossia lo studio delle conoscenze geologiche presenti nelle tradizioni orali, classiche e folkloriche.


Ora, per rispondere alla domanda che assolve alla funzione di titolo del post è necessario innanzitutto sgombrare il campo dagli equivoci: "che cosa non è la geomitologia" diventa il primo argomento da chiarire. Questa disciplina, infatti, non deve essere confusa con l’uso indipendente e prettamente geografico di questa etichetta per indicare contenuti mitici storicamente falsi o scientificamente falsificati ossia, nelle parole dello scrittore e studioso di letteratura fantastica Lyon Sprague de Camp (1907-2000),
«[…] le deliberate millanterie e menzogne degli eroi al ritorno dai viaggi d’esplorazione, le leggende orripilanti diffuse allo scopo di aumentare il valore delle mercanzie, le difficoltà di descrizione e traduzione, tutto ciò contribuì, nel corso dei secoli, a dare vita a una serie di mondi semi-mitici, situati nelle terre incognite che s’estendevano al di là dell’orizzonte, in una fascia che circondava il mondo conosciuto» [4].
La branca disciplinare che qui ci interessa viene invece anticipata in modo discontinuo da alcune felici intuizioni già tra fine Ottocento e primo Novecento [5], ma nasce ufficialmente solo alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Tornata in auge in tempi recenti, la geomitologia sta vivendo oggi il periodo di sua massima affermazione interdisciplinare. Un riepilogo da un punto di vista biobibliografico può forse contribuire a chiarire ambiti di indagine e prodotti della ricerca geomitologica.
Due personalità sono fondamentali nella storia della disciplina. La più importante è senza dubbio la geologa Dorothy Vitaliano (1916-2008), che rende pubblica la sua idea per la nuova disciplina durante un convegno di geologia tenuto presso la Indiana University l’otto maggio del 1967 (il testo viene pubblicato in forma riveduta l’anno successivo). Il termine indica l’applicazione in campo geologico dell’evemerismo allo scopo di identificare i reali eventi geologici alla base di determinati miti o leggende a prescindere dalla loro origine (sia essa moderna, folklorica, storico-mitologica, religiosa, ecc.) [6]. Nel 1973 Vitaliano pubblica il libro Legends of the Earth: Their Geologic Origins che sancisce la nascita ufficiale del nuovo indirizzo di studio. La geomitologia si inserisce quindi in una serie di materie prettamente interdisciplinari, tra cui geochimica, geofisica, geomorfologia, geoidrologia, geocronologia e geopolitica,
«coinvolge[ndo] geologia, storia, archeologia e folklore – in altre parole le scienze naturali, le scienze sociali e le discipline umanistiche. Perciò la geomitologia rappresenta senza dubbio la scienza della Terra maggiormente interdisciplinare tra tutte quelle elencate» [7].
Per una trentina d’anni il discorso accademico intorno alla geomitologia non registra contributi significativi, forse anche a causa del potenziale fraintendimento che si celerebbe nei temi trattati inizialmente dalla disciplina, considerati meramente letterari o addirittura esotericamente pseudoreligiosi, come l’identificazione di Atlantide nel Mar Egeo in connessione con un’eruzione vulcanica avvenuta a Santorini durante l’età del bronzo [8].

Il rilancio della disciplina avviene nel 2000 ad opera della classicista, foklorista e storica della scienza Adrienne Mayor (Stanford University) che con il suo The First Fossil Hunters: Paleontology in Greek and Roman Times corona un lavoro cominciato all’inizio degli anni Novanta. Rispetto all’originaria proposta di Vitaliano, maggiormente incentrata sugli eventi geologici e sui disastri naturali, il testo di Mayor sposta l’accento sui resti fossili e sulle dinamiche interpretative che hanno portato la cultura greco-romana e altre civiltà del mondo antico (figurano nel testo citato quella scitica e quella indiana) ad una comprensione del tempo profondo, all’interpretazione e ricostruzione dei resti fossili e ai processi geologici che hanno permesso la conservazione dei reperti [9]. Cinque anni più tardi Mayor dà alle stampe un volume volto allo studio dei sistemi di comprensione prescientifica della storia naturale nel mondo culturale nativo americano, e all’esame del ruolo e dell’uso dei fossili nelle cosmologie e nelle pratiche rituali delle religioni native del continente americano [10]. Nello stesso anno la studiosa sintetizza così l’ambito di studio della disciplina: la geomitologia è
«lo studio delle tradizioni orali eziologiche create dalle culture pre-scientifiche per spiegare – in metafore poetiche e attraverso il linguaggio immaginifico della mitologia – fenomeni geologici quali vulcani, terremoti, esondazioni, fossili e altre caratteristiche naturali dell’ambiente» [11]. 
Autrice di moltissimi articoli sull’argomento, Mayor ha dimostrato efficacemente come la figura mitologica del grifone fosse modellata sui resti fossili del dinosauro Protoceratops andrewsi, assai comuni nel territorio centro-asiatico [12], ha riproposto interpretazioni geomitologiche (ossia, basate sull’interpretazione di fossili) per i giganti dell’antichità classica e per le faune descritte nelle mitologie antiche [13], si è occupata del folklore religioso sorto intorno alle icnofaune fossili (le impronte fossili di animali estinti)  [14], ha stilato repertori ed analisi delle informazioni codificate nella religione e nel folklore locale nella civiltà classica greco-romana [15], e ha esaminato la radicale cancellazione delle conoscenze geologiche e paleontologiche dei Nativi americani da parte dei coloni europei, in un’epoca durante la quale gli stessi europei mettevano in dubbio con maggiore frequenza le spiegazioni naturalistiche bibliche (e con altrettanta forza uguale e contraria tentavano di mantenere lo status quo della teologia naturale) [16]. Un altro aspetto che Mayor ha indagato è legato all’uso delle conoscenze prescientifiche a scopi mantici o bellici nel mondo antico e moderno [17], filone nel quale può trovare posto l’ultima ricerca su Mitridate Eupatore, intitolata Il re veleno, che rappresenta anche il suo debutto nel panorama editoriale italiano [18].

Nel 2011 la stessa Mayor ha fornito una eccellente disamina aggiornata della ricerca in campo geomitologico nel decennio 2000-2010, proponendo una rassegna ragionata nella prefazione della nuova edizione di The First Fossil Hunters [19]. Nel primo decennio del nuovo millennio vedono la luce molti interessanti studi che contribuiscono ad allargare la gamma di possibilità offerte dalla disciplina. Tra questi ci limitiamo a ricordare alcuni risultati particolarmente rilevanti. Andrea Baucon ha illuminato la nascita del pensiero occidentale moderno in merito al rapporto tra tempo profondo e fossili, occupandosi di Ulisse Aldrovandi e Leonardo da Vinci, precursori del pensiero paleontologico e acuti interpreti della nascente icnologia, ossia lo studio delle tracce fossili lasciate da organismi viventi o estinti [20]. Alexandra van der Geer e Michael Dermitzakis hanno delineato una sintetica storia dell’uso dei fossili nelle culture folkloriche e religiose a scopi medico-curativi (un tema che già Mayor aveva tracciato nel suo Fossil Legends of the First American); gli stessi autori, insieme a John de Vos, hanno dimostrato che le guerre epiche narrate nel poema indiano Mahâbhârata hanno probabilmente avuto origine dall'osservazione dei sedimenti plio-pleistocenici della catena montuosa sub-himalayana del Siwalik, ricchissimi di fossili di mammiferi e di manufatti umani provenienti da livelli più recenti [21]. Un gruppo di ricerca, che contava tra i membri Mayor, ha recentemente illustrato la storia dettagliata del folklore cinese, talvolta ancora vivo al giorno d’oggi, sorto intorno alle impronte fossili di dinosauri [22]. Ancora, un interessante volume italiano nel quale una leggenda medievale trentina relativa alla presenza di un basilisco viene legata alla probabile interpretazione folklorica locale delle impronte di dinosauri e arcosauri triassici [23]. Da ultimo, segnaliamo la recente e imponente "storia delle idee nell'icnologia" condotta un team internazionale, tra le cui file si annovera la presenza di Andrea Baucon e di Adrienne Mayor, pubblicata nel 2012 [24].

[1]  Paolo Rossi, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano 2003, p. 23 (1979 1a ed.).
[2] R.H. Fowler e J.M. Beardan, Memorial to Helen Duncan 1910-1971, GSA Memorials, 5 , 1977, cit. in M.W. Rossiter, Women Scientists in America: Before Affirmative Action 1940-1972, John Hopkins University Press, Baltimore 1995, p. 491 nota n. 36 (trad. da Pieranna Garavaso, Scienza, in Nicla Vassallo, Donna m'apparve, Codice edizioni, Torino 2009, pp. 117-130; p. 127)
[3] P. Garavaso, Scienza, cit., p. 127.
[4] Cfr. L. Sprague de Camp, Geomythology, in «Nature» 362, 6421 (15 April 1993), pp. 665-666, ove si fa riferimento a Id. - W. Ley, Le terre leggendarie, Bompiani, Milano 1962 (ed. or. Lands Beyond, Rinehart & Company, New York 1954), da cui la cit. (ivi, p. 7).
[5] Cfr. ad es. B. Kendall Emerson, Geological Myths, in «Science» 4,89 (September, 11, 1896), pp. 328-344; E.M. Kindle, American Indian Fossil Discoveries of Vertebrate Fossils, in «Journal of Paleontology» 9,5 (1935), pp. 449-452. Per approfondimenti storiografici cfr. Mayor, The First Fossil Hunters: Paleontology in Greek and Roman Times, Princeton University Press, Princeton - Oxford 2000; Ead., Fossil Legends of the First Americans, Princeton University Press, Princeton - Oxford 2005.
[6] D. Vitaliano, Geomythology: The Impact of Geologic Events on History and Legend, With Special Reference To Atlantis, in «Journal of the Folklore Institute (Indiana University)» 5 (1968), pp. 5-30.
[7] Ead., Legends of the Earth: Their Geologic Origins, Indiana University Press,Bloomington - London, 1973, p. 3.
[8] C. Clendenon, Hydromythology and the Ancient Greek World: An Earth Science Perspective Emphasizing Karst Hydrology, Fineline Science Press, Lansing 2009, p. 7.
[9] Mayor, The First Fossil Hunters, cit.
[10] Ead., Fossil Legends of the First Americans, cit.
[11] Ead., Geomythology, in R.C. Selley - L.R.M. Cocks - I.R. Plimer (eds.), Encyclopedia of Geology, vol. III, Elsevier Academic Press, Oxford 2005, pp. 96-100: 96.
[12] Ead., Griffin Bones: Ancient Folklore and Paleontology, in «Cryptozoology» 10 (1991), pp. 16-41; Ead. - M. Heaney, Griffins and Arimaspeans, in «Folklore» 104, 1-2 (1993), pp. 40-66. Uno dei primi resoconti della proposta di Mayor nell’ambito storico-religioso e antropologico italiano è reperibile in C. Deaglio, Considerazioni su alcune raffigurazioni di animali presso antiche civiltà: realtà o fantasia?, in A. Bongioanni - E. Comba (eds.), Bestie o dei? L’animale nel simbolismo religioso, Ananke, Torino 1996, pp. 201-215.
[13] Cfr. ad es., oltre ai suoi due volumi dedicati all’argomento, A. Mayor, The ‘Monster of Troy’ Vase: The Earliest Artistic Record of a Vertebrate Fossil Discovery?, in «Oxford Journal of Archaeology» 19 (2000), pp. 57-63.
[14] A. Mayor. - W.A.S. Sarjeant, The Folklore of Footprints in Stone: From Classical Antiquity to Present, in «Ichnos» 8,2 (2001), pp. 143-163.
[15] A. Mayor, Bibliography of Classical Folklore Scholarship: Myths, Legends, and Popular Beliefs of Ancient Greece and Rome, in «Folklore» 111 (2000), pp. 123-183; Ead. - N. Solounias, Ancient References to the Fossils in the Land of Pythagoras, in «Earth Sciences History» 23,2 (2004), pp. 183-196.
[16] Ead., Suppression of Indigenous Fossil Knowledge: From Claverack, New York, 1705, to Agate Springs, Nebraska, 2005, in R.R. Proctor - L. Schiebinger (eds.), Agnotology: The Making and Unmaking of Ignorance, Stanford University Press, Stanford 2008, pp. 163-182.
[17] Ead., Mad Honey!, in «Archaeology» (November-December 1995), pp. 32-40; Ead., The Nessus Shirt in the New World: Smallpox Blankets in History and Legend, in «The Journal of American Folklore» 108, 427 (1995), pp. 54-77; M. Maskiell - A. Mayor, Killer Khilats, Part 1: Legends of Poisoned Robes of Honour in India, in «Folklore» 112 (2001), pp. 23-45; Eaed., Killer Khilats, Part 2: Imperial Collecting of Poison Dress Legends in India, in «Folklore» 112 (2001), pp. 163-182; Eaed., Early Modern Legends of Poison Khil’ats in India, in S. Gordon (ed.), Robes of Honour: Khil’at in Pre-Colonial and Colonial India, Oxford University Press, New Delhi-Oxford-New York 2003, pp. 95-124; A. Mayor, Ancient Warfare and Toxicology, in P. Wexler (ed.), Encyclopedia of Toxicology, Elsevier, Oxford, 20052, pp. 117-121; Ead., Greek Fire, Poison Arrows & Scorpion Bombs: Biological and Chemical Warfare in the Ancient World, Overlook Press, New York 2008 (2003, 1a ed.).
[18] Ead., Il re veleno. Vita e leggenda di Mitridate, acerrimo nemico di Roma, Einaudi, Torino 2010 (ed. or. The Poison King: The Life and Legend of Mithradates the Great, Rome’s Deadliest Enemy, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2010).
[19] Ead., The First Fossil Hunters: Dinosaurs, Mammoths, and Myth in Greek and Roman Times. With a New Introduction by the Author, Princeton University Press, Princeton - Oxford 20112. Cfr. in part. Introduction to the 2011 Edition, pp. XIII-XXIII.
[20] A. Baucon, Italy, the Cradle of Ichnology: The Legacy of Aldrovandi and Leonardo, in «Studi Trentini di Scienze Naturali. Acta Geologica» 83 (2008), pp. 15-29; Id., Ulisse Aldrovandi (1522-1605): The Study of Trace Fossils During the Renaissance, in «Ichnos» 16 (2009), pp. 245-256; Id., Leonardo da Vinci, the Founding Father of Ichnology, in «Palaios» 25 (2010), pp. 361-367.
[21] A. van der Geer - M. Dermitzakis, Fossil Medicines From “Snake Eggs” to “Saint’s Bones”; An Overview, in «Calicut Medical Journal» 6,1 (2008), e8. A. van der Geer - M. Dermitzakis - J. De Vos. Fossil Folklore from India: The Siwalik Hills and the Mahâbhârata, in «Folklore» 119,1 (2008), pp. 71-92.
[22] L. Xing et al., The Folklore of Dinosaur Trackways in China: Impact on Paleontology, in «Ichnos» 18,4 (2011), pp. 213-220.
[23] M. Avanzini et al., Le orme dei dinosauri del Castello di San Gottardo a Mezzocorona con cenni alla storia del castello (Collana «La vicinia», 7), Comune di Mezzocorona - Museo Tridentino di Scienze Naturali, Mori 2010.
[24] A. Baucon et al., A History of Ideas in Ichnology, in Knaust, D. & R.G. Bromle (2012). Trace Fossils as Indicators of Sedimentary Environments, Elsevier, Amsterdam-London, pp. 3-43.

[Estratto e modificato dall'art. dell'autore intitolato Tempi profondi. Geomitologia, storia della natura e studio della religione, in SMSR 79 (1/2013) 152-214; ulteriormente modificato il 18 novembre 2014]



Artt. indicizzati in Research Blogging:
de Camp, L. Sprague (1993). Geomythology. Nature, 362 (6421), 665-666 DOI: 10.1038/362665a0 Vitaliano, Dorothy (1968). Geomythology: The Impact of Geologic Events on History and Legend, With Special Reference To Atlantis. Journal of the Folklore Institute (Indiana University) (5), 5-30 DOI: 10.2307/3813842 Mayor, Adrienne (2005). Geomythology. R.C. Selley - L.R.M. Cocks - I.R. Plimer (eds.), Encyclopedia of Geology. Oxford: Elsevier Academic Press, III, 96-100 DOI: 10.1016/B0-12-369396-9/00366-X Mayor, A.- Heaney, M. (1993). Griffins and Arimaspeans. Folklore, 104 (1-2), 40-66 DOI: 10.1080/0015587X.1993.9715853 Mayor, A. (2000). The ‘Monster of Troy’ Vase: The Earliest Artistic Record of a Vertbrate Fossil Discovery? Oxford Journal of Archaeology, 19 (1), 57-63 DOI: 10.1111/1468-0092.00099 Mayor, A. - Sarjeant, W.A.S. (2001). The folklore of footprints in stone: From classical antiquity to the present. Ichnos: An International Journal for Plant and Animal Traces, 8 (2) DOI: 10.1080/10420940109380182 Mayor, A. (2000). Bibliography of Classical Folklore Scholarship: Myths, Legends, and Popular Beliefs of Ancient Greece and Rome. Folklore, 111 (1), 123-138 DOI: 10.1080/001558700360924 Mayor, A. (1995). The Nessus Shirt in the New World: Smallpox Blankets in History and Legend. The Journal of American Folklore, 108 (427), 54-77 DOI: 10.2307/541734 Maskiell, M. - Mayor, A. (2001). Killer Khilats, Part 1: Legends of Poisoned "Robes of Honour" in India. Folklore, 112 (1), 23-45 DOI: 10.1080/00155870120037920 Maskiell, M. - Mayor, A. (2001). Killer Khilats, Part 2: Imperial Collecting of Poison Dress Legends in India. Folklore, 112 (2), 163-182 DOI: 10.1080/00155870120082218 Mayor, A. (2005). Ancient Warfare and Toxicology. Wexler, P. (ed.). Encyclopedia of Toxicology. Oxford: Elsevier, 117-121 DOI: 10.1016/B0-12-369400-0/10012-2 Baucon, A. (2009). Ulisse Aldrovandi (1522–1605): The Study of Trace Fossils During the Renaissance. Ichnos: An International Journal for Plant and Animal Traces, 16 (4), 245-256 DOI: 10.1080/10420940902953205 Baucon, A. (2010). Leonardo da Vinci, the Founding Father of Ichnology. Palaios, 25 (6), 361-367 DOI: 10.2110/palo.2009.p09-049r van der Geer, A. - Dermitzakis, M. - de Vos, J. (2008). Fossil Folklore from India: The Siwalik Hills and the Mahâbhârata. Folklore, 119 (1), 71-92 DOI: 10.1080/00155870701806225 Xing, L., et al. (2011). The Folklore of Dinosaur Trackways in China: Impact on Paleontology. Ichnos: An International Journal for Plant and Animal Traces, 18 (4), 213-220 DOI: 10.1080/10420940.2011.634038 Baucon, A., et al. (2012). A History of Ideas in Ichnology. Knaust, D. & R.G. Bromle. Trace Fossils as Indicators of Sedimentary Environments, Amsterdam-London: Elsevier, 3-43 DOI: 10.1016/B978-0-444-53813-0.00001-0 Emerson, B.K. (1896). Geological Myths. Science, 4 (89), 328-344 DOI: 10.1126/science.4.89.328

venerdì 9 agosto 2013

Cospirazioni globali? No, grazie (fino a razionale prova contraria). Ancora su un sito antiscientista e antidarwinista

La classica sequenza dell'evoluzione del clade Equidae, presso il Museo di Storia Naturale di Firenze 2013 _ CC BY-NC-ND 3.0 [riproduzione concessa senza fini di lucro solo previo consensuale e cortese accordo con l'autore]. Per quanto si possa scientificamente discutere di tempo e di modo dell'evoluzione (come si è fatto per il caso degli Equidae), questa è un fatto, completamente svincolato dalle varie ideologie te(le)ologiche e/o ortogenetico-reazionarie che vorrebbero (s)piegare l'evoluzione dogmaticamente.
(Poco) tempo fa ho scritto un post preliminare intitolato Darwin Day 2013: sterili polemiche antievoluzioniste come commento alle iniziative di un sito tristemente ricolmo di pensieri antiscientifici e antidarwiniani (che evito di citare allo scopo di non fornire pubblicità gratuita; rimando piuttosto a www.pikaia.eu). Auspicavo allora un'operazione decostruzionista volta a smascherarne le latenti posizioni ideologiche, criptopolitiche e criptoreligiose che animavano (e animano) un tripudio insulso di ridicola conoscenza (pseudo)scientifica (ingiustificabile e intollerabile da parte di chi dovrebbe insegnare materie scientifiche nelle scuole paritarie, riconosciute dallo stato come equivalenti rispetto all'insegnamento pubblico).
Reputo che tale operazione sia ora diventata inutile: la maschera di "rispettabilità della critica scientifica" (utile solo per abbindolare il grande pubblico scevro di conoscenze disciplinari approfondite) è stata divelta dal palesarsi di bizzarre ideologie fantapolitiche e pro-reazionarie (ossia di allineamento ai vetusti dogmi religiosi in merito a materie morali, sociali e personali).

E' ora evidente il richiamo paranoico ad una rete invisibile di significati simbolici nascosti nella politica e nella società, tipica di chi risponde prontamente all'HADD (Hypersensitive Agency Detection Device). Data la propensione a creare falsi positivi riguardo all’attribuzione dell’intenzionalità di agenti intenzionali intorno a noi, questo meccanismo cognitivo non farebbe differenza nel valutare le prove a carico dell’esistenza di agenti sovrannaturali, nell’attribuire volontà ad un computer in panne o al rumore del vento tra gli alberi. La combinazione di tale meccanismo con la cosiddetta patternicity, ossia la tendenza a reperire strutture di significato in un contesto che può anche essere casuale, produce lo scivolamento in tendenze cognitivamente naturali ma solitamente del tutto fallaci.
In tale ottica, la costruzione/"scoperta" di cospirazioni nascoste ai più (ma evidentemente ovvie all'occhio paranoide di chi collega fatti sociali altrimenti slegati) diventa affrontabile solamente impugnando un dogma (religioso e/o politico) la cui forza è direttamente proporzionale alla sua inconsistenza. Il bias di conferma opporrà poi una strenua, quanto vana, resistenza all'ascolto di voci razionali. Nel caso in questione, se la paventata cospirazione è "tecnocratica", "scientista-darwinista[spenceriana]-razzista" e "immoralmente disumana" (!), la risposta dovrà essere "popolare", "religiosa-reazionaria" e "moralmente umana", in accordo con un Eden teocratico vagheggiato e ricondotto in un passato ideale, che corrisponde teleologicamente ed escatologicamente ad un futuro idealizzato da "recuperare".
Ammesso e non concesso che lo 0,001% di quanto colà esposto si possa rivelare veritiero (dacché non si può sempre escludere a priori che la cospirazione ipoteticamente proposta sia vera, come sono stati reali svariati complotti e congiure politiche), la (ignominiosa) sicumera che traspare dal caso in questione rende facilissima una sua classificazione all'interno del decalogo ideato da Michael Shermer ed esposto nel suo The Believing Brain (2012: 246 ss.). Questa lista è stata proposta per elencare le caratteristiche secondo le quali una tesi cospirazionista pan-globale (sia condotta da potenti macchinazioni tecnocratiche, alieni, gruppi politici occulti, ecc. ecc.) nel suo complesso è quasi certamente falsa:

  1. viene ignorato un pattern alternativo più plausibile;
  2. gli agenti che stanno dietro all'ipotetica cospirazione possiedono poteri decisionali e di azione quasi sovraumani, usati allo scopo di agire a livelli globali in modo quasi infallibile;
  3. la complessità della cospirazioni richiede il coinvolgimento di molteplici agenti: maggiore il numero di agenti coinvolti, minore il livello di veridicità;
  4. l'elevatissimo numero di persone coinvolte non può corrispondere al segreto esoterico rispetto alla pubblica opinione spesso invocato dai cospirazionisti;
  5. più la cospirazione viene ingigantita a livello globale, minori sono le possibilità fattuali di realizzazione;
  6. più vengono coinvolti nella spiegazione eventi minimi ed estranei allo scopo di inserirli forzatamente in uno schema mondiale, minori sono le possibilità che la tesi corrisponda alla realtà dei fatti;
  7. più si attribuiscono significati sinistri e portentosi a fatti altrimenti innocui o insignificanti, maggiori diventano le possibilità che la tesi sia costruita ad arte;
  8. la miscela inestricabile di fatti/dati e interpretazioni, senza attribuire ad alcuna di esse gradi di probabilità o di discussione razionale, depone a favore della costruzione artefatta;
  9. l'ostilità anche violenta nei confronti delle azioni dei governi nazionali o delle organizzazioni private (sovranazionali) indica l'incapacità di distinguere tra cospirazioni reali (ad es., il Watergate) e fasulle da parte di coloro i quali propongono tali tesi;
  10. la difesa ad oltranza della cospirazione (immaginaria) di fronte alle evidenze contrarie, così come la ricerca smodata di fatti che si confanno esclusivamente all'idea pregiudiziale già assunta in partenza (senza mai valutare le prove contrarie), dimostrano infine l'immaginazione all'opera del cospirazionista.
Ritengo quindi che ulteriori post non siano né necessari né desiderabili a questo punto, onde evitare inutili e forzosi dibattiti dogmatici. La conclusione è che nessun confronto potrà sperare di modificare tale forma mentis (a meno che non si decida personalmente di ovviare ristudiando da capo un po' di filosofia della scienza e di biologia evoluzionistica, tanto per cominciare), né tantomeno potrà incidere significativamente sui pregiudizi razionalmente ingiustificabili di chi ritiene possibili tali ingenue attribuzioni di significato a pattern casuali non riconducibili all'intenzionalità degli agenti invocati.
Infine, il fatto che tutto ciò sia presente in un sito diretto da chi ha il compito di insegnare materie scientifiche fa assumere all'evento una portata ancora più grottesca e scontertante. In coda, mi limito a segnalare la pericolosità di tali posizioni ricordando le pagine sinteticamente magistrali dedicate al triste padre di tutti i "complotti" contemporanei (quello fabbricato, diffuso ad hoc e cucito addosso ai cittadini europei di origine o religione ebraica), presentate in Luzzatto Voghera 1994 e Shermer e Grobman 2002.

Refs.

Luzzatto Voghera, Gadi. 1994
L'antisemitismo. Domande e risposte, Feltrinelli, Milano.

Shermer, Michael e Alex Grobman. 2002
Negare la storia. L’olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché, Editori Riuniti, Roma (ed. orig. Denying History: Who Says the Holocaust Never Happened and Why Do They Say So?, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2000).

Shermer, Michael. 2012
The Believing Brain: From Spiritual Faiths to Political Convinctions. How We Construct Beliefs and Reinforce Them as Truths, Robinson, London (ed. orig. The Believing Brain: From Ghosts and Gods to Politics and Conspiracies. How We Construct Beliefs and Reinforce Them as Truths, Times Books - Henry Holt, New York 2011).

[NOTA: post scritto originariamente domenica 3 marzo 2013]

giovedì 8 agosto 2013

Darwin Day 2013: sterili polemiche antievoluzioniste

Charles Darwin @ NHM London 2012 _ CC BY-NC-ND 3.0 [riproduzione concessa senza fini di lucro solo previo consensuale e cortese accordo con l'autore]
So bene che non è possibile istituire un dialogo corretto e coerente se l'interlocutore ritiene di possedere quel tipo particolarmente pernicioso di Verità, quella con la maiuscola (quale che sia: ideologica, reazionaria, fideistica, ecc.) e non intende mettersi in ascolto delle ragioni altrui - specie se sorrette dalla conoscenza scientifica. Difatti non ho alcun interesse a perdere tempo dietro le infinite e inutili discussioni te(le)ologiche antiscientiste: sono già passato attraverso le forche caudine del confronto con sedicenti antievoluzionisti di ogni risma, ho constatato esterrefatto la totale inutilità di tale sforzo, mi sono vaccinato e nel contempo mi sono ripromesso di non sprecare più così il mio tempo. Si creda pure in ciò che si desidera.
Ma in alcuni casi, reputo necessario un post di servizio unilaterale per mettere al corrente gli abituali e curiosi navigatori della Rete degli scogli che possono trasformare un comodo viaggio verso i lidi noti della conoscenza in un incubo di ideologie retrograde inoculate a tradimento.

Il dodici febbraio scorso, in occasione della ricorrenza del Darwin Day 2013, è stato pubblicato un post breve, storiograficamente inesatto, metodologicamente impreciso e scientificamente scorretto da parte di un sito impegnato in un'operazione di metodica disinformazione scientifica (sito che, tra l'altro, ha goduto di un breve momento di notorietà grazie ad un recente confronto-scontro con www.pikaia.eu - e che non intendo pubblicizzare segnalandone eventuali link).

Che cosa affermava quel post? Elenco di seguito i punti fondamentali:
  • l’istituzione del Darwin Day è appropriata solo per ricordare che la teoria di Darwin ha avuto conseguenze drammatiche (evidenti nel darwinismo sociale) e ideologicamente orientate verso il razzismo;
  • Darwin non ha scoperto nulla;
  • la teoria di Darwin è inficiata dal fatto che suo figlio e un suo nipote furono sostenitori dell’eugenetica (da cui si evince il legame diretto di Darwin con un’ideologia politica nefasta);
  • l’aborto, la sterilizzazione forzata e la soppressione di coloro i quali sono stati considerati nel corso del Novecento come "inadatti" sono colpa delle giustificazioni prodotte da Darwin;
  • la darwiniana “lotta per la sopravvivenza del più adatto” condusse alle nefande ideologie che ispirarono le due Guerre Mondiali;
  • il colonialismo nelle sue peggiori manifestazioni dominatrici fu il risultato delle giustificazioni prodotte da Darwin;
  • prima delle motivazioni darwiniane tutto ciò poteva ancora passare come inaccettabile; dopo Darwin l’inaccettabile è diventato moralmente accettabile;
  • la teoria di Darwin, per di più, è sbagliata, ed è stata prontamente abbandonata nella seconda metà dell’800; la Sintesi Moderna (o "neodarwinismo") ha però risorto il darwinismo giustificandolo con il riferimento al “caso”;
  • oggi, una crescente insoddisfazione nei confronti del retaggio darwiniano è evidente da una (sparuta) serie di commenti (di utenti casuali) presenti in calce ad un articolo pubblicato on line sul sito del "Corriere della Sera" (!?);
  • ad ogni modo, Wallace era giunto alla formulazione della teoria dell’evoluzione prima di Darwin.
Talmente tanti deprecabili errori che non saprei da dove cominciare per commentare ulteriormente. Ad esempio, si potrebbe citare la confusione intenzionale delle tesi spenceriane-bergsoniane con quelle darwiniane allo scopo di screditare queste ultime, oppure la citazione a sproposito di Freud all’inizio del post suddetto, o ancora una serie di aporie ideologiche che vale la pena di riportare brevemente: che cosa dovrebbe mai dimostrare il fatto che terze parti, legate al nome di Darwin solo per comune discendenza familiare, hanno sposato idee eugenetiche? Perché si tira in ballo Wallace verso la fine del post? Ma non era comunque sbagliata quella tesi che si vorrebbe tanto demolire (secondo il punto di vista espresso dall’autore)? O forse di Wallace si apprezzano i risvolti teleologici per l’uomo presenti nella sua tesi, e si dovrebbe pertanto intendere il riferimento a Wallace – esposto con una grave manipolazione della sequenza dei fatti cronologici – come un altro argomento volto a screditare, una volta di più, Darwin?
Talmente tanta ignoranza delle basilari concezioni di storiografia e di storia della scienza è scioccante e sconvolgente, tanto più se si considera che queste gravi affermazioni provengono da chi dovrebbe ricoprire il ruolo di docente paritariamente riconosciuto nell'insegnamento superiore. Ad esempio, è un’ingenuità ciclopica sostenere (così come si intuisce dal contesto esplicito ed implicito dei riferimenti semplicistici ed allusivi) che prima di Darwin il mondo europeo-occidentale fosse un Eden misericordioso e sorretto dalla pietà religiosa (!), così come è un’operazione storiograficamente insensata ridurre surrettiziamente la nascita dei movimenti di estrema destra e del razzismo moderno all’affermazione di alcune idee scientifiche.
Talmente tanto livore mal indirizzato sembra pertanto palesare la deliberata costruzione di una mistificazione apologetica, in chiave aprioristica e te(le)ologicamente orientata, e che dovrebbe richiedere un attento esame decostruzionistico per svelare l'architettura giustificatrice e revanchista che anima tali impostazioni.
Non so quanto tali idee possano rivelare un franco livello creazionista letteralista (ideologico e aprioristico) ma, ad esempio, è chiara l’esistenza di un background per cui «la base morale del comportamento umano dipende da ciò che pensiamo su ciò che siamo – e ciò che siamo dipende in grande misura dalla nostra origine» (come ha ricordato Niles Eldredge).
Si tratta di una posizione tipica di certi ambiti ideologici e che ricalcherebbe il “degrado animale” a cui saremmo approdati nella “modernità darwiniana” (per cui “uomo = scimmia = tutto è lecito”); essa è stata confutata dai più recenti studi di etologia cognitiva sulla moralità nelle antropomorfe (e anche in cladi assai distanti), e non vale la pena di ritornarvi sopra. La confusione voluta tra presunto scadimento della morale nella contemporaneità (un vieto topos codificato fin dai primi testi scritti noti nella storia dell'umanità) ed evoluzionismo indica perciò una breccia significativa per iniziare un'ipotetica analisi decostruzionista mirante a scardinare la metafisica soggiacente a tale visione reazionaria e anacronistica (tipica per altro dei molti portavoce dei movimenti creazionisti o fondamentalisti).

Che cosa si evince da post persi nel mare magnum di Internet come questo?
Si può solamente (e mestamente) constatare la presenza di un guazzabuglio di critiche, che si sottraggono in modo abilmente retorico ed infondato alla proposta fattuale di idee testabili scientificamente e storiograficamente. Difatti, il sedicente "biologo" autore del blog non produce mai indagini approfondite (si veda il riferimento ai commenti degli utenti visitatori del “Corriere della sera” come se avessero valore accademico!), non ammette mai di avere sbagliato, e soprattutto persiste nella crociata (l’uso del termine religiosamente connotato sottolinea il valore antiscientifico e ideologico dell'operazione) contro il mondo moderno. Siamo in pratica già nell’ambito della pseudoscienza denunciata da Carl Sagan, ove «le ipotesi vengono spesso formulate in modo tale da non poter essere confutate da alcun esperimento, cosicché non le si può invalidare neppure in linea di principio. Coloro che la praticano hanno invariabilmente un atteggiamento difensivo e sospettoso e si oppongono a ogni esame critico. Quando un’ipotesi pseudoscientifica non riesce a suscitare l’interesse degli studiosi, si tirano in ballo cospirazioni miranti a sopprimerla». Dalle premesse false (e fideistiche) che il sito suddetto presenta ad ogni pie’ sospinto (salvo poi difendersi fallacemente e ipocritamente affermando che non si tratta di “fede” ma di ponderata critica ai problemi posti o lasciati irrisolti dalla teoria darwiniana), diventa (il)logicamente conseguente addossare tutta la colpa di tutto ciò di nefando esiste nella “modernità” a Darwin.

[NOTA: post scritto originariamente giovedì 21 febbraio 2013]

lunedì 15 luglio 2013

Cognitive Science of Religion for Dummies 1.0...

Image: Wikipedia
... in a nutshell, it all depends on agents & intentionality.

Agents are considered as the main force behind what happens in the natural world - and thats a by-product of the way primates brain is hardwired to cope with their intense social life (e.g., if its raining, its because someone wanted it). For instance, when a storm is approaching male chimps might assume an aggressive stance towards the big rain-laden clouds coming, as if theyre just agents like them, who can be driven away by shouting at them or by throwing sticks or rocks at them.
Intentionality is the result of desires and beliefs which prompts an agent to do things and actions (i.e., eat, sleep, looking for a male/female, interact with another social agent, etc.).
Theory of Mind (ToM) is the ability to read the intentionality of other agents, in order to interact and attribute mental states (intentions, desires, beliefs, etc.) to those agents involved with us in the social environment.

So, if you are living in a natural environment surrounded by other agents, in the deep times of evolution youre probably expected to develop a sort of mental hyper-active detection device for agents, just in order to stay alive: if you hear some noise in the bushes, and you think its the wind, but actually theres a predator lying there and waiting for you, you become its meal!
However, if you decide to interpret that noise as the product of a hidden threat and you finally decide to run away, youre safe, and you can pass your genes to next generations - even if there was no predator at all. Thus, ToM is not a perfect device, but evolution is not meant to be perfect, as its all about good enough solutions.

Now on for something different. Special agents are held responsible for patterns of natural and social events, which usually may have a personal or collective meaning (even though those patterns are the result of arbitrary and meaningless noise). Special agents such as ghosts, talking animals or deities break the ontological categories of our cognition in a way that rewards the spread of certain narratives. This happens thanks to some counter-intuitive features present in our communications. For example, a serpent that speaks breaks the normal biological expectations; this violation assigns a psychological human feature to that peculiar agent, and this makes that narrative more recognizable,  memorable and prone to social spread.
Special agents are also the aim of rituals in which a purported invisible agent is the recipient of a communication or an offer in which there might be no intelligible technical motivation or purpose - after all, some animal rituals also do play a certain functional role in sociality, but may have no explicit meaning at all. High levels of sensory pageantry (with particular music, foods, psychoactive substances, even tortures, etc.) characterizes the virtual presence of the special counterintuitive agent in a given ritual. This pattern may takes place once in a life time, and its effects are considered permanent. Repetitiveness is the mark of a second type of ritual, in which the passive patients (i.e., the human participants) are the main protagonists of the performance. This kind of ritual, which features a much lower degree of emotional involvement, must be routinely repeated.

Memory is involved in the further elaboration of rituals, which in turn is connected to specific political/social organization: episodic memory is involved in occasional or rare, emotionally arousing rituals (such as the rites of passage widespread in the world, or the baptism in Christian societies), and is inclined to produce very small groups in which everyone knows each other, typically with low levels of orthodoxy and no leadership. This is the imagistic mode of religiosity (it is not related to images at all!).
Semantic memory, instead, is typical of frequent ritual based on monotonous repetition (such as the Sunday mass), and tend to produce vast, expandable communities with loose strings (i.e., the participants might not know everyone involved elsewhere in the same creed), with higher levels of controlled orthodoxy and a strong leadership. This is the doctrinal mode of religiosity.

To cut a very long story short, these are the evolutionary basic roots that explain why people in the whole human history have shared beliefs in spirits, ghosts and deities as counterintuitive, invisible entities/agents. These bullet points also clarify why people have elaborated a whole lot of complicated rituals in order to get the attention of unreachable agents thought to be present in the natural world.

domenica 16 giugno 2013

La fragilità della scienza: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #8

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
All copyrights are property of their respective owners. Disclaimer: Because the image is a book cover, a form of product packaging, the entire image is needed to identify the product, properly convey the meaning and branding intended, and avoid tarnishing or misrepresenting the image. As a book cover, the image is not replaceable by free content; any other image that shows the packaging of the book would also be copyrighted, and any version that is not true to the original would be inadequate for identification or commentary.
Ultimo appuntamento con le conclusioni del volume di Robert McCauley (per le puntate precedenti si rimanda alla lettura dei seguenti post: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Partiamo subito in medias res:
La sopravvivenza della scienza non è scontata perché le basi della sua esistenza sono fragili.
Nel post precedente è stato introdotto il concetto che la scienza dipende dal sostegno istituzionale. Il problema fondamentale per la sopravvivenza della scienza, però, si gioca su più versanti. Li elenchiamo brevemente di seguito:
  1. la libertà della ricerca confligge con i poteri religiosi e politici e propone interpretazioni e soluzioni basate sui fatti ma non congeniali al potere istituzionale, alle pratiche industriali (come il fatto che gli allevamenti industriali di massa favoriscono la presenza di agenti patogeni resistenti agli antibiotici mentre sprecano ingenti quantitativi di risorse idriche), alla moltitudine di qualunque estrazione socio-culturale o paese che condivide credenze fallaci ma fortemente radicate (come la fissità delle specie) e agli interessi delle compagnie che inseguono il profitto capitalistico (si pensi agli studi che dimostrano l’effetto dei combustili fossili sul riscaldamento climatico) . Come ricorda McCauley, «Popper aveva sostenuto che la scienza è stata una delle principali forze nella storia che hanno condotto alla libertà dell’uomo» [1];
  2. i finanziamenti dei quali la scienza necessita possono essere forniti da società o aziende che hanno però come obiettivo principale la risoluzioni di problemi specifici dell’ente finanziatore medesimo (spesso legati all’incremento della produttività e/o del profitto dell’ente); inoltre i risultati delle ricerche in questi casi possono essere posti sotto brevetto e ritenuti proprietà dell’ente stesso (ecco perchée da comitati di scienziati e di addetti ai lavori sulla base del merito scientifico della proposta) [2]. La storia della scienza è imprevedibile (come la storia in generale) e contingente: non si può cercare di incanalare la ricerca, ma si può accompagnare la ricerca con uno «scetticismo disciplinato», rivolto anche nei confronti della scienza stessa [3];
  3. da circa trent’anni, in modo pressoché ininterrotto in ambito occidentale e in particolar modo in quello statunitense, si cerca sistematicamente di «ignorare, oscurare e sovvertire» i risultati e le prove della ricerca scientifica al preciso scopo di «prevenire la disseminazione delle teorie scientifiche prevalenti», di screditare il modello stesso della ricerca e lo standard qualitativo della stessa, allo scopo di imporre ideologie politiche e religiose [4]. La lista pressoché infinita di abusi a fini commerciali, statali e/o religiosi perpetrati ai danni della credibilità dell’impresa scientifica chiarisce la gravità di questo punto: 3.1. antievoluzionismo allo scopo di imporre a livello nazionale l’insegnamento complementare, o sostitutivo, del creazionismo religioso dell’Intelligent Design nelle scuole dell’obbligo; 3.2. negazionismo relativo ai gravi problemi ambientali causati dalla produzione chimico-industriale, dalla deforestazione e dalla costante riduzione della biodiversità; 3.3. pericolose prese di posizione riguardanti l’area medico-sanitaria, quali la negazione di problemi legati alla presenza del fumo passivo e di zuccheri e sale nei prodotti alimentari industriali, la limitazione dell’accesso ai prodotti contraccettivi, alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” o all’aborto, e il suggerimento di pratiche inefficaci per limitare le malattie sessualmente trasmissibili (invece di sostenere, ad esempio, l’efficacia comprovata dei preservativi, se utilizzati correttamente); 3.4. limitazioni ideologiche alla ricerca bio-medica, quale la ricerca sulle cellule staminali (embrionali o no) [5].
  4. i danni di tali atteggiamenti sono ingenti, a livello sia internazionale che nazionale. L’impreparazione scientifica favorita a livello nazionale non può produrre una valida risposta alle ondate antiscientifiche tipiche di regioni nelle quali sono particolarmente diffuse istanze fondamentaliste religiose (si pensi ai tristi casi di antivaccinismo promossi di recente in Nigeria e in Pakistan, dove le campagne internazionali di vaccinazione sono state violentemente bloccate e/o ritenute espressione di una cospirazione occidentale anti-islamica) [6].
Alan Leshner, amministratore delegato dell’American Association for the Advancement of Science, ha scritto: «Ciò a cui stiamo assistendo è l’affermazione di ideologi i quali possiedono la capacità di influenzare il corso della scienza come mai prima d’ora. Essi dicono, “Non mi piace la scienza, non mi piace ciò che dimostra”, e quindi la ignorano. E siamo ad un punto, oggi e in questo paese, dove tale posizione può funzionare. L’integrità fondamentale della scienza è sotto assedio» [7]. A livello nazionale, McCauley cita i dati a sostegno del declino della preparazione scientifica degli studenti statunitensi (ma non è difficile traslare tali dati alla situazione italiana, ad esempio), la diminuzione degli studenti statunitensi che scelgono un cursus studiorum nelle discipline scientifiche, un declino nella presenza di studiosi statunitensi nelle pubblicazioni scientifiche e, soprattutto (il punto forse più grave) il progressivo venir meno del sostegno finanziario statale e privato in una moltitudine di aree della ricerca [8].

La conclusione del volume è chiara e semplice: la scienza è un’impresa cognitivamente fragile e dipende da un continuo sostegno da parte dei governi e delle società democratiche. I decisori politici devono fare scelte responsabili per permettere che le condizioni di fare scienza possano sussistere. Inoltre, gli immediati interessi privati e industriali nei confronti della ricerca devono essere tenuti a freno e controllati, mentre i dirigenti dovrebbero prendere in considerazione gli interessi (sociali e collettivi) a lungo termine.
Sono punti banali, forse, ma va ricordato ancora una volta che la scienza e i suoi prodromi nell’antica Grecia, in quanto impresa collettiva, sono stati già persi una volta e reinventati nel XVII secolo e.v. Purtroppo, come ammonisce McCauley, la scienza in quanto tale si può perdere nuovamente, specie se consideriamo le limitazioni cognitive che abbiamo già avuto modo di ricordare: «Una delle conseguenze della posizione che ho difeso [nel corso del libro] è che nessun aspetto particolare della natura umana sarà mai in grado di prevenire di nuovo la perdita della scienza» [9].

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 280 (cfr. K. Popper, Conjectures and Refutations: The Growth of Scientific Knowledge, Routledge, London 1992, p. 102).
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 281.
[4] Ivi, p. 282 (cfr. Chris Mooney, The Republican War on Science. Revised and Updated, Basic Books, New York 2005)
[5] Ivi, pp. 282-283; la lista qui presentata non è esaustiva.
[6] Ivi, p. 283.
[7] Ibidem (cit. presente in M. Specter, Political Science: The Bush Administration’s War on the Laboratory, in «New Yorker», March 13, 2006, pp. 58-69). La sottolineatura appartiene a McCauley.
[8] Ivi, p. 284.
[9] Ivi, p. 286.

sabato 15 giugno 2013

Il sostegno istituzionale è necessario per la ricerca scientifica: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #7

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
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Penultimo appuntamento con le conclusioni del volume di Robert McCauley (come al solito, per le puntate precedenti cliccate qui: 1, 2, 3, 4, 5, 6).
La scienza dipende profondamente dal sostegno istituzionale
Poiché la scienza è un’attività dispendiosa in termini di tempo, energie e disponibilità materiali, l’attività di ricerca e il controllo delle frodi condotta dalle comunità di scienziati deve essere sostenuta in modo continuo dalle istituzioni e richiede inoltre la disponibilità di un numero consistente di individui che hanno portato a termine un lungo percorso di preparazione intellettuale. La scienza è rara, non richiede solamente la mera alfabetizzazione ma la comprensione avanzata di svariate capacità (linguistiche e matematiche, ad esempio); servono come minimo vent’anni di preparazione formale per poter partecipare ai più alti livelli della discussione scientifica; non esistono molti individui in senso assoluto che raggiungono tali livelli, e i paesi che sostengono la ricerca scientifica in modo adeguato sono una minoranza sul pianeta Terra [1]. Un ultimo punto: a partire dalla costruzione dei complessi apparati di ricerca (come l’Osservatorio di Greenwich, edificato tra 1675-1676) e dai viaggi e dalle esplorazioni intorno al mondo (che coniugavano l’acquisizione di conoscenze dalle quali le compagnie avrebbero potuto trarre vantaggi e eventualmente profitti, con la ricerca scientifica volta ad accumulare dati sensibili biologici o geologici ed esemplari fossili o zoologici), fino alla costruzione degli acceleratori di particelle contemporanei, la scienza ha avuto sempre necessità di ingenti finanziamenti [2].
La religione, al contrario, non necessita di tali prerequisiti. Ora, è senz’altro vero, nota McCauley, che le cosiddette “religioni del libro” condividono alcuni temi comuni, ma la religione nel senso più ampio non si basa né sulla disponibilità di testi stampati, né sull’esistenza di una comunità di individui che hanno studiato per anni (o decenni): gli studiosi in genere sopravvalutano l’importanza del testo stampato (un’innovazione recente) o dell’alfabetizzazione tout court (storicamente recente in senso lato) [3]. Esistono reperti paleoantropologici che, per quanto discutibili, dimostrano come qualcosa di assimilabile almeno lato sensu al sentimento religioso possa precedere in senso assoluto l’invenzione di un alfabeto codificato, senza contare che, banalmente, nel tempo gli etnografi sono venuti a contatto con popolazioni (oggi sempre più rare) che non sapevano nemmeno dell’invenzione dell’alfabetizzazione. Come chiosa McCauley,
«il fatto che la religione preceda sia l’alfabetizzazione sia la nascita della storia umana, che sorga in ogni cultura umana, che ricompaia e persista persino quando viene vigorosamente ostacolata, tutto ciò indica che la religione dipenda assai meno dal sostegno istituzionale di quanto possa sembrare» [4].
continua...

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 277.
[2] Ivi, p. 279.
[3] Ivi, p. 276.
[4] Ibidem.

venerdì 14 giugno 2013

La scienza è un’operazione sociale: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #6

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
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Il quinto punto delle conclusioni del volume di Robert McCauley (come al solito, per le puntate precedenti cliccate qui: 1, 2, 3, 4, 5) contiene probabilmente le considerazioni storiografiche più importanti del volume. In sintesi, 
La scienza è un’operazione eminentemente sociale.
Come già accennato in precedenza, la scienza ovvia alle limitazioni cognitive individuali tramite la sua organizzazione sociale [1]; al contrario dell’idea cartesiana (e largamente condivisa dai media e dai non addetti ai lavori) del pensatore singolo come «una mente isolata, individuale, considerata indipendentemente dalle sue connessioni con il corpo […] e [intenta] ad estrarre inferenze deduttive dai principi teorici» [2], la scienza è un processo sociale – e solo in quanto processo sociale condiviso nel tempo e nello spazio, composto da ricercatori e studiosi, può in buona parte rimediare al fatto che gli studiosi individualmente «dimenticano cose, hanno a che fare con euristiche cognitivamente naturali (ma fallaci), fanno errori nei loro ragionamenti, preferiscono le proprie teorie rispetto a quelle degli altri (e cercano le evidenze di conseguenza) e sono suscettibili all’intrusione delle disposizioni maturativamente cognitivi della mente» [3]. Di fatto, le storie della scienza incentrate su pochi grandi uomini che hanno fatto il corso della storia della ricerca, per quanto utili e in buona parte veritiere, non riflettono il fatto che quelle figure (specie nel passato, talvolta dei veri giganti sulle cui spalle hanno costruito e visto più lontano altri studiosi) hanno interagito con altri studiosi, hanno corretto o modificato le loro ipotesi sulle base di proposte avanzate da terzi, e che le loro idee sono state da subito passate al vaglio dell’analisi di altri studiosi interessati a verificarle, falsificarle o aggiornarle [4].

Il problema della presenza della scienza nelle società del passato, dunque, è subordinato ai seguenti punti basilari:
  1. La società deve permettere la libera indagine e la libera critica riguardo al modo di funzionamento del mondo e l’esposizione pubblica di tali posizioni;
  2. La società deve sostenere il riconoscimento pubblico dell’importanza di tale pratica, in particolar modo a livello dei decisori politici [5].
I due casi storici che McCauley ripercorre brevemente sono quelli della Cina antica e del mondo islamico medievale. Nel primo caso, benché la Cina abbia goduto di una considerevole conoscenza tecnologica, in taluni periodi persino superiore a quella europea, sono mancate le necessarie condizioni sociali (come il riconoscimento di uno spazio pubblico di libera ricerca) e politiche (sotto le dinastie Sung e Ming, ad esempio, si è privilegiata per gli impiegati statali una preparazione letteraria che non conteneva pressoché nulla di scientifico – i decisori politici non hanno quindi favorito o sostenuto lo sviluppo di discussioni pubbliche) [6].
Nel secondo caso, invece, la questione è forse più complessa. Il retaggio culturale greco per quanto riguarda la filosofia, la matematica e i lavori scientifici, è stato ripreso e persino ampliato e corretto là dove i testi antichi non avevano descritto opportunamente i fatti empirici. Come interpretare allora l’esistenza di un appoggio statale sotto forma di protezione politica, nonché di istituzioni ove condurre ricerche (come osservatori astronomici e ospedali), a fronte di una mancata istituzionalizzazione della ricerca scientifica nel mondo islamico medievale? I problemi che hanno impedito uno sviluppo della ricerca scientifica risiedono innanzitutto in un intreccio contingente di ordine politico-religioso. Ospedali e osservatori erano perlopiù luoghi edificati sulla base di convenzioni e sovvenzioni religiose – pertanto si configuravano come enti ove vigeva l’osservanza di una cornice religiosa, che imponeva giocoforza limiti e vincoli all’attività di ricerca: «la possibilità di stabilire istituti scientifici indipendenti o di incorporare altre branche della scienza (oltre alla matematica e all’astronomia) all’interno di una qualunque forma di educazione religiosamente autorizzata è stata raramente presa in seria considerazione, se mai lo fosse stata in precedenza» [7]. In secondo luogo l’oralità è sempre stata considerata epistemicamente più rilevante ai fini di un’educazione conforme a precetti coranici – ma è del tutto inadatta alla ricerca scientifica. La pedagogia nella madrasa, basata sull’apprendimento mnemonico del Corano e di altri testi religiosi, non facilita la critica di quei testi: «Il tempo e lo sforzo dedicati alla memorizzazione dei testi, siano essi religiosi o scientifici, non lascia molto tempo, energia o motivazione per l’esplorazione delle critiche delle posizioni sostenute in quei testi. È improbabile che la gente che ha investito migliaia di ore della propria vita a memorizzare vari testi si dimostri un pubblico ricettivo nei confronti della critica di quegli stessi testi» [8]. L’ultimo punto riguarda il saltuario e contingente appoggio politico fornito da patroni che spesso hanno offert oa pensatori e studiosi la necessaria protezione dai «meno curiosi e meno tolleranti guardiani dell’ortodossia islamica» [9]. Il risultato di ciò è stato, nelle parole che McCauley riprende da Toby Huff, che «“alla fine, lo sviluppo delle scienze naturali nel mondo islamico ha trovato un punto d’arresto tra il XIII e il XIV secolo”» [10].

La situazione europea era per certi versi peggiore dei due casi storici citati, almeno fino all’avvento di due casi particolari: la riscoperta e la traduzione dei testi greci tramite il mondo arabo e la nascita delle università come istituzioni indipendenti, i cui curricula hanno costituito i prodromi dell’insegnamento scientifico e nel contempo hanno fornito le credenziali appropriate per coloro i quali intendevano dedicarsi alle scienze naturali. Le università hanno inoltre contribuito, sul lungo periodo, «all’esclusione delle pseudoscienze e delle pratiche occulte come l’astrologia, la magia e l’alchimia dall’educazione formalmente sancita» [11]. La ricerca empirica che si diffuse poi nella cultura europea tra XVII e XVIII secolo e.v., recuperando e superando il livello di indagine a tutto campo che fu già perseguito nella Grecia antica, «trasformò l’Europa dal luogo remoto e impermeabile alle innovazioni che era nel principale centro della vita intellettuale del pianeta» [12]. La fondazione di accademie scientifiche nazionali (la Royal Society nel 1660 e l’Académie Royale des Sciences nel 1666) per la libera discussione e la condivisione interna degli studi e la cooperazione sovranazionale tra studiosi (in particolare dell’Inghilterra, della Francia e della Repubblica delle Sette Province Unite – che sarebbe diventata poi l’Olanda), rendono chiara l’interazione di due elementi indispensabili: benché le ostilità tra studiosi abbia talvolta costellato la storiografia della scienza (in particolare durante i confronti bellici tra gli stati dai quali provenivano gli studiosi), è stata solamente la cooperazione a rendere possibile lo sviluppo della scienza (si pensi ai dati astronomici confermati e verificati da osservazioni ripetute tra località diverse sul globo terrestre, oppure all’osservazione e lo studio di esemplari provenienti da ogni parte del mondo per la biologia e la zoologia) [13].
La competizione, ovviamente, è un elemento chiave per lo sviluppo della scienza, e dalla competizione possono nascere le frodi e le manipolazioni dei dati. Ma, e questo è forse uno dei punti più importanti del capitolo conclusivo, la scienza ad oggi si è dimostrata uno strumento migliore per regolare la competizione (surclassando il modello bancario e capitalistico di concorrenza: «gli scienziati hanno imparato molto tempo fa ciò che i capitalisti e i banchieri, in particolare, non sembrano essere stati mai in grado di apprendere, ossia che la competizione deve essere regolata con attenzione per assicurare trasparenza e correttezza all’interno del mercato, sia esso commerciale o scientifico») e per controllare l’onestà interna della ricerca («[…] c’è sempre virtualmente un altro membro della comunità scientifica pronto a verificare e, nel caso, a smascherare i malfattori. […] Nessun’altra istituzione, nemmeno la giurisprudenza, è maggiormente impegnata nel garantire l’integrità del controllo interno. Tutte le evidenze suggeriscono che la scienza faccia un lavoro migliore riguardo al monitoraggio interno di qualunque altra istituzione pubblica della storia umana») [14]. I mezzi per attuare questo continuo autocontrollo, e che abbiamo già ricordato in precedenza, sono i seguenti: replicabilità dei risultati sperimentali, revisione paritaria (peer review), revisione cieca o a doppio cieco (ove l’identità dell’autore della ricerca viene nascosta ai revisori – e viceversa – per evitare di incorrere in pregiudizi potenzialmente nocivi per la revisione), disponibilità pubblica delle ricerche e degli apparati scientifici [15]. Una volta pubblicato lo studio diventerà oggetto di indagine, di scrutinio e di verifica da parte di altri studiosi – e così via.

I punti fondamentali della moderna ricerca scientifica possono dunque essere così sintetizzati:
  1. condivisione;
  2. diffusione;
  3. critica;
  4. verifica;
  5. cooperazione;
  6. autocontrollo interno delle norme di condotta (volto allo smascheramento di eventuali frodi).
continua...

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 269.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. 270.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 271 (cfr. Toby E. Huff, The Rise of Early Modern Science: Islam, China and the West, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1993, pp. 308-309).
[7] Ibidem.
[8] Ivi, p. 272.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem (cit. da T.E. Huff, The Rise of Early Modern Science, cit., p. 168).
[11] Ivi, p. 278.
[12] Ivi, p. 273.
[13] Ibidem.
[14] Tutte le citt. da ivi, p. 274.
[15] Ibidem.