Per spiegare il secondo punto delle conclusioni di Why Religion Is Natural and Science Is Not (per le puntate precedenti si veda qui e qui) bisogna fare un passo indietro e partire dalla seguente constatazione: l’ideazione e lo svolgimento di esperimenti psicologici interculturali rappresenta, come ricorda Robert N. McCauley, «uno dei contributi più importanti delle scienze cognitive della religione alle scienze psicologiche e cognitivo-sperimentali» [1].
Grazie a questi esperimenti, le scienze cognitive hanno dimostrato ad esempio che, per quanto possano essere controintuitivamente elaborate le credenze dottrinali imparate, ricordate o enunciate, inconsciamente si tende sempre e comunque ad assegnare alle divinità nelle quali si crede le caratteristiche antropomorfiche tipiche dei sistemi naturali maturativamente cognitivi – il risultato è ciò che D. Jason Slone ha etichettato come “scorrettezza teologica” (che non è un’etichetta impiegata per descrivere ipotetiche eresie rispetto ad altrettanto ipotetiche ortodossie religiose, bensì una definizione cognitiva) [2].
Tra questi esperimenti psicologici uno dei più noti è quello elaborato da Justin Barrett e Frank Keil. I due studiosi hanno ideato un esperimento controllato, attraverso l’acquisizione di alcune narrazioni e la loro successiva rievocazione, nel quale i partecipanti vengono sottoposti a quattro fasi specifiche. Nella prima viene loro richiesto di esprimere le convenzionali e complesse credenze dottrinali e teologiche riguardanti gli agenti controintuitivi tipici della propria religione (contraddistinte da un rifiuto dell’antropomorfismo e da una caratterizzazione delle capacità onniscienti, onnipotenti e onnipresenti previste dalle dottrine ufficiali) [3]. Nella seconda è prevista la lettura di alcune narrazioni che implicano un’interazione tra la divinità e gli esseri umani; nella fase seguente i partecipanti sono sottoposti a un compito distraente, come esercizio per focalizzare l’attenzione su argomenti senza relazione con il tema di indagine [4]. L’ultimo compito è quello di memorizzazione, nel quale viene richiesto ai partecipanti di ricordare i passaggi letti durante la seconda fase. I risultati hanno dimostrato che riguardo alle letture affrontate con attenzione nella seconda fase (tutte congruenti rispetto ai contenuti teologici esposti nella prima fase, ad eccezione di alcuni sottili punti chiave che si prestavano a più di un’interpretazione), i partecipanti ricordavano i passaggi letti in modo «non conforme rispetto alle rappresentazioni religiose teologicamente corrette e disponibili coscientemente» enunciate solo qualche minuto prima [5]. Al contrario, il ricordo era impregnato dei contenuti maturativamente naturali tipici della cognizione umana. Ad esempio, un racconto proponeva la seguente situazione: un ragazzo rischia di annegare in un torrente a causa di una gamba rimasta incastrata tra le rocce, inizia a pregare Dio (che stava rispondendo ad un’altra preghiera nel mondo), e «in breve tempo Dio risponde spostando una delle rocce permettendo al ragazzo di liberarsi» [6]. I partecipanti chiamati a ricordare questo passaggio spiegavano che il ritardo nella risposta era necessario a Dio per spostarsi (in ciò «piuttosto simile a Superman») oppure che «Dio, per quanto onnipresente, doveva finire di rispondere alla precedente preghiera prima di aiutare il ragazzo». Quasi la totalità delle risposte dei partecipanti ha dimostrato l’influenza dei sistemi cognitivi maturativamente naturali; in pratica, durante la gestione dei problemi quotidiani, le credenze teologiche ortodosse vengono del tutto abbandonate nei processi cognitivi (come nell’esempio riportato, ossia il processo di acquisizione e di rievocazione). La caratteristica forse più significativa è che il test è stato poi ripetuto su differenti campioni interculturali (ad esempio ebraici, islamici e induisti), senza che ciò alterasse significativamente i risultati.
Tale “scorrettezza teologica” trova un parallelo con quanto si è scoperto riguardo alla forza dei vincoli cognitivi in ambito scientifico. Anche se chi ha ricevuto un’educazione formale possiede chiaramente più strumenti e un’attenzione specifica che permettono di ridurre l’influenza dei vincoli cognitivi durante la ricerca scientifica, l’apprendimento dei modelli scientifici che permettono di mettere in sordina i vincoli cognitivi naturali non può eliminare del tutto tali vincoli. Uno studio condotto da Michael McCloskey e dai suoi colleghi ha dimostrato che nonostante le conoscenze acquisite formalmente (in questo caso di fisica) le persone possiedono conoscenze intuitive che, per quanto utili per risolvere compiti quotidiani in tempi rapidi, si dimostrano però fallaci [7]. Nel primo esperimento condotto da McCloskey veniva richiesto ai partecipanti, tra le altre cose, di immaginare di lasciar cadere un oggetto su un punto prestabilito sul pavimento mentre camminavano, ma senza muovere le braccia. L’80% dei partecipanti ha affermato che sarebbe stato corretto lasciar cadere l’oggetto (una palla) una volta immediatamente sopra l’obiettivo, il 7% ha risposto che la palla sarebbe caduta lateralmente e nella direzione opposta a quella percorsa, mentre solamente il 13% dei partecipanti ha ritenuto correttamente che la palla avrebbe dovuto essere lasciata cadere prima di trovarsi sul punto prestabilito. Una meccanica intuitiva errata e l’illusione percettiva del punto di vista dell’osservatore (in questo caso, impegnato a camminare) spiegano la percentuale di errore – anche in studenti che possedevano conoscenze di fisica sopra la media. Un altro esperimento condotto da McCauley e dai suoi colleghi ha dimostrato, ad esempio, che nel tentativo di lanciare un disco attraverso un settore circolare di 90° disegnato su un tavolo, con il divieto di far toccare al disco i bordi della sezione, un quarto dei partecipanti (inclusi alcuni studenti universitari con conoscenze di fisica) ha tentato, nei fatti o nella spiegazione fornita a posteriori, di imprimere un moto curvilineo al disco in modo da fargli assumere la traiettoria ritenuta adeguata per attraversare la sezione disegnata sul tavolo [8]. Si tratta, in sostanza, di un altro caso che sembra accordarsi con l’ipotesi dell’infiltrazione e dell’influenza sul giudizio delle capacità maturative .
Torniamo ora al punto in questione delle conclusioni del volume di Robert N. McCauley (qui l’elenco-riepilogo):
2. La produzione di contenuti teologicamente scorretti è inevitabile.
Affermare che la scorrettezza teologica è inevitabile significa prendere atto della costante, ricorrente e inconscia intrusione di rappresentazioni moderatamente controintuitive che fanno parte della teoria della mente naturale dei fedeli (ovvero l’attribuzione di intenzionalità ad agenti, cognitivamente naturale; qui ulteriori informazioni). Tale intrusione si combina poi con l’inevitabile variabilità delle rappresentazioni culturali per culminare in quella che Pascal Boyer ha definito icasticamente come “la tragedia del teologo”, ossia la continua produzione di contenuti religiosi teologicamente scorretti da parte dei fedeli [9]. L’elemento che permette ai contenuti teologicamente scorretti di raggrupparsi attorno ad un attrattore, e di essere trasmesse, è la presenza di un numero modesto di violazioni dei domini cognitivi (tale processo non è esclusivo della religione ma comprende anche il folklore e la letteratura supereroistica a fumetti, ad esempio). Come ricorda McCauley,
«Non importa quanto le autorità religiose si sforzino di standardizzare, inculcare e regolare le rappresentazioni religiose, poiché i fedeli re-interpreteranno cognitivamente queste ultime, perlopiù in modo inconscio, secondo modalità che sono teologicamente scorrette» [10].
Questo perché le codificazioni teologiche necessitano di un oneroso sostegno culturale, allo stesso modo delle conoscenze scientifiche, che si concretizza in primo luogo tramite una lunga preparazione intellettuale (che dipende a sua volta dalla disponibilità di testi e biblioteche), e che renda il potenziale fruitore capace di una naturalità praticata con certe modalità di ragionamento.
Il dato forse più interessante a questo punto è il parallelo che McCauley stabilisce tra queste riflessioni, basate in primo luogo sui dati forniti da Barrett e Keil, e i risultati sulla “scorrettezza scientifica” degli esperimenti fisico-sperimentali di McCloskey. Nel secondo caso, lo ricordiamo, persino alcuni studenti universitari con discrete conoscenze di fisiche hanno fatto affidamento su intuizioni pre-galileiane per risolvere rapidamente e intuitivamente un problema fisico (ma sbagliando). Dato che l’intrusione dei contenuti cognitivi maturativamente naturali nei processi di cognizione è una costante in entrambe i casi, in breve, come sintetizza l’autore, «gli insegnanti di teologia e di scienza hanno di fronte molti problemi comuni» [11].
continua...
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[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 299, nota n. 158.
[2] Cfr. D. Jason Slone, Theological Incorrectness: Why Religious People Believe What They Shouldn’t, Oxford University Press, Oxford-New York 2004.
[3] Ivi, pp. 210 ss. Lo studio di riferimento è il seguente: J.L. Barrett e Frank C. Keil, Conceptualizing a Nonnatural Entity: Anthropomorphism in God Concepts, in «Cognitive Psychology», 31, 1996, pp. 219-247.
[4] L’omissione del compito distraente, sperimentalmente necessario, si è rivelata ininfluente rispetto ai risultati poiché, durante una ripetizione dell’esperimento, l’assenza di tale passaggio non ha modificato il quadro, confermando i risultati; cfr. R.N. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 218.
[5] Ivi, p. 217.
[6] Ivi, p. 216.
[7] Ivi, pp. 129-132.
[8] Cfr. Michael McCloskey, Alfonso Caramazza e Bert Green, Curvilinear motion in the absence of external forces: Naïve beliefs about the motion of objects, in «Science», 210, 1980, pp. 1139-1141; M. McCloskey, Naïve Theories of Motion, in Dedre Gentner e Albert L. Stevens [eds.], Mental Models, Erlbaum, Hillsdale 1983, pp. 299-324; M. McCloskey e Deborah Kohl, Naive Physics: The Curvilinear Impetus Principle and Its Role in Interactions with Moving Objects, in «Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition», 9, 1, Jan. 1983, pp. 146-156; M. McCloskey, Allyson Washburn e Linda Felch, Intuitive Physics: The Straight-Down Belief and Its Origin, in «Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition», 9, 4, 1983. pp. 636-649
[9] P. Boyer, E l’uomo creò gli dei. Come spiegare la religione, Odoya, Bologna 2010, p. 336 (ed. orig. Et l’homme créa les dieux. Comment expliquer la religion, Éditions Robert Laffont, Paris 2001; Gallimard, Paris 2003)
[10] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 242
[11] Ivi, p. 244
Barrett JL, & Keil FC (1996). Conceptualizing a nonnatural entity: anthropomorphism in God concepts. Cognitive psychology, 31 (3), 219-47 PMID: 8975683
McCloskey M, Caramazza A, & Green B (1980). Curvilinear motion in the absence of external forces: naive beliefs about the motion of objects. Science (New York, N.Y.), 210 (4474), 1139-41 PMID: 17831469
McCloskey M, & Kohl D (1983). Naive physics: the curvilinear impetus principle and its role in interactions with moving objects. Journal of experimental psychology. Learning, memory, and cognition, 9 (1), 146-56 PMID: 6220112
McCloskey M, Washburn A, & Felch L (1983). Intuitive physics: the straight-down belief and its origin. Journal of experimental psychology. Learning, memory, and cognition, 9 (4), 636-49 PMID: 6227681
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