mercoledì 14 novembre 2018

Poscritto personale. Panda, ricordi e riflessioni (ma soprattutto panda)

Un filatelico panda d'antan. Fonte: Wikipedia

Galeotto fu il post fresco di stampa su Lorologiaio miope. Spronato dalla lettura di questo pezzo, ritorno al mio post precedente per raccontare in breve quello che è avvenuto dietro le quinte. Perché se è vero che mi interessava esplorare l’aspetto cognitivo e storico della divulgazione scientifica al tempo di YouTube, è altrettanto vero che avevo delle motivazioni personali per affrontare quel tipo di discorso proprio ora.

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Qualche mese fa, nel mezzo di una discussione tra amici e colleghi su uno dei maggiori social media, mi sono ritrovato a notare criticamente che un dato prodotto audiovisivo, consigliato con eguale ironia e convinzione da un noto divulgatore scientifico, non potesse essere ritenuto un buon esempio di divulgazione scientifica. Si trattava di un video accattivante per il prosumatore medio, ma scientificamente impreciso e caratterizzato da un linguaggio scurrile, incentrato sulla frustrante politica di riproduzione dei panda sia in cattività sia allo stato brado.
Il video rilevava che, se proprio tutti questi interventi di conservazione stanno fallendo, è perché «meritano di estinguersi» [sic] dato che i panda «non vogliono scop**e!» [sic]. «Darwin!», continuava l’autore del video rivolgendosi a metà tra il serio e il faceto all'evoluzionista di Shrewsbury, «Hai sbagliato! Ma io mi fidavo di te!» [sic]. Il tono era ovviamente divertito e superficiale, ma il video presentava inoltre tutta una serie di mancati approfondimenti (perché Darwin avrebbe sbagliato? Forse perché l’evoluzione tende al miglioramento progressivo mentre i panda sono e restano stupidi e ottusi? I lettori di questo blog sanno già perché quest’idea è sbagliata), di imprecisioni (l’evoluzione non tende ad alcun miglioramento), di confusioni tra individuo e taxa (non è l’individuo che evolve o che si estingue volendolo!). Il video ricorreva inoltre a un linguaggio antropomorfizzante nei confronti dei panda e delle loro azioni che, per quanto diretto a sortire un’immedesimazione e una fruizione immediata da parte degli utenti, non faceva distinzioni di sorta tra ambiente antropogenico, cattività, stato brado, tempo profondo dell’evoluzione, ecc. 

Sulla discussione social, il video è stato salutato da persone con competenze scientifiche (benché non strettamente zoologiche o evoluzionistiche) come un «esempio da studiare e decostruire» per imparare come funziona l’edutainment. Posizione lecita, ma basata sull’esempio di un video molto discutibile. Perché non cercare un altro video? Perché questo video era hot in quanto a visualizzazioni e occorreva indagare il trend per impararne i segreti della comunicazione che «arriva alla gente». I motivi per cui questa idea è una fallacia logica li ho già spiegati nel post precedente. Quello che qui mi preme raccontare è che la discussione, alimentata dagli interventi di una nutrita schiera accorsa dalle decine di migliaia di followers della pagina social, è stata aizzata dai like e dai commenti del gestore della pagina, i quali hanno dato vita a una tifoseria sostenuta dal bias di conferma e di popolarità. Di conseguenza i toni di tutti si sono scaldati, passando rapidamente dall’ironia al sarcasmo all’insulto e, tra il fuoco amico che ha colpito indifferentemente colleghi e amici, è venuto fuori chiaramente quanto le giustificazioni di settore riguardo all’uso “corretto” dell’edutainment prosumeristico poggiasse su basi epistemologiche e comunicative assai fragili. Intanto, tra i followers accorsi a commentare c’era già chi confermava divertito, sì, i panda sono davvero stupidi!

A quel punto non restava molto da fare.
Cercavo di spiegare; ero un trombone elitario, un «professore», uno perso nella sua torre d’avorio che non sa o che non vuole comunicare alla gente (nonostante questo blog!) e dovevo squindi tare zitto perché le mie spiegazioni non avevano comunque valore (la mia opinione valeva quanto quella di chiunque altro - secondo gli stranoti dettami postmodernisti).
Cercavo di fare notare perché il video fosse un cattivo esempio e che non c’era nulla di valido da imparare; mi sentivo rispondere che tanto «era un esempio delle balle», cambiando così le regole del confronto e evitando il confronto epistemologico.
Ho spiegato che quel video insegue, come molto edutainment su Youtube, il sensazionalismo, il nozionismo fine a se stesso, i bias intuitivi (in questo caso, ortogenesi, teleologia, antropomorfismo ed essenzialismo) e il perturbante controintuitivo (i panda vogliono estinguersi! Non vogliono scop**re!); mi hanno accusato di oscurantismo intellettuale.
Ho scritto che lodare quel video (girato da un chimico senza particolari conoscenze di zoologia - fino a prova contraria) semplicemente perché «arriva alla gente» [sic] senza indagare i motivi dietro la ricezione di quel prodotto era l’equivalente del lodare un ipotetico video sulla presunta memoria omeopatica dell’acqua o del lodare un video sull’etere perché spiega bene la fisica dell’atmosfera; sono stato pesantemente delegittimato.
Al termine di tutto ciò si era tornati al solito, vecchio schema “scienza dura” (chimica e fisica) contro “scienza soft” (scienze sociali e biologia): il divulgatore e gestore della pagina, stufo delle critiche al video da lui postato, si è lanciato in un icastico: «che poi a uno gli viene da dire “Ma ca**o, ma ve lo meritate che nessuno si fila la divulgazione sull’evoluzione!”». E questo dopo aver spiegato e linkato l’eloquente e fondamentale articolo di Dobzhansky dal titolo “Nothing in Biology Makes Sense Except in the Light of Evolution”. Non restava che issare bandiera bianca e abbandonare la discussione. 

Con il senno di poi (per quel che vale) posso dire questo.
Quel giorno ho sbagliato approccio e tono, entrambi troppo diretti, ansiosi e affrettati. Ho avuto timore di tutta quella gente accorsa a deridere e pronta ad attaccare, mi sono sentito accerchiato e con il fiato sul collo. E per questo alla fine sono scappato via, tra rimorsi e rimpianti. In parte, il post che ho pubblicato vuole offrire la riflessione che lasciai incompiuta allora sui social, e dimostra nello stesso tempo che una spiegazione seria e articolata non può trovare posto sui social media.
Quel giorno, chi sosteneva la scelta del video sui panda come esempio vincente da copiare e da seguire, ha sicuramente sbagliato approccio e tono, crassi e limitati. E ha dimostrato una visione della scienza altrettanto crassa e limitata.
Quel giorno ho anche capito che inseguire quel tipo di divulgazione prosumeristica è un gioco controproducente per la scienza stessa – e per la società intera. I social media sono un campo di battaglia e di consumo fine a se stesso (come notava giustamente Lisa Signorile qui) e non un’utopia bucolica di conoscenza condivisa per arrivare alla gente.
Ma l’aspetto che più mi addolora è che quel giorno chi è accorso a frotte su quella pagina per assistere al confronto o per curiosità ha visto confermato il leitmotiv postmoderno della comunità scientifica incapace di mettersi d’accordo persino sulle piccole cose.
Da qualunque parte la si voglia guardare e giudicare, quel giorno abbiamo perso tutti, e se c’è una morale è che c’è ancora tanta (troppa) strada da fare perché si possa davvero parlare di divulgazione – ed educazione – scientifica in Italia.